37. LUCIS ANTE TERMINUM
Il risveglio era il momento più crudele. Il ricordo riusciva a essere vivo e pungente a dispetto del tempo che era passato e Aidan, ogni mattina, doveva sforzarsi per non boccheggiare.
Loro si svegliavano sempre abbracciati. I loro corpi sembravano aver trovato un perfetto punto di fusione. Il viso di Adwen aveva come cuscino l'incavo della sua spalla, le braccia di Aidan le si chiudevano attorno al corpo come un doppio sigillo fissato sui suoi fianchi.
Non ricordava un frammento della sua pelle che non aderisse a quella di lei. Chiarore nel chiarore, ciocche bionde che si intrecciavano in una mescolanza di sfumature. La luce del mattino illuminava ogni volta una sola, inscindibile figura che, avendo raggiunto la sua completezza, non poteva più essere separata.
Sì, il risveglio era sempre il momento più crudele della giornata, per lui. Gli procurava un languore che era quasi sgomento, come se si fosse accorto di aver perso un braccio o una mano.
"Sei sicuro? Di riuscire a sopportare le conseguenze, quando tornerai e dovrai guardarla negli occhi?"
Sicuro, doveva esserlo. Perché ciò che stava facendo era anche per loro, per tornare un giorno a quell'abbraccio assoluto.
"Un grande dolore per generare un bene ancora più grande", mormorò, come se dovesse rammentare a se stesso il motivo per cui valeva la pena tirarsi su dal letto e mettersi in piedi.
Quel giorno avrebbero dovuto completare gli ultimi preparativi prima di lasciare Silmëran e Aidan aveva parecchie cose da sistemare.
Scese subito all'attracco delle barche. Sapeva che l'avrebbe trovato lì, ma non immaginava certo che fosse in compagnia di Ilo. Mellodîn era impegnato in un fitto discorso, di fronte al quale il giovane annuiva in silenzio. Una situazione del tutto inusuale, considerati gli abituali discorsi laconici del comandante e la proverbiale parlantina del mago.
Li salutò e i due smisero di colpo di parlare. Aidan li studiò con sospetto, poi interrogò l'incantatore.
"Sei pronto?"
Quello rispose con una smorfia scocciata.
"Prontissimo. Certo, dover partire proprio adesso, che avevo appena imparato a fare questo..."
Distese i palmi delle mani e concentrò lo sguardo su un punto invisibile davanti a sé. Una pallida sfera di luce si sollevò sopra di loro prima di disintegrarsi in una esplosione pulviscolare.
Mellodîn, ancora con il naso in su, aggrottò le sopracciglia.
"Stupefacente! Scommetto che Vargas scapperà via di fronte ai tuoi immensi poteri".
Il mago incrociò le braccia sul petto e gli lanciò uno sguardo in cagnesco. Il re ridacchiò.
"Sei sicuro che non preferisci andare con il comandante?"
Ilo inclinò il capo e sorrise sghembo.
"Ah, Vostra Stoltezza! Pensi di liberarti di me con tanta facilità?"
Aidan nascose il sorriso che per un istante gli aveva illuminato il viso, poi sollevò le ciglia e cercò lo sguardo di Mellodîn.
"Quindi siamo solo noi a doverci salutare".
"Per il momento", sottolineò il comandante con l'aria tranquilla.
L'arciere annuì, poi gli si fece da presso e l'abbracciò.
"Quando la vedrai", aggiunse appena si fu ritratto dalla stretta, "dille di non portarmi rancore e di pensare solo che, sapendola in pericolo, avrò un motivo ancor più grande per tornare alla svelta".
"Allora cerca di non farmi diventare bugiardo, capitano Aidanhîn".
Il giovane si lasciò sfuggire una smorfia divertita ma, quando tornò a fissare gli occhi del suo comandante, quel bagliore di felicità si attenuò e il suo viso si compose in un'espressione compunta.
"Mi dispiace se ti ho mentito. Ero confuso e spaventato da questa scoperta. Mi sono voluto convincere del fatto che, se non ne avessi parlato con nessuno, sarei potuto andare avanti come se nulla mi fosse accaduto".
Mellodîn non si scompose. Si limitò a poggiargli una mano sulla spalla con fare rassicurante.
"Ascolta, ragazzo: ricordi quella mattina in cui ti ho visto giocare con due lame lunghe quanto il tuo braccio nella sala del trono di Arthalion?"
L'arciere scosse appena le sue ciocche bionde e rise a quell'immagine.
