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14. INTER SIDERA VERSOR

La tempesta li sorprese a oltre trenta miglia dall'ultimo promontorio di Gonthalion.

A Galanár venne meno la presa sulla parete e lui si sentì sprofondare. Un brusco movimento dello scafo lo spedì sul pavimento e Fanelia atterrò sul suo corpo. Nonostante la confusione che lo aveva assalito, ebbe la prontezza di spirito di agganciarla a sé, così che non fosse proiettata sulle assi di legno, ma al riparo del suo petto.

Si trovarono occhi negli occhi. Lui le lanciò una silenziosa domanda e lei rispose con un lampo di cupo terrore. L'attimo dopo era già balzata in piedi, i sensi in allerta, le orecchie protese alle grida che si rincorrevano sopra le loro teste.

"Restate qui!", gli intimò. "Sotto coperta. Non uscite sul ponte per nessun motivo al mondo".

Il re ebbe appena il tempo di tirarsi su e mettersi a sedere su quella superficie che ondeggiava sempre più. Poteva sentire l'urto delle onde che frustavano la nave, senza riuscire a capire da che parte stessero arrivando.

Fanelia era sparita. Dall'esterno giungeva l'eco di voci concitate, tagliate dal fragore improvviso dell'acqua. Il gigantesco veliero, che tanto lo aveva impressionato con la sua stazza, gli parve un guscio di noce. Forse le storie che gli avevano raccontato sui topi e sulle loro folli reazioni durante le tempeste non erano senza fondamento. Il solo pensiero di restare chiuso nel ventre della nave senza poter fare nulla lo stava facendo impazzire.

Che vadano in malora Fanelia e le sue parole! Deve ancora nascere un uomo che possa darmi ordini, figurarsi una donna!

Si fece forza e si sollevò dal suo riparo. Attento a non perdere l'equilibrio tra un beccheggio e l'altro, cercò un punto per salire sul ponte.

L'aria della notte, carica di acqua, lo sorprese e gli schiaffeggiò il volto. Cercò di liberarsi il viso dai capelli disordinati dal vento e le ciglia dalla pioggia.

Un sinistro biancore illuminava le assi di legno bagnate. Le stelle ondeggiavano impazzite sopra la sua testa, correvano a nascondersi nell'ombra, quindi riapparivano di colpo. Cercare di orientarsi puntando a loro gli sembrò un'impresa disperata. Si tirò su, si arrampicò fino al castello di quarto.

Attorno a lui gli uomini erano indaffarati a ridurre le vele, a chiudere ogni accesso al mare e a buttare fuori l'acqua oltre le murate. Ripararsi dalla pioggia costante era impossibile e il freddo rendeva ancor più difficile la presa sulle superfici scivolose.

Galanár si tese a guardare il ponte del castello di poppa e si abbarbicò a una scaletta. Il capitano era saldo al timone, ma lo sforzo per tenere in rotta la nave era evidente . Le sue nocche, strette attorno alla ruota di legno, erano livide. Le vene gli guizzavano sulla pelle mentre affrontava l'onda, orzava e ne risaliva la cresta. Guidare la carica della cavalleria, in quel momento, gli apparve un'impresa assai meno gravosa.

L'aria era rotta dalle urla del vento e dal rumore dell'acqua che sbatteva senza tregua. Tra le rollate violente e il cupo scricchiolio del legno, gli arrivavano mozziconi di frasi urlate da un ponte all'altro.

"A secco di vele! A secco di vele!"

Pur senza comprendere il senso di quelle parole, la sua attenzione si puntò in alto. Gli alberi della nave brulicavano di vita quasi più del ponte. La rapidità con cui gli uomini di Aermegil stavano eseguendo quel difficile compito, nel pieno della tempesta, lo lasciò senza fiato.

Non ebbe il tempo di riprendersi da quello stupore, che subito si sentì sprofondare. Le stelle sopra di lui scomparvero, la nave precipitò nel cavo dell'onda e un urto violento scosse lo scafo.

