Capitolo 14
Scusate la lunga mancanza, ma non ho avuto molta ispirazione e ho avuto molto da fare, spero di riuscire ad aggiornare regolarmente d'ora in poi. Buona lettura :**
Mi svegliai, notando che ero stranamente nella mia camera, con un biglietto lasciato sul comodino.
'Pronta per l'ultima prova?'
Era la sua calligrafia, l'avrei riconosciuta fra mille. Ero pronta, sì... O quasi.
Ero davanti ad una porta, il Signor Jackson era pronto ad aprirla.
"Pronta?"
Mi chiese. Annuii semplicemente deglutendo. La porta fu aperta e io vi entrai. Mi guardai intorno e mi si raggelò il sangue quando vidi sei occhioni che mi puntavano curiosi.
"Non ci credo..."
Dissi appena. In quella stanza, con me, erano presenti tre cani, cuccioli, che avevano l'aria di essere dei grandi giocherelloni. Iniziarono a correre verso di me che iniziai a scappare urlando. Avevo paura, tanta paura. Il cuore mi batteva a mille, respiravo a fatica e delle lacrime iniziarono a sgorgare dai miei occhi.
"Vi prego, fatemi uscire!"
Urlai disperata. Poteva sembrare una reazione esagerata, ma, cazzo, avevo paura, non potevo farci niente. Salii sul tavolo presente nella stanza, sperando che non riuscissero a saltare fin lì. Ero circondata, stavo andando nel panico più totale, volevo uscire da quella dannatissima stanza. Stavolta l'aveva fatta grossa, non l'avrebbe passata liscia.
Dopo venti minuti buoni, entrò il Signor Jackson, accompagnato dalla Signora Madison, che allontanò i cani e provò ad aiutarmi a scendere dal tavolo.
"Non si azzardi a toccarmi."
Dissi fredda, rifiutando il suo aiuto.
"Ha superato la prova."
Mi comunicò il Signor Jackson.
"Fanculo la prova! Non voglio vederlo."
Dissi furibonda, dirigendomi nella mia camera.
Ero chiusa a chiave in quella stanza da un paio d'ore, raggomitolata nelle coperte, a piangere, dopo aver preso le mie solite gocce per calmarmi. Il Signor Jackson e la Signora Madison erano venuti spesso a bussare alla mia porta, ma li avevo mandati via tutte le volte.
Sentii dei rumori provenire all'interno della stanza, così scesi dal letto e, con mia grande sorpresa, me lo ritrovai davanti.
"Come diavolo hai fatto?"
Chiesi incredula, dimenticandomi per un attimo la storia dei cani.
"Perché non vuoi vedermi?"
Mi chiese confuso. Fu allora che non ci vidi più. Adesso potevo toccarlo? Bene. Mi avvicinai spedita a lui e gli tirai uno schiaffo, uno di quelli difficili da dimenticare.
"Perché l'hai fatto?"
Mi chiese scioccato con gli occhi lucidi, mentre si massaggiava la guancia arrossata. Sembrava un bambino su cui qualcuno aveva appena usato violenza, ma c'era una piccola differenza: quello davanti a me non era affatto un bambino.
"Perché?! Davvero mi stai chiedendo il perché?!"
Chiesi furibonda.
"Grazie alla tua geniale idea riguardo la terza ed ultima prova, mi è venuto un attacco di panico! Quale parte di 'ho il terrore dei cani' non ti era chiara?"
Gli urlai contro.
"Scusa, mi dispiace, io non credevo..."
Disse pentito.
"Fanculo, vattene."
Dissi dirigendomi verso il letto, ma una presa piuttosto salda mi bloccò. Mi voltai e vidi che mi teneva per il braccio, sembrava sorpreso, forse perché non credeva che sarebbe riuscito a toccarmi. Fu allora che mi domandai 'Da quanto tempo non aveva un qualche tipo di contatto fisico con qualcuno?'.
"Che c'è?"
Chiesi acida. Non mi importava di sembrare una bambina, avevo sempre avuto il terrore dei cani, grandi o piccoli che fossero, in particolare quando saltavano, e lui lo sapeva, gliel'avevo detto, eppure se n'era fregato e aveva usato una delle mie più grandi paure per una stupida prova.
"Mi dispiace."
Disse pentito.
"Credi che dire 'mi dispiace' possa sistemare tutto?"
Gli chiesi mantenendo il mio tono duro e freddo.
"Cosa posso fare per farmi perdonare? Dimmelo e lo farò."
Disse. Sembrava disperato, forse perché si era reso conto che stava allontanando l'unica persona che era riuscita ad avvicinarsi così tanto a lui in chissà quanti anni. Sospirai, odiavo quando la gente mi faceva una domanda del genere, non sapevo mai cosa rispondere, così mi arresi. Sì, ero una che si arrendeva facilmente alle volte. Cercai di guardare il lato positivo... Almeno uno schiaffo per sfogarmi gliel'avevo dato.
"Lasciamo perdere."
