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RICK

Appena rientrato a casa stamattina, dopo lo shopping con mia madre nel negozio d'abbigliamento elegante fuori città, avevo pranzato e poi ero andato a correre un po'. Mantenermi allenato mi aiutava ad alleviare la tensione e a non pensare. Era già da un bel po' che avevo ricominciato a pensare a Romy e a sentire la sua mancanza, e la cosa mi disturbava parecchio.
Adesso che avevo la cena con Gaia, mi domandavo se anche Romy avesse incontrato qualcuno con cui andare a cena o a divertirsi, se magari i suoi occhi avevano incrociato quelli di un uomo, se la sua risata rimbombava nella mente di un altro o il suo essere così lunatico e stravagante fosse diventata la droga di un ragazzo che le stava accanto come sarei dovuto starle accanto io. Mi ero ripromesso che non avrei più pensato a lei, che la sua vita sentimentale e generale non avrebbe più sfiorato la mia mente, nemmeno la parte più profonda e lontana di essa, eppure mi tornava sempre alla testa.
Dopotutto, ogni angolo di questa città aveva il suo volto, i suoi occhi, la sua mente, i suoi capricci, le sue urla. Tutto ricordava lei e me insieme, e ora che quell'unione non esisteva più, sentivo sempre più piccolo questo mondo e più grande il suo ricordo.
Che cosa mi tratteneva da qui al correrle incontro e tornare indietro? Cosa?
Eppure avevamo sempre vissuto momenti e attimi felici insieme, momenti unici che sicuramente non potevo vivere più con nessuna se non con lei.
E poi mi domandavo cosa realmente uccidesse un uomo oltre alle varie malattie.
L'unica risposta alternativa che riuscii a pensare era l'amore.
Chi aveva mai detto che l'amore non uccide ma fortifica? Chi aveva mai pensato che amare qualcuno altro non poteva che dare forza e speranza? Al sol pensiero mi venne da dire che colui che aveva provato amore, per affermare ciò, altro non aveva provato che una brutta copia di esso, un falso del sentimento, come un dipinto che rubato veniva sostituito da una copia. "MALEDIZIONE", ringhiai a me stesso.
Perché per tutti questi anni mi ero sentito come parte integrante di una profezia, di una leggenda? Perché mi sentivo come se il mondo non avesse fatto altro che avvisarmi che prima o poi avrei smesso di vedere Romy come una sorella ma come una donna da proteggere e avere sempre al mio fianco? Perché mi sentivo come quei guerrieri pronti a lottare all'ultimo sangue pur di avere il cuore della propria amata?
Eppure non avevo mai smesso di pensare a quelle persone, a quegli amici che vedendoci insieme altro non facevano che punzecchiarci dicendo di uscire allo scoperto, che altro non eravamo che finti amici legati da un sentimento più forte dell'amicizia. 
Ed ora che stavo cominciando lentamente ad aprire gli occhi, perché non riuscivo ad accettarlo? Accettare che tutto questo fosse finito. Accettare come un sentimento meschino come l'amore potesse distruggere qualcosa forgiato dal tempo e saldato alle nostre vite?
Se era davvero amore quello che mi spingeva a star lontano da Romy allora altro non ero che un grandissimo egoista che preferiva vederla buttata fra le braccia di un altro piuttosto che nelle mie.

Tornato a casa dopo l'ora di corsa e tormenti, mi sentii carico nel sangue e nelle ossa ma terribilmente vuoto ed esausto dentro. Ero madido di sudore, fiato corto, gambe sensibili, muscoli indolenziti e deboli eppure avevo una voglia matta di distruggere tutto ciò che mi si parasse davanti. Provai a fare un respiro profondo prima di aprire la porta d'ingresso, dovevo avere un aspetto orribile e non volevo creare casini con mia madre e mio padre che si preoccupavano per me.
Quando mi sentii convinto di avere un espressione neutra, aprii la porta ed entrai.
"Mamma? Papà? Sono tornato", dissi a gran voce per farmi sentire.
Mio padre entrò dentro dal terrazzo, si fermò a guardarmi, l'espressione seria:"Dove sei stato?" 
"Sono andato a correre un po'", risposi con tranquillità.
Mio padre non disse nulla, rilassò i muscoli del viso e mi fece un piccolo sorriso.
Non sapevo perché ma non lo vedevo particolarmente contento ma non gli chiesi nulla, per ora non volevo sapere niente di nessuno.
"Vado a fare una doccia, sono tutto sudato", dissi, lui annuì.
Doveva essere successo sicuramente qualcosa, questo non ero mio padre.
"Papà?" lo chiamai, lui si fermò e mi guardò:"E' successo qualcosa?" lo fissai.
"Tua madre mi ha detto che hai una cena con una ragazza", annuii poi riprese:"Non stai seguendo il mio consiglio, figliolo", il suo sguardo duro, freddo e distaccato mi stava distruggendo a poco a poco:"Non sono contrario a ciò, ma sappi che stai facendo un grosso errore. Dopotutto è la tua vita, scegli con cura chi deve farne parte", si allontanò senza darmi il tempo di rispondere.
Ciò mi fece capire che una mia risposta non gli importava riceverla, ma per me andava bene così.

Andai a fare una doccia, forse solo così sarei riuscito a mettermi completamente in sesto. Una volta trovatomi sotto il getto dell'acqua, ripassarono nella mia mente altri pensieri. Ricordavo ancora la sera in cui mio padre mi aveva raccontato parte della sua vita con la mamma. Anche lui, come probabilmente starò facendo io, aveva spinto il suo unico punto di riferimento fra le braccia di un altro uomo.
Ma realmente, cos'è che ci spinge a dare in pasto ad altri ciò che è nostro? Se lo reputiamo nostro, perché siamo sempre pronti a darlo ad altri? Per Egoismo? Indecisione? Paura? Cos'è? Ero davvero pronto a condividere ciò che era mio con altri? No, non ero pronto.
E allora perché stavo cercando a tutti i costi di farlo diventare di tutti? Ed io perché stavo cercando a tutti i costi di appropriarmi di un'altra? Dov'era il senso di tutto questo?
Mi fermai un attimo, l'acqua colpii le mie vie respiratorie, nulla poteva bloccarmi il respiro come il pensiero di Romy mano nella mano con un altro. Mi girai verso il muro, un pugno dritto sulle piastrelle mi bloccò la circolazione del sangue nelle dita.
Perché mi stavo comportando così adesso?

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