Galanár finì con la schiena a terra. Quando riaprì gli occhi vide Fanelia ondeggiare parecchi metri sopra la sua testa. Aveva una cima legata attorno alla vita e si teneva stretta a uno dei pennoni dell'albero di maestra. Nell'umida foschia che confondeva la vista, impiegò qualche istante per comprendere cosa l'avesse spinta fin lassù: una delle vele si era impigliata e lei la stava tranciando con un coltello.

Una violenta zaffata d'acqua la investì e la ragazza si strinse ancor di più al legno. Il cuore di Galanár rallentò per la paura.

Se fossero usciti indenni dalla tempesta, giurò a se stesso che le avrebbe proibito in modo categorico di esporsi a un simile rischio.

Per gli Dei, è la regina! Che la pianti di arrampicarsi sulle navi nel cuore della bufera!

È la regina, e deve solo...

Senza staccare gli occhi da lei, si mise a sedere sul legno fradicio come i suoi vestiti.

Deve solo far cosa? Fare la sua parte di moglie e darmi un erede?

E cos'altro le avrebbe dovuto impedire, allora?

Le avrebbe proibito di lanciarsi alla carica con la sua cavalleria? Le avrebbe negato di affrontare il nemico in campo aperto?

Aveva davvero creduto che ciò che le aveva promesso non comportasse alcun rischio? Eppure aveva dato la sua parola, a cuor leggero forse, perché le sue preoccupazioni venissero cancellate con un tratto di penna.

Sua moglie aveva ragione. Se entrambi dovevano tenere fede al loro accordo e sopravvivere, avrebbero dovuto spalleggiarsi.

L'improvvisa risalita della prua spezzò l'incantesimo che per un attimo sembrava aver rapito la nave. La mano della ragazza scivolò sulla viscida superficie di legno e lei si ritrovò a dondolare sospesa, trattenuta solo dalla fune che si era passata attorno.

Galanár non esitò nemmeno un istante. Balzò in piedi, salì su una grisella e si tese per afferrare l'estremità della cima che il vento sbatteva a suo piacimento.

Fanelia percepì che qualcosa l'aveva ancorata e cercò di scrutare il ponte. Quell'uomo bagnato fradicio, con i capelli d'argento che scintillavano al cupo bagliore dei lampi, non poteva che essere suo marito.

Incrociò i suoi occhi e lui le fece un cenno per assicurarle che la corda era stretta tra le sue mani. Lei annuì di rimando. Con estrema cautela, cominciò a sfilarsi la fune dal corpo e scese verso il ponte metro dopo metro. Quando fu a portata delle sue braccia, Galanár l'afferrò e la fece atterrare sul pavimento di legno.

Una violenta raffica di vento finì di squarciare la vela che aveva tagliato e un quadrato di stoffa bianca fu proiettato in alto come un dardo contro le stelle.

Dopo un nuovo scossone, il re si ritrovò seduto con la schiena schiacciata contro un angolo del ponte. Fanelia era rotolata tra le sue braccia. Una lancia d'acqua si sollevò oltre il fianco della nave e piovve su di loro. D'istinto, la trasse a sé, le strinse il viso contro il petto e le fece scudo con la mano. Una premura del tutto inutile, dal momento che erano entrambi zuppi dalla testa ai piedi, ma lei sembrò consolata dal lieve tepore che avvertì oltre la stoffa bagnata. Rimase immobile, con il viso affondato su di lui, mentre la mano di Galanár si serrava tra i suoi capelli stillanti d'acqua.

"Fanelia", sussurrò infine al suo orecchio, la voce che a stento gli usciva dalla gola. "Che altro possiamo fare?"

Lei si sollevò per guardarlo negli occhi.

"Nulla. Il capitano ha dovuto cambiare la rotta, ma a secco di vele dovremmo filare via veloci. Pregate gli dei, se ne avete qualcuno, che la tempesta passi oltre senza danneggiarci troppo e che ci sia un approdo da qualche parte".

Là è il mio sangue e là la mia vendetta.

Con gli occhi puntati verso il profondo crepaccio che si insinuava tra le vette ghiacciate di Lossmir, il ricordo di quelle parole assunse per Aidan una nuova sfumatura.

Aveva fatto la sua scelta. Avrebbe affrontato i suoi demoni, che allo stesso tempo erano i suoi Daimon. Uniti a quelli di qualcun altro.

Forse era il suo destino fin dall'inizio. Era la sua caccia.