Dissi vincolandomi dalla presa.
"Vuoi dire che mi perdoni?"
Mi chiese speranzoso.
"Sì... più o meno."
Risposi. I suoi occhi si illuminarono, come se l'unica parte che aveva sentito fosse stata il 'sì'. Scossi la testa, era proprio un bambino.
"Vieni nella mia stanza?"
Mi chiese. Lo guardai per qualche istante, per poi acconsentire e dirigermi verso la porta, ma lui mi bloccò nuovamente.
"Non da lì, vieni."
Disse trascinandomi verso il mio armadio. Aprì le due ante e scostò gli abiti, così da rivelare un pannello che non avevo mai notato prima, o forse non c'avevo dato tanto peso.
"Passiamo da qui, arriveremo prima."
Disse spostando il pannello, mostrandomi così un passaggio. Mi domandai se l'avesse mai usato prima d'ora, se fosse mai venuto durante la notte, mentre dormivo, o mentre non ero presente nella mia camera.
"Vieni."
Disse porgendomi una mano, dopo esserci entrato. Accettai l'aiuto e vi entrai anch'io.
Era un lungo corridoio, con qualche curva, illuminato da delle torce, non quelle elettriche, ma quelle in legno accese col fuoco. Sembrava di essere in un film.
Dopo una decina di minuti, ci fermammo.
"Arrivati."
Disse spostando un altro pannello presente davanti a noi, così da permetterci l'ingresso nella sua camera.
La situazione era piuttosto imbarazzante. Aveva messo il pannello apposto, chiuso l'armadio ed era in piedi davanti a me.
"Allora? Non eri quella che voleva toccarmi?"
Mi incoraggiò. Beh, in effetti, morivo dalla voglia di toccarlo, ma mica potevo avvicinarmi a lui e mettergli le mani addosso... o forse sì?
"Ecco... io..."
Iniziai a formulare, o almeno ci provai. Lo vidi alzare gli occhi al cielo e avvicinarsi di qualche passo.
"Te l'ho già detto che detesto quando balbetti?"
Mi chiese. Capii che quel giorno aveva deciso di morire, non faceva altro che provocarmi.
"Non so cosa fare."
Dissi diretta e sincera, abbassando lo sguardo. Lo sentii avvicinarsi, prese le mie mani e se le portò sul petto.
"Toccami... per favore."
Iniziò come un ordine, per poi finire in una supplica. Era palese il suo bisogno di contatto fisico, glielo si leggeva in viso. Portai i miei occhi dai suoi al suo petto. Era duro, caldo, riuscivo persino a sentire il suo battito del tutto regolare, ma sentivo che la camicia era d'intralcio, così, senza pensarci troppo, iniziai a sbottonargliela, dopo che lui ebbe lasciato le mie mani. Gliela levai, fregandomene del fatto che fosse finita sul pavimento, per poi concentrarmi sul suo petto, le sue braccia, tutti quei tatuaggi. Iniziai ad accarezzarlo dolcemente, dal petto passai all'addome, ai fianchi, alle braccia, al collo, al viso, alle labbra, ai capelli. Sembrava di toccare una di quelle sculture greche, solo più calda, più liscia e più morbida in alcuni punti. Lui sembrava concentrato sui miei occhi, come se cercasse di capire che effetto mi facesse tutto quello. Francamente non lo sapevo nemmeno io, sapevo solo che volevo toccarlo, che non mi sarei mai stancata di farlo, era una sensazione troppo bella, anche sapere che io ero l'unica che poteva farlo, mi faceva sentire speciale.
"Darcy..."
Mi richiamò, così incrociai i suoi occhi, al ché abbassò lo sguardo. Sembrava turbato, imbarazzato. Pensai fosse a causa mia, così allontanai le mie mani da lui, ma, prima che potessi riportarle lungo il mio corpo, mi bloccò.
"No!"
Esclamò riportando le mie mani su di lui nuovamente.
"Non smettere..."
Disse riabbassando lo sguardo. Feci come da lui chiesto senza proferire parola e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi.
"Io..."
Incominciò. Risi.
"Che fai, adesso ti metti a balbettare tu?"
Chiesi sorridendo. Lui alzò lo sguardo e incatenò i suoi occhi con i miei.
"Posso toccarti?"
