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45. ALIUS ET IDEM

Fanelia e Ilo avevano resistito agli assalti nemici senza risparmiare le forze. Nessuno di loro sapeva quanto tempo sarebbe stato necessario. Ogni minuto era soltanto un minuto in più per Galanár, Aidan e Silanna. E per quel minuto in più sarebbero andati avanti.

Qualcosa di imperscrutabile, però, iniziava ad alterare l'equilibrio tra i due schieramenti. Qualcosa che non aveva a che fare con la naturale stanchezza dello scontro o con le numerose perdite subite da ambo le parti. Gli Elfi Scuri che guidavano i reparti nemici sembravano aver perso la propria potenza. I loro attacchi erano diventati discontinui, come se la fonte della loro energia fosse sul punto di esaurirsi. Non erano i Silmëran ad avere la meglio sulle arti occulte dell'Ombra, ma un evento incomprensibile e di natura superiore, che stava affievolendo la loro magia.

Fanelia colse l'insolito vantaggio fornito dall'occasione e spronò gli uomini all'attacco. Le fila avversarie persero la propria compattezza e lei diede l'ordine di andare loro addosso con tutte le forze rimaste. La linea di scontro si allargò e si spostò dal centro e dalla torre. La pressione che avevano subito fino a quel momento si allentò e i soldati, guidati dalla regina, rintuzzarono i nemici contro le loro stesse mura esterne.

Ilo fu colto alla sprovvista da quel repentino mutamento ed esitò di fronte alla necessità di cambiare la strategia di attacco. Poteva perseverare e cercare di ridurre all'impotenza i Daimonmaster di Vargas, oppure indirizzare in modo differente gli incantesimi dei Silmëran. Nel tentativo di allontanare gli avversari dal centro di Lumëran, però, il loro esercito era ormai ingaggiato in un serrato corpo a corpo. L'uso di una magia offensiva sarebbe stato un azzardo.

Stabilì allora di impegnare gli incantatori nella creazione di una barriera protettiva. Si mosse a cavallo per dirigere l'operazione ed estendere lo scudo magico a quanti più reparti possibili.

Quando la terra cominciò a tremare, si arrestò e si girò a guardare l'edificio alle sue spalle. Era quello l'epicentro da cui si diramavano le vibrazioni. Anche se la torre sembrava intatta e non presentava crepe all'esterno, Ilo percepì che il pericolo era imminente.

Non era un Daimonmaster e non possedeva l'intelligenza arcana, ma era abbastanza sveglio per collegare l'improvviso indebolimento degli Elfi Scuri con la poderosa energia che stava scuotendo le fondamenta della fortezza. Socchiuse le palpebre e si concentrò sul proprio respiro per ricacciare indietro l'ansia che lo stava assalendo.

Aidan...

Non c'era un altro nome da dare a quel fenomeno.

Un Daimonmaster sta morendo e uno sta trionfando.

Al suo cuore, però, non restava che attendere e lasciare che la testa si occupasse di compiti ben più urgenti. 

Riaprì gli occhi e realizzò di essere troppo distante da Fanelia per poterla avvertire di quanto stava accadendo. Doveva raggiungerla nel minor tempo possibile. Per quanto fosse ostica la sua richiesta, voleva che la regina comandasse ai suoi di respingere i nemici oltre le mura. Dovevano allontanarsi ad ogni costo da quella torre sotto la quale erano asserragliati.

Spronò il cavallo e cercò di infilarsi nei varchi lasciati aperti dagli scontri per trovarla.

Galanár sollevò la spada e la calò con violenza. Una scintilla si sprigionò nell'impatto e un suono sordo riempì la sala. Con un colpo netto, spezzò l'anello della catena che legava Lomion.

Silanna, dopo quell'istante di sospensione, riprese fiato e subito aiutò l'elfo ad alzarsi.

"Dobbiamo andare", disse con urgenza. "La torre sta crollando".

Galanár non ebbe il tempo di comprendere cosa stesse accadendo. Si sentiva lucido, eppure gli sembrava di aver dormito fino a un attimo prima. La richiesta di Silanna e i suoi gesti nervosi lo disorientarono, ma il suo senso pratico lo spinse a riporre Ariendil nel fodero senza fare domande e ad aiutare l'elfa a sostenere Lomion su per le scale.

