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Incubi

«Posso entrare?» chiese la voce di Thomas. «Vieni» disse con la testa nel cuscino. L'uomo si sedette accanto a lui sul letto «Ti va di parlare?». Will si sedette sul letto con uno sbuffo «Perché? Mi avete sempre odiato, non mi avete mai visto come qualcosa in più che un ospite in questa casa, ne tu né la mamma mi avete mai considerato vostro figlio. Ma adesso che ho combattuto, adesso che sono pieno di cicatrici, adesso che mi ritrovo a piangere ogni notte... Adesso mi consolate. Adesso mi proponete di sfogarmi con voi. Dopo quindici anni. Perché?»

L'uomo abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Senti l'idea che tu non sia mio figlio di sangue non mi é mai andata a genio. Che tua madre abbia preferito stare con un altro uomo-»
«Lei non voleva» lo interruppe. «Lei ti ama, Thomas. Mio padre... Le ha fatto del male. La prima volta che lo avete visto, vi ha modificato i ricordi in modo che lei dimenticasse il trauma».
Thomas rimase a bocca aperta «Quindi...»

«Nessuno mi voleva. Ne Apollo. Ne la mamma. Ne te. Per questo sono scappato» spiegò.
L'uomo fu colpito dal senso di colpa. «Quando ti guardo... Mi ricordo quello che ha fatto tua madre. Per questo: non riuscivo a non pensarci... E adesso che mi dici questo... Ma comunque immagino quanto tu stia soffrendo: avrai perso tantissimi dei tuoi amici, dei tuoi pazienti, dei tuoi fratelli. E ora sta per cominciare un'altra guerra. Will sei troppo piccolo per fare il soldato»

Will sospirò «Sono cresciuto più velocemente di quanto credi. Io, Percy Jackson, Annabeth Chase e tutti i semidei che hanno partecipato alla guerra... Siamo cresciuti in fretta».
Fu strano, ma Thomas lo abbracciò di nuovo. E neanche stavolta Will sentì un calore al petto, lo stesso che sentiva quando Lee o Michael lo abbracciavano. Probabilmente con Thomas e Naomi non l'avrebbe mai sentito.

Scoppiò a piangere.

Lì, Thomas capì che Will non sarebbe stato più lo stesso ragazzino gioioso e allegro che era sempre stato.
Sarebbe stato diverso. Più grande.
Ancora non aveva capito quanto fosse forte in realtà.

Quando si fu calmato, tornarono al piano di sotto e proposero di fare un salto in piscina.
Inutile dire che Matthew cercò di soffocare Will almeno sette volte.
Ma nessuno riuscì a non notare quante piccole ferite cicatricizzate avesse. E non riuscirono a non notare neanche gli addominali appena accennati e i muscoli delle braccia e delle gambe.
La pelle abbronzata, i capelli biondi, gli occhi blu, le cicatrici più chiare e tutti quei muscoli lo rendevano oggettivamente un bel ragazzo.

Neanche Matthew poteva dire niente, anche se avrebbe veramente voluto.
Il biondino giocava con Dylan cercando di recuperare quei cinque anni di lontananza, il secondo figlio lo affogava facendolo passare per un gioco mentre il primo figlio rideva come un matto.

All'ottava volta che Matthew l'aveva messo sotto, Will decise di uscire dall'acqua e riprendere un po' di fiato. «Alex, perché non chiami Diana?» propose Naomi.
Alex annuì e si fece passare il cellulare dal padre.

Will guardò l'aggeggio: era così comodo poter chiamare qualcuno senza dover cercare un maledetto arcobaleno. Ma, a meno che non volesse chiamare tutti i mostri di Washington, non poteva usarlo.

Si mise a prendere un po' di sole (come se ce ne fosse bisogno) e dopo una decina di minuti si addormentò.

«Ma bentornato, piccolo semidio» sussurrò una voce graffiante e roca, come il verso di un corvo. Dal buio in cui si trovava, comparve una donna formata di una luce... Oscura. Aveva i lunghi capelli neri, un vestito nero stretto ai fianchi e largo sulle gambe che le arrivava alle caviglie. Teneva un braccio piegato su cui stava appollaiato un corvo nero come la pece. Gli occhi della donna erano anch'essi neri mentre la pelle era bianca cadaverica.
Aveva una freccia conficcata nel cuore.

«Coronide» la voce del ragazzo tremò. Coronide sorrise in modo inquietante «Sta arrivando una nuova guerra, William Solace. Anzi: due nuove guerre. E una di queste sarà causata proprio dalla progenie di Apollo». Il buio divenne all'improvviso luce, mostrando a Will il Campo Mezzosangue.
Era tutto completamente distrutto.

Attorno a lui, i corpi senza vita dei suoi amici lo fissavano con occhi spenti. Ma non tutti erano morti: sopra il corpo di Percy c'era Jason, con un bastone con un'aquila sulla punta, che sorrideva vittorioso.

«Non fidarti dei romani, semidio» sussurrò la voce di Coronide mentre Will cadeva in ginocchio sul corpo di Annabeth. Lui piangeva, urlava, abbracciava la ragazza, mentre la donna rideva, godeva e lo separava da lei.

Lei.
La sua migliore amica.
La ragazza che l'aveva capito fin da subito.
La ragazza a cui teneva più della sua stessa vita.
Quella che considerava sua sorella.

«I romani sono ovunque» riprese la voce della donna. «secondo te perché la ragazza di tuo fratello si chiama Diana? Perché tiene sempre le magliette a maniche lunghe quando é con te? Perché quando l'hai vista continuava a passarsi la mano sul braccio, nel punto esatto in cui Jason ha quel tatuaggio?»
“Non é vero!” pensò il ragazzo. “Vuole solo metterti contro di lei. Diana non é una semidea. Non é romana. I romani non esistono”.
Ma neanche lui ci credeva.

«Will» non era la voce di Coronide. «Will!» esclamò di nuovo.
Il ragazzo si ritrovò la faccia di Alex a un centimetro dalla sua. Si accorse di starsi reggendo al lettino così tanto che le nocche erano bianche, aveva il fiatone ed era completamente sudato.
Si mise seduto e si guardò intorno: tutti fissavano lui, tutti inclusa Diana.
Con la sua maglietta bianca a maniche lunghe, infilata dentro un pantaloncino corto di jeans blu.

I romani sono ovunque la voce di Coronide rimbombò nella sua testa.
«Per quanto tempo ho dormito?» chiese con voce roca.
«Un'oretta» rispose sua madre. Il ragazzo non staccava gli occhi dal braccio di Diana. E lei non staccava gli occhi dalla sua collana con le perline del Campo.
Lei sapeva che lui era un semidio: glielo aveva confessato quando lo aveva detto alla famiglia.

«Un nuovo incubo?» chiese lei. Lui continuò a fissarla «Io e te dobbiamo parlare. In privato.» poi si alzò «Adesso».

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