ROMY
Lo afferrai per le giromaniche, costringendolo a guardarmi.
"Che cosa gli sta succedendo? Perché mi sta dicendo questo?"
Lo fissai per un secondo, il suo sguardo era duro, spento, pieno di odio.
"Non mi aveva mai guardata così".
Mi si strinse il cuore, non ce la facevo a sopportare tutto questo, a sopportare quel suo modo di guardarmi come se non lo meritassi.
"Dimmelo in faccia, Rick", lo supplicai:"Dimmelo guardandomi negli occhi che non vuoi più vedermi. Dimmelo e andrò via dalla tua vita per sempre", continuai.
E ci speravo, speravo terribilmente che la sua bocca rimanesse chiusa e i suoi occhi bassi.
Che cosa avrei fatto se avesse accolto le mie suppliche? Come mi sarei dovuta comportare se avesse detto ciò che non volevo realmente sentirmi dire?
Respirai profondamente, Rick mi guardò negli occhi, scandendo ogni singola parola:"Non voglio... mai più vederti". Le aveva dette, non riuscivo a crederci.
Non vi era un briciolo di emozione in quelle sue pupille azzurre, niente che potesse farmi credere esattamente il contrario delle sue parole; niente che mi facesse stare serena che nulla sarebbe successo, e invece stava succedendo tutto così in fretta.
Questo non era il mio migliore amico, Rick non si sarebbe mai sognato di dirmi una frase simile; da quando eravamo piccoli ne avevo combinate tante, gravi e non, ma mai aveva osato ferirmi in questo modo. Sentii la terra mancarmi sotto i piedi, sentii un nodo in gola soffocarmi, la vista offuscarsi e la mente annebbiarsi.
"Ti prego, dimmi che è tutto uno scherzo, dimmi che sei ancora sotto shock e che è la tua rabbia a parlare e non tu. Ti prego".
Pregavo nella mia mente in quel delirio che mi strappava lucidità e già pensavo a come avrei potuto continuare senza che Rick mi girasse attorno o che lo facessi io.
Ma lui era irremovibile, una roccia, non sembrava provare alcun minimo sentimento dinanzi la mia disperazione, né dolore. Il suo sguardo era fisso nel mio, leggevo disprezzo nella sua espressione; in questo momento, che sembrava eterno, avrei tanto voluto essere una povera analfabeta. Non ce la facevo a guardarlo ancora, dovevo allontanarmi da lui.
Alla fine era questo ciò che voleva, che io sparissi dalla sua vita per sempre.
Sentivo che stavo per piangere ma non volevo farlo adesso, non qui, non davanti a lui; avevo dato già troppi motivi per colpirmi ferocemente, le lacrime non avrebbero certamente guarito la situazione.
Liberai le giromaniche che gli stavo ancora stringendo, indietreggiai di qualche passo per lasciare la giusta distanza fra me e lui, abbassai la testa come se la sentissi pesante da non riuscire a tenerla dritta e iniziai a correre lontana da lui, lontana da colui che avevo sempre considerato un fratello, la figura frapposta a mio padre.
Il vento picchiava rabbioso sul mio viso, come se volesse punirmi anche lui di un male che non era neppure mio; era freddo, doloroso e nonostante il respiro cominciava ad indebolirsi, continuavo a correre senza sosta.
Perché io sperassi di ritrovare le sue mani a fermarmi non la sapevo, era certo non mi avrebbe rincorsa e questo faceva davvero male. In un attimo mi ritrovai sulla soglia di casa, mi lasciai cadere sui gradini nascondendo il volto fra le ginocchia e come un vaso rotto pieno di acqua, cominciai a piangere. Il mio fu un pianto silenzioso, che bruciava per via del trucco, che mi svuotò, che non mi diede tregua.
L'unico rumore che coprì il mio silenzio, era la pioggia che cominciò a battere sull'asfalto e sul mio corpo, senza alcuna pietà.
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