Raggiunsero la sala in cui i cavalieri del re avevano massacrato i soldati nemici. Il generale osservò con sgomento i suoi soldati, impegnati a depredare senza alcuna pietà i corpi. Con un comando imperioso, li richiamò all'ordine. Comandò loro di risalire e di abbandonare la torre in tutta fretta, quindi prese Lomion sulle spalle. L'elfo era così smagrito dalla prigionia da non rappresentare un grande fardello per Galanár. In quel modo avrebbero accelerato il passo.

Le scosse diventavano sempre più intense e frequenti man mano che si spostavano verso l'uscita. Frammenti di pietra iniziarono a staccarsi dal soffitto e a precipitare su di loro. Silanna rallentò per creare uno scudo d'Aria che potesse proteggerli, quindi si accodò al drappello.

Erano quasi arrivati alla zona centrale del pianterreno, la prima che avevano attraversato dopo essere penetrati nella torre, quando l'elfa si arrestò. Sollevò le ciglia e il suo cuore perse un battito. Un ricordo agrodolce, che mescolava la collera alla preoccupazione, le salì alla testa e offuscò ogni altro ragionamento. Il ricordo lontano di una mattina di pioggia e fuoco, di rabbia e amore.

Sì, era davvero furente, quel giorno. Lo rammentava bene.

Valkano stava crollando davanti ai suoi occhi e lei era fuori di sé.

Tutta colpa di Edhel!

Chi si credeva di essere, quel ragazzino? Lei era un Daimonmaster e lui...

Lui era solo un incantatore arrogante, sfacciato e del tutto impreparato!

Si sarebbe meritato una sonora lezione, invece lei non aveva mosso un dito. Non gli aveva concesso neppure un briciolo della sua ira. Gli aveva voltato le spalle e si era allontanata a grandi passi da ciò che restava del monastero.

Fuori di sé, sì. Perché Edhel l'aveva baciata a quel modo, come se fosse stato lui il padrone. Perché l'aveva lasciata lì senza concederle nemmeno una replica. Perché non aveva voluto ascoltarla e men che meno tornare indietro.

Soprattutto, perché le aveva piantato nel cuore il seme di una preoccupazione che non aveva nessun diritto di nutrire.

Era stata sul punto di mettersi a piangere e aveva pensato di poterlo odiare con tutte le sue forze. Perché in quel momento aveva capito: voleva che lui vivesse, e che vivesse vicino a lei. Nell'attimo stesso in cui aveva sperimentato il desiderio, però, aveva compreso anche di doverlo seppellire. Lì, dove non potesse mai essere trovato, sotto le pietre e la polvere, sotto le rovine dove lui sarebbe morto a breve.

Perché se a lui non importava affatto di vederla ancora, ed era evidente che non gli importava, allora non doveva importare nemmeno a lei.

Così gli aveva voltato le spalle e si era allontanata. Lo aveva lasciato all'abbraccio di quella torre che stava per crollare. Dimenticato, perduto, solo.

Quel giorno io l'ho abbandonato...

Il dolore di quel rimpianto l'aggredì con violenza e le tolse il fiato.

Se solo avesse avuto un'altra occasione, non avrebbe rifatto quella scelta. Ma lei, loro, non avrebbero più avuto un'altra occasione. E se quella era l'opportunità che il destino le offriva per fare ammenda, Silanna non si sarebbe tirata indietro.

I soldati stavano già sciamando all'esterno. Dovevano solo infilarsi nel corto corridoio che li separava dall'ingresso principale per guadagnare l'uscita. Silanna si fermò al centro della sala e Galanár, sorpreso, si girò verso di lei quel tanto che gli bastava per guardarla senza perdere la presa su Lomion.

"Silanna, andiamo!", la esortò.

Lei non si mosse. Si limitò a guardare il soffitto. Le pareti cominciavano a scrostarsi, la stanza si riempiva di una soffocante polvere cenerina. Galanár, spazientito, fece scivolare Lomion al suo fianco e lo sostenne con un braccio, mentre con l'altro afferrò l'elfa. Lei reagì a quel contatto e si liberò dalla stretta con uno scarto energico.

