Capitolo 6
Sentii il telefono suonare, ma non era il suono della sveglia. Aprii gli occhi e afferrai il cellulare da sopra il comodino. Lessi il nome 'Daisy ♡', la mia sorellina. Mi affrettai a rispondere.
"Ehi D, che succede?"
Le chiesi assonata. Era strano che mi chiamasse così presto.
"Scusa se ti disturbo, lo so che devi lavorare."
Mi disse titubante, percepivo preoccupazione nel suo tono.
"Tranquilla, dimmi."
Cercai di rassicurarla e incoraggiarla a parlare, mentre mi mettevo seduta.
"Ecco, si tratta della mamma..."
Disse flebilmente. Sospirai passandomi una mano fra i capelli.
"Che ha combinato stavolta?"
Le chiesi.
"L'hanno portata in ospedale, ha bevuto più del solito e..."
Mi comunicò. Non la lasciai finire.
"Ho capito. Mandami un messaggio con l'indirizzo dell'ospedale in cui l'hanno portata e arrivo."
Le dissi scendendo dal letto per iniziare a prepararmi velocemente.
"Okay."
Disse per poi chiudere la telefonata.
Presi i primi indumenti che trovai e li indossai frettolosamente. Meno male che mi ero lavata la sera prima.
Scesi in fretta e furia le scale dopo aver preso il cellulare e letto il messaggio di mia sorella, in cui mi comunicava l'indirizzo di dove dovevo recarmi.
"Signorina Dixon."
Sentii la voce del Signor Jackson richiamarmi, così mi voltai. Lo vidi venirmi incontro, seguito dalla Signora Madison.
"Signor Jackson, le dovrei chiedere una cortesia."
Dissi in tono supplichevole.
"Mi dica."
Disse serio notando la mia espressione.
"Mia sorella mi ha appena chiamata dicendomi che hanno portato nostra madre in ospedale e mi ha pregata di raggiungerla."
Dissi velocemente.
"Va bene, spero non sia nulla di grave. Data la situazione, mi occuperò io oggi del Padrone, stia tranquilla. Vada pure."
Mi disse sorridendomi comprensivo.
"Grazie infinite."
Gli rivolsi un sorriso di gratitudine e mi precipitai fuori dall'abitazione.
Arrivata nell'edificio, mi recai alla reception per chiedere informazioni.
"Mi scusi..."
Non ebbi il tempo di finire, che vidi mia sorella venirmi incontro.
"Darcy, grazie per essere venuta."
Mi disse con lo sguardo basso. Vidi una lacrima rigarle quel dolce visino che si ritrovava, così l'abbracciai forte istintivamente.
"Va tutto bene, sta tranquilla, ci sono io qui."
Le dissi per tranquillizzarla accarezzandole i capelli. La sentii singhiozzare e aggrapparsi a me. Le uniche preoccupazioni di una ragazzina di quindici anni sarebbero dovute essere il riuscire a prendere almeno la sufficienza in un compito in classe, di non fare tardi a scuola per evitare di beccarsi un richiamo, di cosa mettersi al primo appuntamento con un ragazzo, di piacere a quel suddetto ragazzo, o cose del genere, e non preoccuparsi di una donna di quarantanni che non sapeva badare a se stessa e alle sue due uniche figlie che, un tempo, erano la sola ragione della sua esistenza.
"Che ne dici di portarmi da lei?"
Le chiesi dolcemente. Si staccò da me, si asciugò le lacrime con la manica del maglioncino rosa che indossava e mi fece strada. Percorremmo dei lunghi corridoi bianchi. Quel tipo di corridoi erano divenuti oramai familiari per noi, non era la prima volta che esagerava quella donna.
Dopo una decina di minuti, ci fermammo davanti ad una porta e vi entrammo.
"Mamma..."
Pronunciò flebilmente Daisy.
"Senti piccoletta, che ne dici di andare un po' fuori a prendere una boccata d'aria? Resto io qui."
Le dissi rivolgendole un dolce sorriso. Lei annuì ed uscì silenziosamente chiudendo la porta. Sospirai e volsi lo sguardo verso quella che, un tempo, consideravo mia madre.
"Ciao."
Dissi avvicinandomi a lei.
"Oh, sei tornata, quale onore!"
Disse con voce stanca e roca, usando un tono pieno di scherno e sarcasmo e rivolgendomi un sorrisetto maligno.
"Daisy mi ha chiamata."
Le comunicai.
"Immaginavo. Quando chiama lei, tu ti precipiti immediatamente, per lei ci sei sempre."
Disse sempre con quel sorriso, ma facendo trasparire un leggero cenno di malinconia nella sua voce.
"E' mia sorella."
Dissi semplicemente, come per far intendere che era ovvio che io ci fossi sempre per quella piccoletta.
"E io sono tua madre, o forse te lo sei dimenticato?!"
Disse rude.
"Sei tu quella che ha dimenticato di essere una madre."
