41. AUT CUM SCUTO AUT IN SCUTO
La cavalleria corazzata impattò contro la fanteria nemica con un suono tetro e terribile.
L'urto violento, il metallo e la ferocia delle spade produssero l'effetto che Galanár aveva sperato: la prima linea cadde, lo schieramento arretrò e il suo ordine interno si sgretolò, creando delle falle. Fu proprio in quei punti che i cavalieri si accanirono per dare inizio agli scontri ma, mentre la lotta prendeva vita sempre più caotica, gli Elfi Scuri che chiudevano come una cintura le spalle dell'esercito iniziarono a recitare i loro oscuri incantesimi.
Galanár vide cadere i cavalieri al suo fianco: invisibili frecce d'aria, fiamme che ardevano dall'interno, radici che emergevano dal suolo, acqua che riempiva i polmoni. Il fiato gli si mozzò di fronte a quello spettacolo. Che lo volesse o meno, che gli piacesse o meno, quella battaglia non si stava svolgendo come tutte le altre. Non c'erano regole e, se anche c'erano, non avevano nulla a che fare con la strategia militare che lui aveva sempre messo in campo o previsto. Non era la spada che gli avrebbe portato la vittoria. Quei due eserciti si muovevano su piani diversi.
Un dardo invisibile lo colpì con violenza e lo fece vacillare. Lo scudo di Silanna tremolò e cominciò a sbiadire. Galanár, sopraffatto, girò la cavalcatura e urlò all'indirizzo dei suoi. Dovevano arretrare o sarebbero morti tutti.
Aidanhîn vide la manovra disperata della cavalleria che tentava di ritornare nei ranghi e cominciò a gridare ordini ai suoi arcieri. Gli archi dovevano sollevarsi di nuovo e lanciare dardi senza lasciare spazio tra un tiro e l'altro per coprire la ritirata.
Nello stesso momento, Fanelia aveva fatto avanzare i lancieri di Aermegil. Se il nemico avesse deciso di approfittare dell'arretramento della cavalleria per guadagnare terreno, avrebbe trovato le lunghe picche appuntite a sbarrare il cammino.
Quanto a Silanna, le era bastato avvertire l'urto che aveva quasi frantumato lo scudo magico di Galanár per comprendere la violenza dell'attacco che stava per sopraggiungere. Un altro colpo simile e il generale non avrebbe avuto scampo. Incitò i Silmëran alla battaglia: loro erano l'ultimo baluardo di speranza contro le arti proibite di Vargas e dei suoi Elfi. Senza attendere oltre, scagliò tutta la forza della Luce contro quella degli avversari, nello strenuo tentativo di arginare la loro oscura potenza.
Galanár e i cavalieri scampati all'attacco riuscirono a rientrare. Il generale si girò a studiare la situazione. Doveva rivalutare i suoi piani e senza perdere un attimo. Doveva smettere di considerare la battaglia come aveva sempre fatto e iniziare a ragionare come il suo nemico. Doveva ragionare come Vargas.
Pensa, pensa... pensa in fretta! Oppure... oppure ricorda!
Riportò se stesso ad Hakala e si obbligò a ripassare situazioni, manovre, schemi e ogni possibile dettaglio che era riuscito a scorgere dalla sua posizione. Lo schieramento elfico, Edhel che li guidava, i draghi, Vargas.
No, Edhel!
L'intera potenza aggressiva dell'esercito era in mano a Edhel. Gli elfi proteggevano lui e, quando lui era caduto, avevano cessato di combattere. Il suo sguardo corse verso l'alto e puntò la torre che sovrastava l'intero scenario di guerra.
"Ti piace giocare da solo, vero, Vargas?", mormorò.
Deciso a non sprecare neppure un istante, cavalcò verso il punto in cui i suoi compagni erano riuniti.
"È inutile cercare lo scontro", esordì senza troppi preamboli. "Rischiamo soltanto di farci massacrare. Dobbiamo puntare alla torre e abbattere Vargas".
Fanelia gli indirizzò una smorfia dubbiosa.
"E come pensi di arrivare fin lì?"
"Dobbiamo essere precisi come i meccanismi di un argano. Tu, Fanelia, e tu, Aidan, dovete colpire un singolo manipolo e proseguire con quello accanto, senza dar loro il tempo di riorganizzarsi. Gli incantatori si affretteranno a schermarli per il vostro successivo attacco. Io, nel frattempo, cercherò di incunearmi e di sfondare le fila fino all'ingresso della torre. Silanna, tu sarai dietro di me assieme ai tuoi e proteggerete i cavalieri".
Tutti assentirono di fronte ai suoi ordini. L'attenzione di Galanár si spostò allora sul giovane mago, l'unico che non aveva ancora interpellato.
