17. ETIAM CAPILLUS UNUS HABET UMBRAM SUAM
"Le fogne? È tutto qui il tuo piano geniale?"
Aidan distolse lo sguardo dall'imboccatura dello stretto cunicolo maleodorante e lo riportò sul suo compagno di disavventure.
"Be', se c'è una strada che porta fuori dalle mura di una città, è di certo questa, mia graziosa maestà. Mi consta personalmente".
Aidan alzò gli occhi al cielo, rassegnato.
"Di tutti gli incantatori di Amilendor, doveva toccarmi in sorte proprio l'unico furfante?"
Scosse il capo, incapace di accettare quella situazione che andava ben oltre la sua fin troppo pratica immaginazione.
"Se lo raccontassi a Aegis", mormorò desolato.
Ilo finse di ignorare il suo sgomento.
"Bravo, raccontaglielo, la prossima volta che vedrai il Reggente. E fatti anche spiegare come evocare la Terra per passare oltre le mura senza infangare i tuoi bei stivali".
Lo afferrò per un braccio e lo trascinò lungo il cupo canale di scolo.
"Nel frattempo diamoci una mossa e vedrai che un giorno mi ringrazierai per questo".
Aidan fece un primo passo dietro la falcata decisa di Ilo, ma l'odore nauseabondo delle acque putride lo colpì come uno schiaffo e gli impedì di respirare. Era persino peggio di quanto immaginasse, e si ritrasse.
"Davvero non esiste un altro modo?"
Ilo si girò. A gambe larghe, i pugni sui fianchi, gli piantò addosso uno sguardo truce che mai si sarebbe aspettato da lui.
"Cosa ti spaventa di più, il patibolo o la fogna?", esclamò. "Scegli tu, maestà!"
Ad Aidan non restò altro che sospirare.
"Andiamo, Ilo", si arrese.
Raccomandò a se stesso di trattenere il fiato più a lungo possibile, si ripeté che svenire non era un'opzione accettabile per la sua dignità, e gli tenne dietro.
Mellodîn sollevò piano una mano e fece cenno a Bellator di arrestarsi. Il capitano di Medthalion si appiattì contro la parete e restò immobile, mentre il comandante si sporgeva cauto oltre l'angolo che si apriva alla sua sinistra per controllare la situazione. Quel passaggio sembrava deserto, ma la prudenza non era mai troppa. Si tirò indietro, a portata dell'orecchio del suo compagno.
"Nessuno da questa parte", sussurrò. "Mi raccomando, niente armi se non è necessario. Uccidere o ferire non ci sarebbero d'aiuto".
A Bellator bastò un battito di ciglia per comunicare il suo assenso. Poi, come aveva fatto centinaia di altre volte in passato, scivolò dietro al suo comandante con i sensi all'erta e pronto a qualsiasi evenienza.
Gordian era una città di commercianti, non di soldati. Mentre attraversavano le stradine più periferiche, popolate da bottegai e artigiani, nessuno li fermò. Così abituati al via vai di gente che si recava in città per vendere o acquistare, gli abitanti non si stupirono di quei due uomini che camminavano a passo svelto ma non frettoloso verso le porte della città. Le poche guardie cittadine che avevano scorto da lontano, poi, cercavano un giovane Daimonmaster straniero, che era biondo, elegante e con gli occhi chiari. Nulla di più diverso da loro.
Quando Mellodîn fu del tutto certo di essersi lasciato le mura di Gordian alle spalle, non provò un vero sollievo, ma si concesse almeno di respirare.
Lanciò un ultimo sguardo ai mattoni color ocra. Alla luce del giorno, risplendevano di quei bagliori dorati che amplificavano le leggende sulla capitale. Continuava a pensare che, pur volendo considerare le loro abilità di guerrieri e l'esperienza militare, fosse stato tutto fin troppo facile. Il governatore non aveva nessuna intenzione di dare loro la caccia, proprio come aveva previsto. Era davvero interessato a Galanár e agli accordi che poteva sancire con l'Ovest, non li avrebbe messi a rischio per attaccare i suoi emissari che stavano battendo in ritirata senza creare problemi.
Il vero pericolo per lui sembrava essere solo Aidan, anche se il comandante non riusciva ancora a farsene una ragione.
Un Daimonmaster? Per gli Dei, l'ho cresciuto, quel ragazzo!
Aveva una parte di sangue elfico, aveva vista e udito al di sopra del comune e si muoveva con le lame in mano con una scioltezza inimmaginabile in qualsiasi altro uomo, ma tutta la sua magia finiva lì.
Un Daimonmaster?
Fu impossibile per lui non pensare a Edhel, non elaborare un indiretto paragone. Se anche Aidan lo aveva fatto, di certo doveva aver provato un dolore immenso, almeno pari a quello che stava sperimentando lui. Lo rassicurava solo il suono della campana, che continuava in lontananza a scandire i loro passi: il prigioniero non era stato ancora trovato.
Bellator gli poggiò una mano sul braccio e lo riscosse dai suoi ragionamenti.
