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01. AMOR ARMA MINISTRAT

Dalla terra al cielo.

Le torri si elevavano salde e si perdevano tra le nuvole. L'edificio scintillava, bianco nel bianco, e accecava chiunque vi posasse lo sguardo.

I fianchi della costruzione, però, si incuneavano nella roccia millenaria e ne rivelavano l'intima possanza. Era delicato e duro allo stesso tempo.

Un vero gioiello di ghiaccio.

Aidanhîn rallentò l'andatura del cavallo, poi si fermò a osservare i risultati del duro lavoro che procedeva da quasi due anni. Stentava ancora a credere di essere stato in grado di ricostruire Valkano.

Subito dopo le nozze celebrate sulle rive del lago di Arthalion, lui ed Adwen, si erano stabiliti ad Harmaros, ma senza alcuna intenzione di dimorarvi a lungo. Appena Valkano aveva ripreso forma, le volte di pietra ricostruite, le torri fortificate e i campi arati, avevano lasciato la vecchia capitale agli antichi fasti elfici di re Arantar, che vi soggiornava nel suo esilio dorato.

Valkano, reggia, santuario e centro di potere inviolabile, era la nuova capitale di Helegdir.

Una volta ancora, ad Aidan mancò il fiato alla vista di quanto era stato realizzato. Scosse il capo per allontanare i ricordi, strinse le redini e piegò il braccio destro.

"Melima", chiamò con un fischio basso.

Una splendida femmina di falco, con la testa e il dorso striati di un bruno pallido, planò ad ali spiegate verso il suo falconiere e agganciò gli artigli sul guanto di cuoio. Aidan la carezzò con lo sguardo, quindi spronò il cavallo lungo il sentiero che conduceva all'ingresso centrale del complesso.

Superata la saracinesca, costeggiò le mura esterne fino a un piccolo arco di pietra. Passò i geti a uno scudiero, smontò da cavallo e si fermò a togliere la polvere dalle vesti. Di fronte a lui c'era l'entrata di un giardino incastonato tra le mura e la roccia viva.

Non c'erano fiori in quel periodo dell'anno e la neve copriva di bianco il terreno, ma il tappeto candido era puntellato di gocce violacee. Un unico albero di Jacaranda copriva con le sue fronde il centro di quello spiazzo.

Era stato il regalo di Adwen per le loro nozze. Lo aveva portato con sé da Arthalion per piantarlo in quella che sarebbe stata la loro dimora. Con l'Arcano della Terra lo curava senza sosta, così non era mai estate o inverno in quell'angolo di Valkano, ma solo un'eterna fioritura che accendeva di colore il bianco e salutava ogni ritorno a casa del re.

Aidan superò l'arco di pietra e si fermò. Distese il palmo della mano davanti a sé e osservò i petali color pervinca che vi si adagiavano molli. Piovevano su di lui come quel giorno in cui avevano legato i loro destini. Era l'ultimo tramonto che ricordava con emozione, l'ultima luce calda che aveva avvolto la rocca in cui era nato. L'ultima gioia. L'ultimo sorriso di suo padre.

Re Maldor non aveva retto al dolore di fronte alla notizia della morte di Edhel. Il suo spirito, già ammalato, aveva resistito il tempo necessario per benedire la sua unione, poi si era spento del tutto alla fine di quell'estate.

Aidan non aveva pianto per lui, così come non aveva versato una lacrima durante i fastosi e commoventi funerali del principe Amalion. Edhel era riuscito, in un solo momento, a riempirlo e a svuotarlo, a scarnificarlo e insieme a corazzarlo di fronte al dolore. Aveva cessato di cercare una spiegazione agli eventi. Adwen era la sola creatura che lo ancorava alla vita. Un amore gli aveva fornito le armi che un altro amore aveva spezzato.

Aidan lasciò scivolare i petali ai suoi piedi e avanzò verso il tronco lungo e dritto della pianta. Sapeva che l'avrebbe trovata lì. Sapeva che l'avrebbe sorpresa, spuntandole alle spalle mentre era assorta nella lettura. In quei due anni aveva imparato tutto di lei.