"Certo che lo ricordo".
"Avevo già capito allora che mi avresti dato parecchio filo da torcere, quindi... non scusarti".
Con una risata bonaria, il comandante sollevò la mano dalla spalla del ragazzo e gli assestò un leggero scapaccione.
"Il Supremo Daimonmaster... e chi l'avrebbe mai detto?"
Gli scompigliò i capelli, poi si scostò appena per guardarlo. Gli occhi erano lucidi, la sua espressione mescolava affetto e orgoglio.
"Scommetto che Edhel, dovunque si trovi adesso, sta morendo d'invidia!", scherzò infine, per scacciare la commozione che lo stava afferrando.
"Già...", mormorò l'arciere.
A Mellodîn non sfuggì l'ombra che aveva attraversato gli occhi di Aidan. Tornò a interrogarlo con uno sguardo penetrante.
"A proposito... A cosa alludeva Silanna, l'altro giorno? Cos'è questo pericolo che corri usando la magia?"
Il ragazzo fece un gesto svogliato con la mano.
"Oh, nulla di cui preoccuparsi".
Ilo inarcò il sopracciglio e si portò le mani alla cintura, mentre le labbra gli si increspavano in una smorfia.
"Non hai ancora capito che sei pessimo nel raccontare bugie, Vostra Trasparenza?"
Il re dischiuse la bocca, alla ricerca di una scusa che non riuscì a inventare, quindi abbandonò quel proposito.
"Voglio solo che non vi prendiate pena per me. Prometto che starò attento".
"Guarda che ti terrò d'occhio", asserì il mago con un sorriso.
"Bella garanzia!", lo canzonò il comandante.
L'incantatore, con aria imbronciata, fece per ribattere, ma la voce di Aidan anticipò la sua protesta.
"Uno così testardo da non mollarti mentre precipiti giù per un abisso senza fondo è di certo una bella garanzia".
Diede un'ultima stretta al comandante, poi si obbligò a staccarsene.
"E adesso tornate pure a confabulare alle mie spalle. Ho ancora qualche affare da sbrigare prima di lasciare Silmëran".
Lasciare Silmëran non era mai stato nei suoi progetti.
Scendere di nuovo in campo al fianco di Galanár ancor meno. Trovarsi faccia a faccia con Vargas, poi, era un'eventualità che non aveva mai voluto immaginare neanche nei suoi sogni peggiori. Nemmeno nella finzione aveva voluto ipotizzare quali sarebbero potuti essere i suoi sentimenti di fronte a colui che aveva ucciso Edheldûr.
Silanna attraversò il corridoio che conduceva alle sue stanze con la mente piena di pensieri discordanti. Si diresse verso la piccola sala interna, ma si arrestò sulla soglia. La scena che intravide dal vano della porta la obbligò a trattenere il fiato.
Aidan era in piedi e le dava le spalle. Stringeva in braccio Edhel, perché i lucenti capelli scuri del bambino gli ricadevano sulla spalla, che era di nuovo coperta dall'abituale spallaccio di cuoio.
Quell'immagine le trasmise un sentimento agrodolce al cuore. Non riusciva a stabilire se fosse bellissima o terribile. Forse era entrambi quegli aspetti. Come se passato e futuro fossero entrati in collisione in maniera inaspettata. Come se un incontro e una separazione potessero convivere nello stesso istante. Un istante che lei non osò sfiorare.
Avvertì il bisogno fisico di avere un sostegno. Si spostò senza fare rumore, si appoggiò allo stipite e rimase ad ascoltare la loro curiosa conversazione.
"Vedi, Edhel? Queste due lame sono gemelle".
"Che significa?"
"Un gemello è una persona che è uguale a te e nello stesso tempo è del tutto diverso da te".
Il bambino non rispose. Quel pensiero doveva averlo confuso. Silanna si portò una mano alle labbra. L'ansia per ciò che Aidan avrebbe potuto dire le stava facendo contorcere il cuore.
"I gemelli non dovrebbero mai essere separati", continuò l'arciere con dolcezza. "Infatti queste lame non sono mai state separate. Però la parola di un re è sacra".
Depose Edhel a terra e si inginocchiò per potergli guardare il viso. Sulla mano aperta scintillava uno dei suoi pugnali.
"Questa è Isil e adesso è tua. Abbine cura perché ti proteggerà sempre, tutte le volte che sarai in pericolo".