"Come facciamo a trovare Aidan, adesso? Forse potremmo dividerci e muoverci in direzioni differenti attorno alla città. Oppure tornare dal resto dell'esercito e organizzare una..."
Mellodîn lo interruppe con un gesto eloquente.
"Se il governatore ci ha fatti uscire senza crearci fastidi, non significa che ci concederà di scorrazzare indisturbati attorno alla sua città".
Gli occhi scuri del capitano di Medthalion si fecero ancor più cupi. Di certo immaginava da sé quali sarebbero stati gli ordini. Solo non voleva sentirli pronunciare ad alta voce.
"Dobbiamo stare al suo gioco e mollare la preda per questa volta".
Il capitano ancorò una mano sull'elsa della spada e con l'altra si tormentò la nuca.
"Ma, comandante...", azzardò a mezza voce. "Lo lasciamo qui?"
"Aidan è addestrato a sufficienza".
"Sì, lo è, ma se lo prendono è un uomo morto".
Mellodîn scosse il capo. Non voleva sentire altro.
"Recuperiamo l'esercito e proseguiamo senza la minima rappresaglia. Abbiamo un appuntamento a Issan, e Galanár non passerà alla storia per la sua capacità di aspettare. Aidan conosce le coordinate dell'incontro. Se è stato in grado di liberarsi, sarà anche in grado di recuperare le tracce di centinaia di uomini in marcia".
Bellator chinò le ciglia e non rispose. Sembrava incapace di digerire quella decisione. Rinunciò alle formalità e cercò di appellarsi direttamente al cuore.
"Mellodîn, non posso credere che lo stiamo davvero lasciando... sfuggire alle guardie, uscire dalla città sano e salvo, ritrovare la strada e presumere che riesca in questo tutto da solo!"
Il comandante gli indirizzò uno sguardo comprensivo.
"Non è da solo".
"Per quel che può valere quel buffone..."
"Forse un valore ce l'ha".
"Sì, ma noi?", domandò con un accento quasi disperato. "Che stiamo facendo noi?"
Mellodîn lo fissò per un istante. Conosceva quella luce negli occhi del suo capitano, perché l'aveva già vista una volta in passato. Bellator aveva perso Amalion, gli risultava inaccettabile l'idea di dover perdere anche Aidan. E in tempo di pace, ciò che si è riusciti a sopportare e a giustificare in tempo di guerra, diventa invece intollerabile. A quel pensiero, i suoi ricordi corsero di nuovo a Edhel.
Quasi riusciva a figurarselo davanti, con il solito sorriso irriverente e le iridi color dell'acqua. Provò la stessa sensazione che lo aveva assalito l'ultima volta che lo aveva visto in vita. L'impressione che fosse sul punto di dirgli qualcosa. Qualcosa di importante. In quel momento il comandante ebbe la certezza di dover seguire il proprio intuito.
"Un atto di fede", rispose.
Il terreno precipitava scosceso verso il verde fitto. La vegetazione nascondeva una fenditura che si apriva tra due colline, ma il rumore che lambiva le loro orecchie era inconfondibile: una sorgente precipitava da qualche punto tra le rocce e si incanalava in un letto di pietre.
Ilo scese in quella direzione e si inoltrò tra i cespugli. Aidan lo imitò senza protestare. Appena la lucida striscia d'acqua apparve ai loro occhi, l'incantatore lasciò cadere a terra la sacca che aveva portato sulle spalle fino a quel punto e ne sciolse i lacci. Non disse una parola e cominciò a spogliarsi. Quando si fu liberato dai panni lerci, si immerse nel fiume. Rabbrividì, poi si sforzò di sorridere al compagno che ancora lo guardava con esitazione.
"Togliti quella roba di dosso e fatti un bagno, o gli basterà seguire il vento per trovarci".
Si girò e prese a strofinarsi la pelle con energia, prima di tuffarsi, riemergere e passarsi le mani tra i capelli bagnati. Aidan stava finendo di togliersi i calzoni quando Ilo uscì fuori dal fiume e scosse il capo per scrollarsi le gocce dal corpo. Quella pioggia gelata che gli arrivò addosso all'improvviso lo costrinse, suo malgrado, a entrare in acqua. Ilo rise soddisfatto mentre cominciava a rovistare tra i vestiti.
"Camicia, calzoni e giustacuore", elencò mentre lasciava da parte gli indumenti per Aidan sull'erba e ne indossava di simili.
L'arciere si mise in piedi al centro del fiume e lo fissò con aria divertita.
"Devo ammetterlo", esclamò. "Non ti facevo così organizzato!"
Ilo si lasciò cadere sull'erba morbida che lambiva il fiume, appoggiò le braccia sulle ginocchia e lo guardò con un'espressione di giocosa superiorità.
"I dettagli, maestà. I dettagli sono fondamentali. Ti salvano la vita. Il fiume lo avevo adocchiato mentre venivamo verso la città. E i vestiti... be', sono al servizio di un re molto sprovveduto ma generoso. Mi ha regalato più abiti nuovi di quanti ne potrò mai indossare, quindi approfittane pure".