Lui era nato cacciatore, lo sarebbe sempre stato. La vita militare aveva solo dato una regolata al suo istinto e il resto della storia aveva provveduto a stravolgerlo. Niente l'aveva cancellato, però.

Diede una rapida occhiata alla propria sinistra. Ilo aveva fermato il cavallo accanto al suo e ammirava la corona argentea di Lossmir senza poter prendere fiato.

"Sei ancora in tempo", gli disse. "Valkano è proprio da quella parte, a Nord, ad appena due giorni di viaggio".

Il ragazzo si riebbe dallo stupore e fissò il re con una smorfia ironica.

"Sono troppo giovane per rinchiudermi in un posto così serio come il monastero di Valkano. Possiamo riparlarne dopo avere girato un po' il mondo, maestà?"

Aidan guardò l'espressione buffa che si era disegnata sul suo viso e non poté impedirsi di sorridere.

Un daimonmaster cacciatore e un mago ladro... bella coppia davvero!

Se non altro avrebbero potuto fare affidamento su Mellodîn e sulla sua organizzazione, altrimenti non ci sarebbe stato da scommettere nemmeno una monetina di rame su loro due.

Il suo sguardo tornò a perdersi nell'azzurro e il bagliore della luce riflesso sui ghiacciai lo obbligò a socchiudere gli occhi. Il suo fine udito catturò uno spostamento nell'aria. L'onda sonora avanzava e rotolava contro le pareti rocciose, che si rilanciavano tra loro la sua eco. Il suono vibrante si faceva sempre più distinto a un orecchio allenato come il suo. Si girò a guardare Ilo.

"Stanno arrivando".

La spedizione iniziò nel peggiore dei modi.

Nonostante le raccomandazioni, Ilo non aveva resistito alla tentazione di presentarsi a suo modo, e aveva fatto sfoggio tanto della sua magia, quanto dei suoi modi canzonatori. Non aveva tirato fuori che un banale gioco di fuoco, ma sufficiente a fare spaventare il cavallo di Bellator. Uno scherzo che né il capitano di Medthalion né il comandante avevano apprezzato.

Bellator era stato sul punto di torcere il collo al mago impertinente, Mellodîn aveva lanciato ad Aidan un'occhiataccia che gli aveva subito rammentato gli anni di addestramento ad Arthalion, e al giovane re era occorsa tutta la diplomazia di cui era in possesso perché il viaggio potesse iniziare senza ulteriori incidenti. Se conosceva il comandante, e poteva ben dire di conoscerlo, non avrebbe più perso d'occhio Ilo.

"Quella specie di scudiero che hai deciso di portarti dietro", esordì l'uomo appena si trovarono fianco a fianco, distaccati dal resto della colonna, "è almeno di una qualche utilità?"

Aidan sorrise al pensiero di essere ancora così bravo nel prevedere le reazioni del suo maestro.

"Conosce la magia e sa impugnare la spada", rispose. "Mal che vada, terrà alto il morale degli uomini attorno ai fuochi di bivacco".

Mellodîn annuì, ma non abbandonò il suo cipiglio severo.

"Bene. Tienilo a bada fino a quando non potrà rendersi utile. E fagli entrare in quella testa vuota che questo è un esercito, non una carovana di saltimbanchi, o dovrò farlo di persona".

"Sì, comandante".

Proseguirono per qualche minuto senza più parlare. Aidan, però, sentiva ancora addosso lo sguardo dell'altro, e quella sensazione gli trasmise una strana apprensione.

"Ascolta, ragazzo..."

Il tono di Mellodîn si era fatto grave, come se avesse timore di esprimere il proprio pensiero ad alta voce.

"Il fatto che sappia giocare con il fuoco non lo rende in nulla simile a Edhel. Questo ti è chiaro, vero?"

Aidan socchiuse gli occhi.

Edhel?

Non poteva esistere nulla al mondo simile a Edhel. Non per lui, almeno.

"Non l'ho mai pensato, nemmeno per un istante".

"Sono lieto di sentirlo. Sarò già abbastanza occupato a impedire che uno di voi due fratelli di Arthalion corra dietro ai fantasmi del passato. Badare a entrambi sarebbe al di sopra delle mie capacità. Siamo intesi, capitano?"