Si chinò a darle un bacio sul collo, nello scarno lembo di pelle che gli concedeva la mantella di pelliccia che le ricopriva le spalle. Adwen sussultò di piacere al suo tocco, lasciò cadere il libro e si girò per gettargli le braccia al collo. Aidan sorrise e le sollevò il viso per cercarle le labbra.

"Come stai, Míriel?"

Gli occhi di lei si accesero di una luce che cancellò l'ombra di tristezza che vi dimorava al fondo.

"Molto meglio, adesso che sei qui".

"Sono stato via solo un paio di giorni per la caccia".

Lei si finse imbronciata e sfoderò quell'amabile cipiglio che Aidan trovava irresistibile.

"Tu e i tuoi uomini dovreste smetterla di inseguire quei poveri animali della foresta".

"Più che una vera battuta, è poco più che diletto", si difese il ragazzo. "E un'occasione per addestrare i falchi. Con questo freddo non vedremo molti animali ancora per settimane".

Si sedette accanto a lei, le passò un braccio sulle spalle e l'accolse nella sua stretta. C'era qualcosa di compassato nella sua espressione e nel modo cauto con cui compì quel gesto. Adwen lo interrogò con uno sguardo apprensivo e Aidan capitolò senza attendere la sua domanda.

"Ma forse un po' più a lungo dovrò lasciarti".

Lei sollevò la guancia dal suo petto e lo fissò corrucciata.

"Galanár?"

"Sì. Mi ha chiesto di raggiungerlo a Foroddir".

Adwen si limitò ad annuire, ma la sua espressione era sospettosa. Nessun messo si era presentato a Valkano mentre suo marito era fuori per la caccia, e nessun messo si sarebbe addentrato nel bosco a cercare il re senza prima passare dal castello.

"E hai atteso tutto questo tempo per dirmelo?"

"Non volevo che ti prendesse di nuovo la tristezza".

Adwen rispose con un sospiro e tornò ad affondare il capo sul suo petto. Aidan sollevò lo sguardo e cercò di perdersi nel blu della Jacaranda.

"Ma non sarai sola. Ho chiesto a Aegis di raggiungerti appena ne avesse avuto la possibilità. Sarà qui al più presto".

Adwen chiuse gli occhi, ma quella fu la sua unica, invisibile forma di protesta. Avrebbe voluto che Aidan l'avesse messa al corrente fin dall'inizio delle sue manovre. Talvolta la sua estrema cura nel proteggerla riusciva solo a farla sentire più fragile. Allo stesso tempo, però, le sarebbe sembrato ingrato lamentarsi del suo amore.

Si strinse forte a lui, che le rispose con la stessa intensità.

Dovevano solo superare quell'inverno. La neve non poteva durare per sempre.

La prima forma che riconobbe oltre le cime spoglie e i rami intricati della foresta fu quella della torre di sud-est.

Aidan dovette passarsi una mano sugli occhi per scacciare la brina che gli offuscava la vista. I contorni, di fronte a lui, sembravano cambiare a ogni battito di ciglia. La torre era intera, crollata, poi di nuovo intera. I ricordi si sovrapponevano, si accumulavano l'uno sull'altro come fiocchi di neve.

No, è solo immaginazione!

La torre era salda e sicura, con la sua robusta struttura a dodici lati e la torretta circolare sul livello più alto.

Ebbe un nuovo sussulto quando il suo sguardo risalì verso lo stendardo che sventolava in cima.

I raggi di sole di Anarion.

Il cavaliere strappò le redini, il cavallo ebbe uno scarto. Una violenta raffica di immagini che credeva perse nel tempo gli si riversò in un sol momento nella testa, inarrestabile, insopportabile.

Una scura colonna di fumo si leva dalle mura del castello.

Il cuore gli si fermò. Le lacrime gli salirono agli occhi, ma le cacciò via. Impose a se stesso di fermarsi, fissare con scrupolo ogni particolare e ripetere nella propria mente le parole che conosceva a memoria, come un ragazzino di fronte al proprio precettore.