"Devo tornare indietro".

"Tornare indietro? Ma di che parli? L'uscita è proprio lì, davanti a noi!"

"Portatevi in salvo", replicò con un sorriso. "Io non posso lasciarlo da solo. Non lo farò di nuovo".

Lui si fece serio. Soppesò le sue parole con preoccupazione, poi annuì.

"Silanna", mormorò con la stessa compostezza, "grazie".

L'elfa chinò appena le ciglia. Un gesto al quale lui era stato ben avvezzo, un tempo. Un gesto che aveva il sapore della compiutezza.

Galanár si voltò e sostenne il re elfo lungo il passaggio. Silanna lo seguì con lo sguardo fino a quando la loro sagoma si disegnò contro la pallida luce esterna, quindi imboccò le scale e cominciò a salire verso la cima della torre.

Una volta ancora i Daimon avevano reagito al terrore e al turbamento di Aidan. Di fronte al pericolo, si erano manifestati per difendere la sua vita. Soprattutto Vilya, che lo aveva accompagnato fin dalla nascita e che lo rendeva più resistente proprio contro la violenza di Vargas, perché lo contrastava sul suo stesso elemento d'elezione.

Edhel ridacchiò. Di certo quel particolare doveva irritare moltissimo l'Alto Elfo. Si chiese se non fosse possibile utilizzarlo a proprio vantaggio. I Daimon si erano risvegliati nello spirito di suo fratello. Forse aveva qualche possibilità che lui riuscisse a entrare in contatto con il loro spazio sacro. 

E che possa sentirmi.

Non chiedeva altro. Anche un sottile varco, una minuscola crepa gli sarebbero andati bene. Se li sarebbe fatti bastare. Sfiorare suo fratello era tutto ciò che desiderava.

Aidan, intanto, continuava a invocare i suoi Daimon. I loro nomi gli scivolavano tra le labbra come una preghiera sommessa, intrecciati alle benedizioni che aveva imparato. Non aveva più fiato, eppure quella litania sembrava in grado di fargli scorrere il sangue nelle vene, di dargli la forza necessaria per contrastare Vargas.

"Usa Nor", bisbigliò Edhel. "Usa la Terra, che ti appartiene, ed è il Daimon più forte contro l'Aria".

Aidan, come rapito da un incanto, sollevò la spada e la sbatté con forza sul pavimento.

Le pietre tremarono e sussultarono al suo tocco. Vargas indietreggiò di qualche passo, colto di sorpresa dal tremito che si era diffuso come un'onda fino alla parete che si trovava alle sue spalle. Aidan ne approfittò per rimettersi in piedi, quindi piantò lo sguardo sul suo avversario.

Qualcosa, nella sua espressione, era cambiato.

Più aveva l'impressione di allontanarsi da se stesso, più sentiva crescere dentro una forza incontenibile. Quell'energia si diffondeva in ogni fibra del suo corpo e, tanto più Aidan vi si abbandonava, quanto più se ne alimentava.

Edhel si concesse un sospiro di sollievo e chiuse gli occhi. Dentro di sé percepiva lo scorrere di tutti i fili del tempo. Si concentrò per afferrare Aidan, per ancorarlo al proprio spirito e a quel momento.

"Questa volta dobbiamo cercare la perfezione", scandì nella sua mente.

"La perfezione?"

Edhel sussultò. Era la voce di Aidan, quella che aveva risposto alla sua affermazione. L'avrebbe riconosciuta in ogni tempo. Il suo cuore accelerò per l'emozione, e insieme per il timore, di essersi sbagliato.

"Cos'è la perfezione, Edhel?"

L'elfo sorrise. Non si era ingannato.

"Te lo spiego subito", replicò commosso.

Aidan fece un cenno di assenso con il capo.

Vargas lo guardò sorpreso, senza capire. Il potere dei Daimon cresceva attorno a loro e riempiva la sala. Il Maestro poteva sentirlo e quelle vibrazioni arcane accesero in lui un oscuro fervore. Deciso a mettere fine a quella logorante schermaglia, si preparò all'ultimo assalto. Li avrebbe avuti. Li avrebbe avuti tutti e quattro.