Gli occhi trasparenti di Edhel avevano lo stesso sguardo assorto di ogni bambino che si sforza di comprendere. Le sue labbra si erano arricciate in una smorfia di dispetto che Aidan conosceva fin troppo bene. Fissava la lama splendente con curiosità e timore allo stesso tempo, ma non osava toccarla.
"Come si usa?", chiese infine.
Il viso del re si contrasse in un'espressione preoccupata. Se quel bambino aveva ereditato anche solo una briciola dell'irruenza del suo gemello, forse avrebbe dovuto essere più cauto.
"Per il momento è meglio che tu la custodisca. È un po' presto per imparare a usarla".
"Voi quando avete imparato, maestà?", chiese con tono caparbio.
Aidan pensò che dire la verità, in quel caso, non si sarebbe rivelata una buona mossa.
"Ecco, diciamo che...", tentennò.
"Il re di Helegdir era molto, molto più grande di te, Edhel".
Silanna irruppe nella conversazione quando ormai l'apprensione l'aveva del tutto divorata. Guardò Aidan con fare intransigente e gli sventolò davanti la mano aperta. L'arciere si alzò in piedi e si strinse nelle spalle, come a scusarsi, poi le consegnò l'arma con un sorriso impacciato.
"Diciamo che, per il momento, è meglio che vostra madre la conservi per voi", disse mentre si sforzava di recuperare un'aria compita. "Adesso concedetemi un ultimo abbraccio, principe Edhel, perché passerà ancora molto tempo prima che ci si possa rivedere, voi e io".
Si chinò e strinse il piccolo in una stretta così intensa che Silanna si sentì incrinare il cuore. Si pentì di averli interrotti e di essere stata così dura. In fondo sapeva cosa stava passando per la testa di Aidan. Lui sarebbe potuto non tornare. E anche lei, anche lei sarebbe potuta non tornare. Si chiese cosa ne sarebbe stato di Edhel, se il peggio fosse accaduto, ma quel pensiero era troppo doloroso da affrontare in quel momento. Fece portare via il bambino da una delle ancelle, poi rimase sola con Aidan.
"Ti chiedo scusa, non volevo..."
"Non importa", lo interruppe lei. "Significa che dovevi farlo".
Si girò verso lo scrittoio, poggiò il pugnale sul ripiano e vi lasciò la propria mano aperta sopra, senza aggiungere nulla. Aidan attese per qualche istante, nel tentativo di decifrare il suo silenzio.
"Glielo dirai?", chiese infine. "Lo dirai a Galanár?"
"Non occorre che lui ne sia al corrente. Non ancora, almeno".
Il ragazzo chinò il capo.
"È comunque un principe di Arthalion, lo sai".
Aveva pronunciato quella frase con aria grave, come se gli pesasse prendere quell'argomento, ma Silanna non riuscì comunque a trattenere la propria reazione istintiva.
"Ti ho già detto che Edhel non sarà nulla che lui stesso non sceglierà di essere!"
Aidan si irrigidì di fronte a quella protesta, ma non contrattaccò. Era triste quanto lei a quel pensiero, non aveva nessuna intenzione di far nascere un nuovo litigio.
"Galanár non ha ancora un erede, e quanto a me... Insomma, potrebbe rendersi necessario".
L'elfa si voltò di scatto, gli poggiò una mano sulle labbra e lo fulminò con un'occhiata severa.
"Ce la fai o no a tenerti questo segreto?"
Lui scostò la mano dal suo viso con delicatezza e sorrise.
"Se escludi mia moglie, sì".
Silanna sospirò.
"Edheldûr si fidava di te come di nessun altro", concluse. "A me non resta che fidarmi di lui, a quanto pare".
"Che c'è?"
Fanelia si era bloccata di colpo. Galanár, che le teneva la mano, non aveva potuto fare altro che voltarsi, sorpreso.
"Non staremo sbagliando?", chiese lei a voce bassa.
"Sbagliando?"
"Non pensi che sia fuori luogo, in un momento del genere? Stiamo partendo per la guerra, dovremmo preoccuparci di altro".
Senza lasciare la presa, lui tornò indietro di un passo e le si fermò di fronte.
"Capitano, ascolta il tuo generale e impara qualcosa di utile: non si va mai, mai in battaglia senza portarsi dietro un pensiero felice. È la prima regola per non morire".