Aidan gli lanciò contro una salve di gocce d'acqua. D'istinto, Ilo si riparò con una mano e serrò le palpebre. Quando le riaprì, la sua attenzione cadde su qualcosa che non si era aspettato di vedere e che lo rese di colpo serio.
Strinse le palpebre per focalizzare qualcosa sul petto del re. Sulle clavicole passava un grezzo cordoncino dall'aspetto usurato, al centro del quale era fissata una semplice pietra. Un segno di un rosso sbiadito segnava quella che doveva essere stata una runa. Proprio al di sotto, in aperto contrasto con quel rozzo amuleto, scendeva una preziosa catena d'oro che terminava in un elaborato ciondolo, dove brillavano quattro pietre preziose. Quel luccichio parve a Ilo affascinante e pericoloso allo stesso tempo, senza che riuscisse a spiegarsi il perché.
Non smise di osservare il monile nemmeno quando Aidan emerse dall'acqua e cominciò a vestirsi. Mentre l'arciere armeggiava a capo chino con i lacci dei calzoni, si alzò in piedi, gli si fermò di fronte e tese la mano a sollevare l'amuleto. Aidan si interruppe. Avrebbe voluto bloccarlo, allontanarlo in qualche modo, lanciargli un brusco rimprovero, ma non fece nulla. C'era, nella calma tensione con cui il giovane mago stava studiando i quattro Ëalamir, qualcosa che gli impedì ogni reazione.
Ilo sollevò di colpo lo sguardo su di lui e gli impedì di sfuggire i suoi occhi nervosi e preoccupati. Lasciò cadere il ciondolo e indietreggiò di qualche passo.
"Sai perché si dice che gli amici non dovrebbero avere mai segreti tra loro?"
Aidan scosse appena il capo, come se avesse timore di rispondergli.
"Perché se anche uno solo ha un segreto, è assai probabile che tutti facciano una brutta fine".
Il re iniziò a tormentarsi le mani, ma non disse nulla.
"Quando ci siamo incontrati", continuò l'altro, "hai detto qualcosa a proposito del Supremo Daimonmaster".
La voce di Ilo si piegò e divenne cupa come la sua espressione, che sembrava voler inchiodare Aidan alle sue responsabilità.
"A quanto pare hai mentito. Il Daimonmaster sei tu. Lo sei davvero, anche se non riesco a capire come questo sia possibile".
A quelle parole, l'arciere si riscosse. Fece una smorfia, come se la discussione non avesse alcun rilievo per lui, e riprese a vestirsi con gesti frettolosi.
"Ti sei stancato di fare il ladro e hai deciso di interessarti di nuovo alla magia?"
"Essere un ladro vivo era meglio che essere un incantatore morto, ma almeno io non ho mentito a un amico".
Pronunciò quell'ultima frase con tale risentimento che Aidan ne fu turbato. Era sempre toccata a lui la parte di quello leale. Era sempre stato lui quello che faceva la cosa corretta. Se l'era ripetuto così tante volte che ormai pensava che quello sarebbe stato il suo ruolo, a prescindere dal suo comportamento. Era così convinto di poter essere giusto da aver dimenticato di essere se stesso.
Prese fiato e decise di affrontare il mago.
"Io non ti ho mentito", rispose con voce secca, monocorde. "Ho davvero passato la vita accanto al Supremo Daimonmaster. Ogni istante della sua vita".
Si fermò al limitare del proprio dolore. Quella volta avrebbe dovuto pronunciare il suo nome. Non più per puro istinto o per mero errore, come gli era accaduto con Silanna, ma perché non poteva più evitarlo.
"Edheldûr di Arthalion, o Edheldûr di Laurëgil se preferisci, era il mio gemello".
Ilo quasi dimenticò di nascondere lo stupore che gli si dipinse sul viso.
"Gemello? Il Traditore era il tuo... gemello?", domandò senza riflettere.
Aidan distolse lo sguardo e si morse le labbra.
"Ti prego, non chiamarlo così", mormorò.
Ilo, di colpo, sembrò perdere quella tensione che lo aveva animato fino a quel momento.
"Scusa, è l'abitudine. Nelle terre governate da tuo fratello è proibito usare un altro nome".
Aidan stava per ribattere, quando un lieve fruscio gli colpì l'orecchio. Si disse che non aveva tempo per concentrarsi e cercare di capirne l'origine. Si erano attardati troppo in chiacchiere e non erano stati prudenti.
Si portò un dito alle labbra, quindi fece segno a Ilo di muoversi. Il ragazzo prese i vestiti abbandonati sull'erba e li gettò nel fiume, Aidan afferrò le armi e i due si inoltrarono nella fitta macchia che copriva la vallata.
NOTA DELL'AUTORE
La frase Etiam capillus unus habet umbram suam, contenuta nelle Sententiae di Publilio Siro, significa letteralmente Anche un solo capello ha la propria ombra.
Ovvero, anche le cose più piccole, all'apparenza insignificanti come un solo capello, hanno la loro importanza.
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