Mi chiese diretto. La cosa mi spiazzò, non avevo pensato alla possibilità che lui volesse toccarmi, anche se, come richiesta, era del tutto normale ed equa. 'Chissà da quanto tempo non sentiva la sensazione di della pelle diversa dalla sua sotto il tocco delle sue mani' mi domandai. Annuii semplicemente, anche se un po' titubante. Allontanai le mie mani dal suo corpo, così da dargli la possibilità di avvicinare le sue al mio. Sembrava un bambino che stava per scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che avrebbe voluto conoscere già da tanto tempo e che, finalmente, aveva l'occasione per soddisfare la sua curiosità. Iniziò ad accarezzare il mio viso con una mano, mentre appoggiò l'altra sul mio fianco, una miriade di brividi incominciarono a percorrere tutto il mio corpo. La cosa mi metteva a disagio, mi faceva sentire inadeguata, imperfetta, del tutto sbagliata, a differenza di lui, ma allo stesso tempo era davvero piacevole. Il suo tocco era così delicato, come se fossi fatta di porcellana e avesse paura di frantumarmi in piccoli pezzi. Sembrava volesse assaporare ogni attimo, come se volesse imprimere nella sua mente la sensazione di ogni centimetro del mio corpo sotto le sue dita. Dal mio viso passò alle mie labbra, mentre con l'altra mano passò al mio ventre, poi alle mie braccia, per poi fare la stessa cosa che avevo fatto io a lui, ovvero levarmi l'indumento superiore. La cosa mi lasciò un po' sbigottita, al ché portai istintivamente le braccia al petto per coprirmi. Mi sentivo così fragile, così esposta, così vulnerabile, i suoi occhi sembravano voler scoprire ogni aspetto del mio corpo, come se fosse la prima volta che vedeva una donna. Cercò di scostare le mie braccia per poter osservare i miei seni.
"Perché ti copri?"
Mi chiese vedendo che non avevo intenzione di fargli vedere nulla.
"Perché è imbarazzante."
Dissi ovvia. Lui mi guardò stranito.
"Ma io non mi sono coperto."
Mi ricordò.
"E' diverso!"
Esclamai al limite dell'imbarazzo. Mi prese il viso fra le mani e mi costrinse a guardarlo dritto negli occhi.
"Permettimi di osservarti e di toccarti... per favore."
Non sapevo spiegarmi il perché, ma bastava che lui aggiungesse quel 'per favore' ad ogni suo desiderio, per far sì che io lo esaudissi. Infatti lasciai cadere le mie braccia lungo il mio corpo, cosicché lui potesse fare ciò che voleva. Spostò i suoi occhi dai miei al mio seno. Sembrava incuriosito, stranito, come se si domandasse da dove fossero uscite quelle due protuberanze, al ché posò le sue grandi mani su di esse. Istintivamente chiusi gli occhi, era troppo imbarazzante. Strinse delicatamente i miei seni, per poi passare una mano sul mio fianco attirandomi a lui, eravamo praticamente appiccicati. Lui cercò i miei occhi, che avevo precedentemente riaperto per la sorpresa dovuta al suo gesto, come se volesse capire che effetto avesse tutto ciò su di me... Era meglio se non lo sapeva. Avevo il cuore che mi batteva all'impazzata, lui sembrò accorgerse, tant'è che spostò la sua mano sotto il mio seno per sentirlo.
"Il tuo cuore batte forte."
Disse ingenuamente. Improvvisamente le sue labbra divennero molto più che invitanti, sembrava mi chiamassero, erano una tentazione troppo forte, come se avessero scritto sopra 'Baciaci'. Quanto avrei voluto farlo, ma non potevo... Non dovevo. Improvvisamente spostò una mano sul mio sedere, al ché sobbalzai, era diventato davvero troppo.
"Adesso basta."
Dissi allontanandomi. Avevo il battito accellerato, il respiro pesante ed ero piuttosto accaldata. Anche lui era nella mia stessa situazione, ma sembrò non accorgersene.
"Che c'è che non va?"
Mi chiese confuso.
"Okay toccarsi, ma... così è troppo."
Ammisi. Lui mantenne il suo sguardo confuso.
"Non capisco, cosa c'è di sbagliato?"
Mi chiese. Come poteva non capirlo, era talmente ovvio. Non mi sembrava però stesse facendo il finto tonto, anzi, sembrava davvero confuso.
"Ho fatto qualcosa che non dovevo?"
Mi chiese preoccupato. Davvero non capiva?
"Harry, posso farti una domanda?"
Dovevo chiederglielo, avevo bisogno di capire.
"Dimmi."
Acconsentì.
"Tu sai cos'è il sesso?"
Gli chiesi diretta guardandolo negli occhi. Lui inclinò la testa da un lato, riprendendo il suo sguardo confuso di poco prima.
"No."
Rispose semplicemente. Non era possibile.
"Harry, quanti anni hai?"
Gli chiesi.
"Diciannove."
Mi confidò. La mia mente aveva formulato un'ipotesi, ma non poteva essere vera, andiamo.
"Da quanto tempo vivi isolato da tutto e tutti?"
Gli chiesi mantenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi, avvicinandomi un po'.
"Da quando mia madre è andata via..."
Disse malinconico, abbassando lo sguardo. Non poteva essere, non era possibile... Presi il suo viso fra le mani, così da costringerlo a guardarmi nuovamente negli occhi.
"Harry, quanti anni avevi quando tua madre è andata via?"
Gli chiesi come ultima cosa.
"Nove."
Sbiancai. Non ci potevo credere, dovevo parlare immediatamente con il Signor Jackson, mi doveva delle spiegazioni.
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