Partito, di viola all'idra d'argento e di bianco alla foglia d'oro.

Era lo scudo di Galanár, quello. Il Re delle Terre Riunite.

Quando gli giunse all'orecchio il cigolio delle porte che si aprivano al suo passaggio, il suono presente si fuse una volta ancora con le emozioni passate: la sorpresa della prima volta che le aveva varcate, la tensione della partenza per Valkano e il dolore atroce del suo ritorno, l'ansia di arrivare ad Arthalion, la gioia e l'esultanza del rientro vittorioso, la silenziosa sfilata prima dell'ultima battaglia.

E poi nulla, più nulla. E tutto. Le mura, la torre, le stelle. Io. Lui. La fine del mondo.

Non aveva più rimesso piede a Foroddir dalla mattina in cui era partito con Adwen ed Aegis per recarsi alla corte di Laurëgil. Aveva voluto credere che quel tempo gli sarebbe bastato per perdonarsi e per perdonare.

Entrò nella corte senza quasi far caso agli uomini che gli stavano andando incontro. Decise di non lasciare vagare troppo lo sguardo, per paura di inciampare in altri ricordi. Aveva imparato fin troppo bene a limitarsi. Quei pochi minuti di distacco, in cui nessuno di quegli scudieri affaccendati faceva davvero caso a lui, gli sarebbero stati sufficienti per riprendere il controllo di sé.

"Oh, la graziosa maestà di Helegdir!"

L'esclamazione allegra lo strappò subito dai suoi tormentosi pensieri.

"Ce n'è voluto di tempo, per stanarti dal tuo nido d'amore in mezzo ai ghiacci".

D'istinto il sorriso gli affiorò alle labbra. Quella era la sola voce capace di allontanare le ansie che lo avevano accompagnato per tutto il viaggio e di farlo sentire di nuovo in salvo. Lo sconforto scomparve dai suoi occhi, che si sollevarono a cercare colui che aveva parlato.

"Forse avete dimenticato che significa avere ventuno anni ed essere innamorati, comandante".

Mellodîn si fece avanti e si fermò accanto alla cavalcatura, con i pugni stretti sui fianchi e un'espressione beffarda sul viso che nascondeva a stento la sua felicità.

"Non fare lo spiritoso con me, ragazzo", lo rimproverò, giocando a esser duro. "Ricordati che io..."

"Mi allacciavi il giubbetto quando non ero ancora in grado di farlo da solo. Sì, lo so".

"E non era molto tempo fa. Quindi adesso smonta da quel cavallo e vieni a salutarmi come si conviene".

Aidan obbedì all'istante. Abbandonò le redini e con un balzo fu a terra, come se avesse persino dimenticato la stanchezza della strada. Abbracciò Mellodîn con calore e si lasciò assestare una pacca sulla spalla. Erano le emozioni vive e reali a permettergli ancora di procedere a testa alta in quell'esistenza stagnante, e l'affetto del suo maestro vi rientrava a pieno titolo. Non se ne sarebbe mai privato, a dispetto dell'età o del rango.

Il comandante si sciolse dall'abbraccio e lo allontanò da sé per studiarlo compiaciuto.

"Ti trovo bene. Allora l'amore non ti ha ancora consumato del tutto".

Aidan rise di cuore, come non gli accadeva da tempo.

"Si vede che il mio maestro mi ha insegnato bene a resistere alle fatiche e ai sacrifici".

"E ho anche sentito dire che non siete stati con le mani in mano. I viaggiatori che vengono dal sud raccontano grandi cose della nuova reggia di Valkano".

"Alcuni edifici sono da completare, ma è già del tutto abitabile e non ci manca nulla".

Mentre Aidan raccontava dei progressi della cittadella, Mellodîn lo guidò oltre l'ingresso, lungo i corridoi interni del palazzo. Dal percorso che stavano seguendo e dalla profusione di domande, il re comprese che il comandante non aveva alcuna urgenza di condurlo da Galanár. Si fermò di colpo al centro di uno dei passaggi meno frequentati e lo trattenne per un braccio.