"Intesi, signore".

Rassicurato dalla sua risposta decisa, Mellodîn tornò a concentrarsi sulla strada. Se avesse osservato il suo ragazzo in quel momento, sarebbe rimasto sorpreso dall'espressione di riconoscenza che gli si era dipinta sul viso.

Aidan aveva trascorso intere notti senza sonno, a domandarsi cosa avrebbe agitato in lui quell'impresa. Era spaventato al pensiero che ritornare nell'esercito di Galanár, ritrovare i suoi compagni, ricominciare a combattere avrebbe risvegliato in lui i ricordi del passato. Avrebbe rifatto tutto da capo senza Edhel accanto? Ne avrebbe avuto la forza? O sarebbe fuggito appena fosse stato trafitto da quel dolore che ormai gli attanagliava il cuore da più di due anni?

Quando Mellodîn gli aveva parlato - il tono di comando che era rimasto immutato, il suo grado militare scandito, l'ordine che si imponeva al di sopra di ogni sentimento - si era sentito di nuovo a casa. Era tornato a essere esattamente ciò che voleva essere.

Il re di Helegdir portava sul capo il peso di una corona pagata con il sangue e l'ansia di dover riscattare un sacrificio più grande di lui, ma Aidanhîn, capitano di Arthalion, era ancora quel ragazzo che aveva davanti a sé un orizzonte di speranze.

Era di nuovo l'arciere chiamato a servire.

Con poche, semplici frasi, Mellodîn gli aveva restituito il suo posto.

Con quella calma ritrovata a riempirgli il cuore, Aidan avanzò ancora per un breve tratto prima di fermare la cavalcatura. Si trattenne solo per un istante a fissare lo spettacolo mozzafiato che gli si era disegnato di fronte, poi diede di sprone al cavallo e iniziò la traversata.

Mellodîn lo seguì, restando un passo indietro. Bellator e Ilo smisero di guardarsi in cagnesco nel medesimo istante, soggiogati dalla meraviglia. Un silenzio profondo e ammirato calò sulla testa della colonna e si diffuse nell'intera compagnia man mano che la fila avanzava lungo lo stretto passaggio.

Stavano per valicare la punta estrema della catena montuosa di Lossmir, la sottile striscia di ghiacciaio che Aidan aveva rivendicato per sé. L'unico passaggio che, senza tagliare da Valkano, li avrebbe condotti da Helegdir alle Terre Remote.

Quello era il periodo dell'anno migliore per la traversata, il re lo sapeva. Aveva esplorato quella zona più e più volte in passato, ma si era sempre fermato all'ingresso del canalone senza mai osare percorrerlo. Fino a quel giorno.

Due pareti rocciose di altezza indescrivibile facevano da ala al loro passaggio. Il cielo, incuneato in quella stretta, era di un blu cobalto e la luce frammentata dai ghiacciai era così intensa da ferire lo sguardo. L'ombra della montagna e la sua maestosa presenza sembravano volergli rammentare, a ogni singolo passo, la trascurabilità della loro esistenza. Erano formiche in una terra di giganti che li sorvegliavano dalle altezze, mentre attraversavano quel regno immobile e perenne che sarebbe esistito ancora per millenni oltre loro, oltre le loro fragili vite.

Aidan sollevò lo sguardo ad abbracciare le vette. Quella vista gli fece accelerare il cuore. Echi di voci celesti gli arrivavano alle orecchie senza che sapesse spiegarsene l'origine. Sopra tutte, una sottile e sulfurea voce di donna sembrava cantare lo splendore dell'Aria e del Vento. Quegli accenti lo fecero precipitare in una sorta di quieto stordimento, che lo spinse a guidare in silenzio perfetto la colonna di uomini fino all'altro lato del mondo.

Quando il suono nella sua testa si spense, Aidan sembrò svegliarsi da un sogno.

La montagna era alle sue spalle, le Terre Remote si aprivano davanti ai suoi occhi.

Si girò a cercare Mellodîn.

"A Nord-est", esclamò. "Alla città d'oro di Gordian".

NOTA DELL'AUTORE

Inter sidera versor, Mi sposto tra le stelle.

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