Fratelli... Non Esattamente Normali
Qualcuno diede uno schiaffo al Will del sogno.
«Ahio!» essendo un sogno il biondino non era né debole ne forte, ne morto ne vivo.
«Te lo meriti, Solace» rispose... Michael Yew. Suo fratello. Michael. Yew.
Senza pensarci due volte Will cercò di abbracciarlo, ma Michael si spostò. «Fratellino io non sono veramente qui. Sono frutto della tua testa. Abbracciarci ti farebbe solo più male».
Il ragazzo corrucciò le sopracciglia «Abbracciarvi?».
Come se fosse stato chiamato, un secondo ragazzo spuntò al fianco del vecchio capocabina sorridendo. «Esatto, Willino. Abbracciarci. Fai sogni un po' strani devo ammetterlo».
«Lee» a Will vennero le lacrime agli occhi.
«Willy, non piangere» disse triste Michael. «Siamo morti, okay. Ma non puoi vivere nel passato. Non puoi pensare che siamo gli unici che ti abbiano mai amato».
«Non vorresti raggiungerli, Will? Stareste insieme per sempre» la voce tornò.
Lee gli mise le mani sulle spalle «Questa voce é malvagia. Valdez, McLean e Grace lo sanno e la stanno affrontando ogni minuto della loro missione. Sei più importante di quello che sembra. La fine della rivalità dipende anche da te. La progenie di Apollo farà un bel casino, sta a te decidere se salvare il Campo Mezzosangue o un solo ragazzo. La voce vuole che tu muoia, che tu non faccia mai questa scelta».
«Se tu dovessi morire» s'intromise Michael. «per il Campo sarebbe la fine. Perché un ragazzo si distrarrà e farà un errore che gli impedirà di distruggere la nostra casa. E sarai proprio tu a distrarlo. Quindi, Solace, vedi di non fare idiozie».
Will guardò i suoi fratelli mentre lasciava scorrere le lacrime. «Mi mancate. Mi mancate tantissimo». Prima che potessero solo dire qualcosa, Will aprì di scatto gli occhi e boccheggiò in cerca d'aria.
«SANTI DEI!» Diana al suo fianco si prese un infarto mentre la guardia lo guardava perplesso.
«Quanto sono rimasto svenuto?» chiese mentre lo aiutavano a mettersi seduto. Aveva la voce roca e uno strano sapore in bocca.
«Svenuto? Will, tu sei morto! Il tuo cuore si é fermato cinque minuti fa!» esclamò Diana fissandolo come se fosse uno zombie. Cosa che effettivamente era.
Will sospirò ricordandosi all'improvviso della sfida che aveva lanciato a Michael e Lee: prima o poi li avrebbe abbracciati. «Quei due idioti...» nonostante tutto era contento di non averli abbracciati: avrebbe avuto qualcosa da fare quando sarebbe morto.
Rifletté su quello che gli aveva detto la voce: voleva che Diana portasse il suo cadavere al Campo.
Se lui avesse visto un romano che portava il cadavere di un greco al Campo Mezzosangue avrebbe preso il suo arco e l'avrebbe colpito al cuore urlando vendetta. Ed era esattamente quello che voleva la voce. Guerra. Guerra tra Greci e Romani.
La progenie di Apollo, quel ragazzo, chiunque fosse, stava seguendo il piano della voce.
L'arrivo di Jason Grace non era un male. La scomparsa di Percy non era un male.
Idiota com'era, Will cercò di alzarsi di colpo e sarebbe caduto se non fosse stato per Diana e la guardia. «UCCIDILA!» urlò la voce di Apollo.
«Will!» Diana gli bloccava il polso destro a mezz'aria. Il ragazzo si rese conto di stringere il suo pugnale.
Lasciò la presa e si sedette sul letto mentre la guardia li guardava preoccupato. «Sento una voce» spezzò l'uomo il silenzio. «la voce di Ares che mi urla di uccidere la ragazza. E poi... C'è una voce molto simile alla sua. Che mi dice di uccidere te, biondino». Will guardò Diana: Marte e Ares stavano dando il tormento a quell'uomo, questo era poco ma sicuro.
«Uccidi la guardia. Uccidi il figlio di Ares» la voce di Apollo sembrava diversa, più dura e più severa. Più romana.
«Diana» Will la guardò dritta negli occhi. «Dobbiamo separarci. Dobbiamo assolutamente separarci». La ragazza annuì triste. «Avviserò Alex e tornerò al-»
«No.» la interruppe. «Tu vuoi starci a casa Solace. Io no. Tornerò a New York».
Lei lo guardò riconoscente e annuì. Ringraziarono la guardia e Will accettò di tornare a casa solo per prendere una maglietta decente.
Naomi rimase confusa quando trovò una ferita fumante sul corpo del figlio e la fidanzata del primogenito che lo reggeva sulla soglia della loro villa. Li fece entrare, Will si bendò la ferita consapevole che non sarebbe servito a molto e si prese una nuova maglietta. I polmoni stavano bene per puro miracolo ed entrambi i semidei pensarono che fosse grazie ad Apollo.
«Dov'é tuo padre?» chiese la padrona di casa guardando Will che chiudeva la porta della sua vecchia stanza.
«Sai che ti dico? Matthew aveva ragione: non siete i miei genitori. Ho dovuto rischiare la mia vita per meritarmi la colazione di stamattina e una mezz'ora al parco con Thomas. Ti ricordi cosa mi davi a colazione? Pane duro e un po' di formaggio ammuffito. Scappo di casa, sparisco per cinque anni, rischio di morire, torno e mi ritrovo con uova strapazzate, bacon fritto, succo di frutta e una "giornata con papà". É per questo che me ne sono andato. Domani vi sareste già scordati tutto, avrei dovuto fare Washington - San Francisco a piedi all'andata e al ritorno per rimeritarmi questa una giornata con voi».
Poi finalmente rispose alla domanda «Mio padre é sull'Olimpo. Se ti riferisci a Thomas Solace, quello che avete fatto di tutto per costringermi ad ammettere che non fosse mio padre, l'ho lasciato al parco. Ora non so dove sia e non ho intenzione di-». Una fitta al torace gli tolse il fiato. Strinse gli occhi si portò una mano sulla benda mentre un leggero fumo nero superava la stoffa della maglietta.
Naomi cercò di dare una mano, ma Will l'allontanò. «Non puoi fare niente». La donna capì che non si riferiva soltanto alla ferita. Quando Will uscì dalla villa sbattendo la porta, capì che non l'avrebbe rivisto tanto presto.
Forse sarebbero dovuti passare altri cinque anni. Magari di più. Ma sperò di meno.
Il botto della porta che si chiudeva le fece scorrere davanti tutti i suoi errori. Santi dei, Will era suo figlio! E aveva dannatamente ragione a essere arrabbiato!
Rendersi conto di quanto avesse ragione la spinse a sedersi a terra e a osservare la porta di legno bianco della stanza, chiusa probabilmente per sempre.
Prese un bel respiro, girò la chiave nella fessura, scese a prendere una piccola catenella dal portagioie e se la legò al collo come promemoria: nessuno in quella casa si sarebbe mai più sentito costretto a dover dimostrare il proprio valore per un semplice gesto d'affetto.
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