"Mellodîn, perché sono qui? Cos'è che vuole fare?"

Il comandante non finse di non capire il senso della domanda. Entrambi conoscevano fin troppo bene la persona di cui stavano parlando.

"Una spedizione, un assedio, una campagna... solo gli Dei lo sanno! Dal momento che sta preparando l'esercito per un lungo spostamento, direi che abbiamo l'imbarazzo della scelta".

Per un istante, il giovane rimase impietrito. Quelle parole avevano il potere di spalancargli dinanzi un nuovo baratro.

"L'esercito?", sbottò infine. "Ma la guerra è finita!"

Mellodîn lo studiò con curiosità, come se volesse accertarsi della sincerità della sua reazione.

"Perché, hai davvero creduto che lo fosse?", domandò secco. "Io nemmeno per un attimo. Tuo fratello è sempre stato così, non riesce a stare per troppo tempo fermo in un posto".

A quelle parole, ad Aidan parve di tornare di colpo bambino. Riafferrò le sensazioni di allora, l'idea fuggevole e irrequieta di Galanár, di quel fratello che non faceva mai in tempo a conoscere davvero che già era ripartito. Annuì. Capiva di cosa stava parlando.

"D'altra parte", continuò Mellodîn amaro, "ci vuole un regno dai confini davvero enormi per colmare la sua solitudine".

"Solitudine? Può un re e un generale essere mai davvero da solo?"

"La solitudine dei potenti. Io e te siamo stati molto più fortunati".

Aidan sembrò colpito da quell'osservazione. Si sentì obbligato a paragonare le proprie scelte e quelle del fratello. Per quanto fosse convinto della propria decisione di porre una notevole distanza tra sé e Galanár, talvolta si chiedeva se avesse fatto bene a negargli il calore di un amore fraterno.

"È molto cambiato?", chiese infine.

Mellodîn parve dover riflettere a lungo prima di rispondere.

"Potrei dirti che è molto cambiato, o che non lo è affatto. A volte ci sono solo lievi scricchiolii e insignificanti spostamenti nell'anima che mutano gli equilibri, anche se l'edificio all'esterno resta intatto".

"E questo ti preoccupa?"

"Questo, sì, e parecchio altro. Per parte mia, se fosse possibile, vorrei evitare questo nuovo viaggio".

"Perché?"

"Perché ho una mia opinione in merito. O un sospetto, se vuoi. Credo che abbia deciso di andare a cercare lei".

Aidan non riuscì a trattenere un moto di stupore.

"Cercare lei? Che senso avrebbe, dopo tutto questo tempo?"

"Ti risulta che tuo fratello abbia mai avuto bisogno di una ragione che non fosse la sua stessa volontà? O che abbia mai rinunciato a uno dei suoi propositi, una volta che se l'è messo in testa?"

Il giovane si strinse nelle spalle, costretto ad arrendersi di fronte all'evidenza.

"Quindi, io che dovrei fare?"

"Fai finta che non ti abbia detto nulla e cerca di prendere tempo, se ci riesci".

NOTA DELL'AUTORE

Bentornati, mie coraggiosi lettori, tra le righe della saga di Arthalion 💛

Come sapete, la Battaglia di Hakala ha messo a dura prova il cuore di molti e distrutto altrettante certezze. Spero che Il re di ghiaccio, che è l'ultima parte di questa avventura, possa regalarvi nuove emozioni e qualche gioia in più! 😄

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Il titolo di questo primo capitolo, Amor arma ministrat, è un proverbio medievale che significa L'amore procura le armi 💛

Míriel, il nome affettuoso con cui Aidan chiama Adwen, è lo stesso appellativo con cui, ne L'Alfiere della luce, il Daimon della Terra si rivolge a lei dopo aver superato la Prova. Il termine elfico è pressoché intraducibile e significa Donna gioiello.

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