Edhel percepì la sua sete, perché un tempo l'aveva sperimentata a sua volta. Sempre più inquieto, tornò a rivolgersi al fratello.

"La perfezione è un attimo di equilibrio totale prima che il tempo riprenda fiato... sai di cosa sto parlando, vero?"

Aidan sorrise. Sì, lo sapeva.

Si impegnò per afferrare quell'attimo di cui Edhel gli parlava nella testa. Allargò le braccia e iniziò a fare ciò che, per lui, somigliava di più all'idea di perfezione: danzare con le lame, come aveva fatto mille altre volte.

Con un'unica differenza.

Aveva abbandonato la spada sul pavimento. Le sue lame erano di ghiaccio e di fuoco. Riusciva a generarle dal nulla e a lanciarle con eleganza e precisione, senza nemmeno cercare il bersaglio. Gli bastava ascoltare l'Aria per accordare i suoi movimenti agli spostamenti dell'avversario. Con sua enorme sorpresa, Vargas si trovò obbligato a difendersi. Indietreggiò di qualche passo mentre Aidan gli andava incontro, e iniziò a schivare i colpi.

"Ora basta!", esclamò.

L'arciere fu obbligato a interrompere ogni azione. Vargas aveva creato un vortice d'aria attorno al suo corpo e stava annullando la sua magia. L'incantatore sembrava ormai consumato dall'urgenza di porre fine allo scontro, l'espressione sul suo viso si era fatta feroce.

"È del tutto inutile ciò che state facendo!", esclamò sprezzante. "Evocare tutta questa potenza per cercare di uccidermi? Certo, è persino possibile che per sbaglio ci riusciate, ma cosa ne avrete ottenuto? Se usate quel potere, i Daimon vi faranno a pezzi, morirete anche voi".

Nel silenzio che seguì si udì solo il rumore folle di Vilya che ruotava nel vortice d'aria. Aidan si era fermato al centro della sala e guardava Vargas.

"La perfezione è l'istante in cui abbiamo generato la luce ad Hakala", recitò la voce di Edhel dentro il suo cuore. "È il nostro abbraccio. È il tuo sorriso. È la mia spada che tu hai conservato per anni..."

Aidan assaporò quelle parole come versi di una poesia. Se le fece scivolare dentro una per una, e ciascuna aggiungeva calore a quella precedente, fino a che smise del tutto di avere freddo. Dischiuse le labbra in un lieve sorriso.

"Sono pronto".

Si era rivolto a Vargas, ma aveva risposto a Edhel.

Il gemello annuì. Chiuse gli occhi e anche Aidan serrò le palpebre.

"La perfezione", concluse Edhel, con la voce che gli vibrava per l'emozione, "siamo noi quando siamo insieme".

Prese un lungo respiro e cercò di afferrare l'istante assoluto.

"Come adesso, Aidan... adesso!"

Adesso!

Era quello, il segnale. Evocarono i Daimon insieme, come avevano fatto un tempo sotto il cielo di Hakala, nel furore della battaglia. Quella volta, però, l'onda di luce si sprigionò dal corpo di Aidan, che restava immobile al centro della sala, le braccia aperte, le dita tese ad abbracciare ciò che lo circondava.

"Cessate immediatamente", gli ordinò l'incantatore con violenza, "o questa sala di ghiaccio sarà la vostra tomba!"

Aidan lo ignorò. Sembrava che non lo vedesse, né lo sentisse.

Il viso di Vargas si increspò in una fulminea smorfia di sgomento. Ebbe l'impressione di scorgere delle ciocche rosse che si sollevavano nel vento, mentre qualcosa che somigliava alla risata leggera di Edhel gli ferì l'orecchio.

Fu la sua ultima percezione senziente prima che il calore bruciante dei Quattro Daimon lo attraversasse da parte a parte e lo divorasse.

NOTA DELL'AUTORE

Il titolo Alius et item, cioè Diverso e uguale, vuole riprendere l'espressione utilizzata da Aidan qualche capitolo fa per descrivere i gemelli.

La locuzione, in verità, ci viene da Orazio (Carmen saeculare, v. 10) che la usa per riferirsi al Sole, che rinasce ogni giorno pur rimanendo lo stesso.

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