Fanelia, di fronte al suo piglio sicuro, rimase senza parole. Riuscì solo a perdersi nell'azzurro dei suoi occhi, mentre le labbra le restavano dischiuse per lo stupore. Era davvero Galanár, quello che aveva di fronte? Quella bizzarra commistione tra il vecchio e il nuovo la seduceva, ma insieme la confondeva.
Lui la squadrò da capo a piedi e d'un tratto cominciò a ridere.
"Il costume di Silmëran non ti dona per nulla!", esclamò.
Lei gettò un'occhiata imbarazzata al lungo peplo candido con cui le ancelle di Silanna l'avevano vestita, poi passò la mano sui monili dorati e sui capelli intrecciati sulla nuca in un nodo dalla complessità per lei inimmaginabile. Si chiese cosa ci fosse che non andava nel suo aspetto, a parte il suo evidente imbarazzo di trovarsi quei panni, ma tutto sembrava ancora al proprio posto, così come le abili mani delle fanciulle Silmëran l'avevano trasformata. Capì, dallo sguardo irriverente di Galanár, che voleva solo stuzzicarla.
"Sei davvero scortese!", lo rimproverò piccata.
Le labbra di lui si schiusero in un sorriso seducente. Si chinò e avvicinò gli occhi a quelli di lei.
"Ti preferisco in abiti maschili. Mi ricordano che è meglio non sottovalutarti. E adesso sii gentile e non farmi perdere altro tempo".
Senza attendere la sua risposta, si girò e la trascinò con sé fino al centro della sala.
Lo Specchio di Luce risplendeva del suo bagliore dorato. Davanti a quell'altare li attendeva uno dei Maestri. Galanár e Fanelia si fermarono davanti a lui, quindi si disposero l'uno di fronte all'altra.
L'incantatore recitò un'armoniosa formula in elfico, poi immerse le dita nello Specchio. Quando le sollevò, una sfera di luce brillava intensa su ognuna delle sue mani. Si girò verso gli sposi e guidò le due stelle sopra il loro capo.
Il re guardò Fanelia con uno sguardo intenso. Le offrì i palmi aperti e, quando lei vi ebbe appoggiato sopra i propri, si accorse che tremava. Quel fremito lo fece esitare. Non aveva mai provato un tale trasporto e un simile istinto di protezione se non nei confronti di se stesso.
"Giurarti che sarò per te la luce non avrebbe alcun senso", esordì allora. "L'ho promesso a molti, a tutti, in questi anni, e così tante volte che adesso... sono stanco di dover splendere in ogni istante".
La sincerità di quell'ammissione trapelava da ogni suo accento. Non era più il re altezzoso, né il generale vittorioso. Era solo l'uomo che Fanelia era destinata a comprendere, proprio come lei aveva pensato la prima volta.
"C'è più ombra in me di quanta non se ne possa immaginare", proseguì lui. "Quindi non ti farò false promesse e non ti dirò che la mia luce rischiarerà il tuo cammino. Cercherò piuttosto di farmi illuminare dalla tua".
"E io non fingerò di credere la tua luce più fulgida di quanto non sia in realtà", rispose lei, con voce bassa ma misurata. "Perché sei davvero pieno di ombre e, quando splendi, lo fai solo per te stesso".
Prese fiato e, a dispetto degli occhi che le si erano fatti lucidi, si impose di guardarlo.
"Ma quello che io so, quello che adesso so, è che posso amare e prendermi cura anche della tua ombra".
Quando Fanelia tacque, il Maestro congiunse le mani. Le stelle sospese sopra il loro capo si avvicinarono, si toccarono e si fusero insieme. Particella dopo particella, formarono un'unica sfera, che iniziò a inondarli di una delicata pioggia dorata.
Sotto quel chiarore, Galanár avvicinò Fanelia al suo corpo e le labbra a quelle di lei. La baciò con lentezza, come se volesse davvero gustarsi il momento, tanto diverso da quello che avevano già vissuto.
Lei, quella volta, non chiuse le palpebre. Si sforzò di restare con le ciglia ben aperte per tutto il tempo di quel bacio. Oltre il riflesso dei capelli di Galanár, si accorse di cercare la luce con caparbia insistenza. Voleva restare a fissarla, scolpirla in ogni ricordo, farla propria fin quasi a farsi bruciare gli occhi.
Era l'ultimo bagliore, quello.
L'ultimo frammento prima del termine della luce.
NOTA DELL'AUTORE
Lucis ante terminum, Prima del termine della luce, è il primo verso dell'inno latino che si recita a Compieta, la preghiera che segna la fine della giornata nella Liturgia delle Ore.
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