"Ilo, terrai con te un gruppo di incantatori per proteggere Aidanhîn e la regina Fanelia. E fai del tuo meglio per portarli interi fino alla torre!"
Il ragazzo annuì e sorrise. Sembrava l'unico ancora in grado di farlo.
"Non sarà facile muoversi con tanta precisione", osservò Fanelia con voce cupa.
"È la sola possibilità", ribadì il generale. "O vinciamo o moriamo".
L'azzardo di Galanár, una volta ancora, sembrò funzionare.
Aidan e Fanelia puntarono ai loro obiettivi con metodica precisione e riuscirono a ritagliare lo spazio necessario per la seconda carica della cavalleria. Una carica che non si arrestò per il combattimento, ma proseguì impavida, a spezzare la resistenza avversaria.
Il generale forzò la mano ai propri uomini e a quelli del nemico pur di guadagnare il passaggio che li avrebbe condotti alla torre. Silanna era ancora alle sue spalle perché avvertiva addosso la magia del suo scudo. Con quella protezione a infondergli sicurezza, conquistò palmo a palmo la terra che stava calpestando, senza guardarsi indietro, senza mai chiedersi cosa stesse accadendo attorno a lui. Vita dopo vita, senza nemmeno guardare in faccia il suo nemico, dispensò colpi di spada e di scudo con la coscienza che non ci sarebbe stato un ritorno.
Galanár non avrebbe saputo dire come fosse giunto a conquistare quella posizione. Sapeva solo che, a un certo punto, non si era trovato più nessuno davanti ed era sceso da cavallo. I gradini che conducevano alla torre erano di fronte a lui ed erano deserti. Li affrontò in modo meccanico, si fermò a metà della salita, quindi si girò a guardare la scena.
Non c'è ritorno.
La torre era alle sue spalle, la battaglia infuriava attorno a lui e alle truppe che aveva guidato fin lì. Erano nell'occhio del ciclone, in quel centro instabile che godeva di una calma apparente. Dovevano solo cercare di resistere alla furia che montava dai margini della tempesta e risaliva a lambirli.
Ordinò ai suoi cavalieri di schierarsi a protezione dei Silmëran che li avevano seguiti. I guerrieri fecero cerchio attorno a loro e lasciarono solo uno stretto varco in direzione della torre. Gli incantatori avanzarono, spronati da Silanna. Mentre procedevano, continuavano a tessere i loro incantesimi, ad accecare i nemici con fasci di luce e a infiammare le spade dei soldati di Galanár.
Nonostante l'impegno e l'organizzazione, però, la pressione sui due fianchi si fece presto insostenibile. Le forze nemiche si erano riorganizzate e, dall'esterno, sciamavano verso il centro di Lumëran, dove Uomini e Silmëran si erano asserragliati. Non avevano ormai altra via di fuga che non fosse la torre stessa.
Galanár cominciò a domandarsi con crescente preoccupazione che cosa ne fosse stato di Aidan e Fanelia. Se quella emorragia di soldati si stava precipitando sul loro contingente dal varco che loro stessi avevano aperto, poteva solo dedurne che fossero stati respinti. O, peggio, sbaragliati.
Scosse il capo con violenza per rigettare quell'ipotesi e tranciò di netto la testa del soldato che lo stava ingaggiando. Guadagnò ancora qualche gradino e raggiunse Silanna, che si era spinta fino in cima.
"Vi apriremo le porte della torre, ma dopo dovrete cavarvela da soli", disse in fretta.
"Non siamo guerrieri", protestò lei. "E non sappiamo cosa troveremo là dentro".
"Non posso fare altro. Devo tenere il fronte ed evitare che ci travolgano. Posso solo darti il tempo di cercare Vargas e di farlo fuori con i tuoi incantatori, se..."
La frase fu interrotta dalla carica di due soldati che si erano lanciati contro di loro con le spade sguainate. Galanár, d'istinto, spinse Silanna dietro le sue spalle e sollevò Ariendil davanti a sé. La lama della spada brillò di luce nel grigio lucore di quello spiazzo mentre respingeva l'attacco nemico. Con una violenta bordata, il re allontanò uno dei due assalitori e riuscì a bloccare l'affondo dell'altro. Quando il primo soldato tornò alla carica, però, fu costretto a girarsi per parare e scoprì il fianco. L'avversario ghignò e si preparò al colpo, ma un attimo dopo si accasciò a terra, trafitto alle spalle da una lancia. Galanár approfittò della confusione che si era creata per finire il secondo uomo con un affondo, quindi sollevò lo sguardo per cercare il suo salvatore.
"Servono rinforzi, generale?"