Dissi mantenendo il mio tono calmo. Rise isterica.
"Certo, scarica tutta la colpa su di me, in questo sei la migliore! Ti ricordo signorinella, che sei tu quella che è scappata abbandonando la sua adorata sorellina e sua madre nel momento del bisogno!"
Sospirai. Ogni volta finiva così, noi due che litigavamo e io che poi me ne andavo sbattendo la porta alle mie spalle, lasciando la mia sorellina con quella donna.
"Se sono "scappata", come sostieni tu, è stato solo per guadagnare qualcosa per coprire le spese tue e di Daisy, per non farvi mancare nulla. Praticamente per provvedere a quello di cui dovresti occuparti tu."
Sottolineai. Fece una lieve risatina.
"Cerchi di fare la gran donna, eh? Sei solo una ragazzina."
Disse viperamente.
"Di certo sono più matura di te."
La attaccai. Ero brava a tenergli testa e ciò mi faceva sentire più forte, riuscivo a sopportare meglio le sue frecciatine. Rise.
"Non ho bisogno di te, vattene."
Mi disse.
"Io non sono qui per te, sono qui per Daisy."
Dissi per poi uscire dalla stanza e vedere la mia sorellina seduta su una sedia presente nel corridoio ad aspettare. Quando mi vide, mi sorrise flebilmente.
"Ehi nanetta."
Dissi sorridendole e andandole incontro per sedermi accanto a lei.
"Come sta?"
Mi chiese.
"Si riprenderà."
Le dissi semplicemente.
"Già, ci riesce sempre."
Disse sussurrando, volgendo lo sguardo verso il pavimento e facendo un lieve sorriso. Vederla così mi distruggeva, mi consumava dentro.
"Tu le vuoi bene?"
Le chiesi dolcemente.
"Certo, è la mia mamma... perché, tu no?"
Mi disse per poi concludere con quella breve domanda a cui non seppi rispondere.
"Ecco..."
Non ebbi il tempo di formulare una risposta adatta alla situazione che sentii una voce pronunciare il mio nome.
"Lei è Darcy Dixon?"
Mi voltai e vidi un uomo con un camice bianco e una cartella in mano guardare me e mia sorella.
"Sì, sono io."
Dissi alzandomi.
"Sono il Dottor Daniels, sono io che mi occupo della situazione di sua madre."
Mi informò.
"Daisy, perché non vai a prendermi una bottiglietta d'acqua dalla macchinetta? Mi è venuta sete."
Dissi alla mia sorellina come scusa per farla allontanare. Lei si alzò e si avviò senza proferire parola.
"Mi dica."
Dissi rivolgendo la mia totale attenzione al dottore.
"E' il quarto ricovero che sua madre fa. Non vorrei allarmarla, ma... se continua così, non vedo molte prospettive per lei."
Mi comunicò. Praticamente quell'uomo mi stava informando che, se mia madre continuava quel suo, oramai, stile di vita, sarebbe morta a breve. Sospirai.
"Cosa potremmo fare?"
Chiesi.
"Dovrebbe smettere di bere e fare uso di stupefacenti, sarebbe opportuno che frequentasse una struttura di disintossicazione e una comunità per alcolisti."
Feci un sorriso amaro. Davvero quell'uomo credeva che avrei potuto convincerla in qualche modo?
"Va bene, grazie. Proverò a parlarle."
Mentii.
"Bene. Inoltre vorremmo tenerla qui, in osservazione, per questa notte. Domani vedremo come sarà la situazione."
Mi disse.
"Okay."
Risposi semplicemente e se ne andò. Mi sedetti e passai le mani sul viso e fra i capelli frustrata. Era tutto un casino. Per me poteva anche morire, la donna dentro quella stanza, stesa su quel letto, non era più mia madre, ma c'era Daisy. Lei la considerava ancora sua madre, lei l'amava davvero, non aveva smesso come avevo fatto io. Mi veniva da piangere, ma cercai di trattenermi per quanto possibile.
"Ecco, tieni."
Non mi resi conto dell'arrivo di Daisy. Presi la bottiglietta che mi porse e le sorrisi.
"Grazie."
Dissi mentre la guardai sedersi accanto a me.
"Che ha detto il medico?"
Mi chiese cercando di nascondere la preoccupazione e l'agitazione presenti nel suo tono.
"Che devono tenerla in osservazione almeno questa notte e poi domani si vedrà."
Dissi solo quello che era meglio che lei si sentisse dire.
Passammo la mattinata intera in quel corridoio, sedute a parlare. Avevo cercato di distrarla in tutti i modi e, per fortuna, c'ero riuscita.
"Sai, si sente la tua mancanza a casa."
Mi confessò.
"Anche a me manca averti fra i piedi."
Le dissi scompigliandole i capelli e sorridendole.
"Ehi!"
Esclamò stizzita riaggiustandoseli. Risi per la faccia buffa che fece.
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