Sorrise all'udire la voce di Fanelia, e sospirò di sollievo quando una piccola salva di frecce si levò alla sua destra e lo avvertì che anche Aidan stava arrivando. Dovevano essersi infilati nel varco aperto dai suoi cavalieri ed erano avanzati fino a ricongiungersi a loro. Il ché era di certo una bella mossa, ma implicava anche qualcos'altro: si erano portati dietro i reparti nemici all'inseguimento.
Galanár ricalcolò in un lampo tutte le posizioni dello schieramento. C'era la torre, con Vargas e altri pericoli sconosciuti all'interno, e c'erano loro, riuniti in un unico manipolo e schierati nello spazio davanti all'edificio, ormai circondati dalle forze nemiche.
No, davvero non c'è ritorno. Non in questa circostanza.
Aidan e Ilo arrivarono in quel momento. Tagliarono in mezzo ai cavalieri che sostenevano l'attacco sui due lati e smontarono da cavallo per raggiungerli in cima alle scale.
"Credo sia chiaro a tutti quale sia l'unica possibilità rimasta", tagliò corto Galanár. "Siamo circondati e non abbiamo scampo. Farci fuori, per loro, è solo una questione di tempo. Dobbiamo entrare con i Silmëran nella torre e uccidere Vargas. Se falliamo, sarà stato tutto inutile".
Fanelia si fermò al suo fianco. Con il dorso della mano guantata, sfiorò piano quella di lui.
"Terrò io il fronte", disse senza alcuna esitazione. "Con l'aiuto degli arcieri di Aidan e dei tuoi cavalieri, cercherò di regalare quanto più tempo possibile alla vostra ricerca".
Galanár strinse le dita di lei tra le sue e le tenne avvinghiate, al riparo dei loro mantelli.
"Sta bene", disse, senza far trapelare il minimo trasalimento o la minima preoccupazione. "Io e Aidan prenderemo solo gli uomini necessari per proteggere Silanna e i suoi migliori Maestri. Il resto delle truppe è nelle tue mani, capitano".
Nessuno replicò. Non c'era null'altro da fare che eseguire gli ordini. Silanna radunò al suo fianco gli incantatori più dotati, poi il suo sguardo si spostò sul giovane che le stava di fronte.
"Mastro Ilo".
Il mago ebbe un sussulto nell'udire l'accento dolce e deciso con cui lei aveva pronunciato il suo nome. Raddrizzò la schiena e sollevò il capo con orgoglio.
"Affido a voi i miei incantatori", proseguì l'elfa. "Guidate la loro magia e proteggete a ogni costo la vita della regina Fanelia. Siate il suo scudo... e siate anche il nostro".
Ilo non riuscì a trattenere un sorriso riconoscente e abbozzò un inchino.
"Sarà un onore per me mettere la mia vita al servizio della regina Fanelia. E al vostro, signora".
Erano pronti. Galanár diede una rapida occhiata alla disposizione delle truppe, quindi fece cenno di procedere. Ordinò ai suoi cavalieri di sfondare la porta d'ingresso della torre e, con l'aiuto della magia, le pesanti assi di legno andarono in frantumi in pochi minuti.
Di fronte a loro si apriva una sala spoglia e semibuia. Aidan entrò per primo con la spada sollevata davanti al viso, subito seguito da Silanna. Galanár, per la prima volta, restò indietro e lasciò sfilare i suoi uomini. Si attardò solo un istante, prima di chiudere il gruppo. L'ultima immagine che vide fu la sagoma di Fanelia. Era risalita a cavallo e aveva sguainato la spada. Dalla sua posizione elevata, studiava le possibili falle lasciate aperte nel loro schieramento e lanciava ordini ai diversi reparti. Ilo era al suo fianco. Il fuoco avvolgeva la sua arma e illuminava di un fioco bagliore rossastro i gradoni di pietra grigia alle loro spalle.
Se le fosse accaduto qualcosa, pensò Galanár in un lampo, lo avrebbe scuoiato. O lo avrebbe lasciato morire di fame e di sete. O lo avrebbe dato in pasto alle creature marine di Silmëran. Sorrise, suo malgrado, sorpreso dal numero di torture che era stato in grado di elaborare in così breve tempo. Non avendo mai posseduto abbastanza fede per affidare coloro che amava alla cura degli Dei, indugiare in quel genere di pensieri era il solo modo che Galanár conosceva per esorcizzare il male.
NOTA DELL'AUTORE
Aut cum scuto aut in scuto: la frase latina traduce il greco 'Η ταν ή επί τας e significa O con lo scudo o sopra lo scudo. Secondo la tradizione era un motto dei soldati spartani, che dovevano tornare a casa vittoriosi (con lo scudo al braccio), oppure morti (trasportati sopra il proprio scudo). Qualsiasi altra alternativa era considerata disonorevole.
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