17 Perle
CIAO AMICI
Piper aveva costretto Percy a insegnarle a surfare. L'aveva preso e trascinato su tutta la spiaggia fino a mare, poi era tornata indietro e si era fatta dare due tavole da surf dai figli di Apollo, che se la ridevano. Frank aveva deciso di seguirli sottoforma di pesce per ridere di loro.
Hazel aveva trascinato Nico sotto l'ombrellone di Reyna per costringerlo a fare conversazione.
Leo continuava prendere fuoco facendo divertire tutti i piccoli semidei che trovavano il faticoso lavoro di spegnerlo un vero spasso. Calipso li incitava a buttarlo di sotto per affogarlo e vista la sua altezza e il divertimento, i piccoli non si scoraggiarono.
Jason era solo sotto il suo ombrellone a fissare la baia di Long Island col Campo che si estendeva alle sue spalle. Si guardò intorno per cercare qualcosa da fare, poi sorrise sadicamente.
Un'ombra coprì il suo viso e sospirò. «Percy, levati e torna in acqua.» Jason sorrise. «Non sono Percy»
«Jason vai in acqua dalla tua ragazza» disse semplicemente. Jason le rubò gli occhiali da sole e se li mise tra i capelli, stendendosi sul lettino di Percy.
Annabeth lo guardò annoiata «Jason.»
«Annabeth.»
«Jason.»
«Annabeth?» chiese. Annabeth sorrise «Muoviti, scemo. Dammi gli occhiali».
«Eddaiiiii!» esclamò col sorriso «Mi annoio da solo».
«Mi stavo abbronzando» gli rispose. Il figlio di Giove alzò gli occhi al cielo «Voi ragazze e la vostra fissa di abbronzarvi. Siete tutte abbastanza colorate!».
Annabeth alzò un sopracciglio «Hazel é una ragazza di colore, Piper é Cherokee, Reyna é Portoricana e io sono pallida come la morte. Posso abbronzarmi un po'? Non sono una figlia di Apollo». Jason rise facendo sorridere Annabeth. Le indicò il collo «Hai intenzione di abbronzarti con i segni delle perline? Quante sono, dieci? Vuoi vuoi avere dieci pallini bianchi sul collo mentre il corpo si fa scuro?».
«Dodici» rispose orgogliosa. Jason sgranò gli occhi «Dodici? Wow... Non scherzavi quando dicevi di essere arrivata qui a sette anni allora! Sei quella con più perline di tutto il Campo».
Annabeth sorrise «C'è solo una persona che mi batte. E mi batte di brutto».
Jason non ci credeva «Qualcuno che é qui da più di dodici anni?»
«Diciassette perline» rispose la figlia di Atena. Il ragazzo avrebbe potuto soffocare con la sua saliva.
«Quanti anni ha? Trenta?» Annabeth scosse la testa. «Diciassette. Diciassette perline e diciassette anni».
«Oh. Miei. Dei.» disse semplicemente. Annabeth rise «Esatto. É il mio migliore amico, siamo letteralmente cresciuti insieme».
«Miei dei... Devo assolutamente conoscerlo. Ma magari sarà troppo impegnato ad abbronzarsi» la prese in giro. Annabeth fece un sorriso furbo «É abbronzato da quando é nato. Sai com'è: é un figlio di Apollo».
Jason rise «Allora andiamo, no?»
«Poi mi lasci in pace?»
«Forse».
La semidea alzò gli occhi al cielo e sbuffò mentre prendeva Jason per il polso e lo tirava via.
«Solace» disse quando si ritrovò davanti a un ragazzo steso sul lettino a prendere il sole.
Solace si alzò gli occhiali da sole, immergendoli tra i capelli biondi. Aveva degli occhi di una sfumatura blu bellissima che si abbinava perfettamente al biondo oro dei capelli. «Chase» si mise seduto col sorriso. Jason contò le sue perline e ne vide esattamente diciassette.
«Lui lo conosci, vero?» chiese la bionda. Il ragazzo guardò Jason «Ha il costume viola quindi deduco che é un romano, poi ha il tatuaggio SPQR sul braccio e quattordici linee quindi credo che sia un veterano del campo Giove, se é chi credo ha 18 anni. Infine ha quella cicatrice sul labbro, la cicatrice che ha solo un romano. Jason Grace, il figlio di Giove».
Annabeth alzò di nuovo gli occhi al cielo, divertita «Bastava vedere il tatuaggio».
«Lo so, Genietto» Annabeth non si arrabbiò. Jason capì che quello era un soprannome che usava spesso perché la ragazza sorrise, gli occhi brillarono. «Ora che il piccolo Liam ha mostrato le sue capacità da detective, Jason può dire perché siamo qui.».
Entrambi si voltarono verso di lui «Oh si, be' ho visto che Annabeth ha dodici perle al collo. Mi ha detto che solo una persona al campo la superava. Sei qui da quando sei nato?». Il figlio di Apollo sorrise «Si, Grace. Sono arrivato qui quasi un mese dopo la mia nascita»
«E non te ne sei mai andato?» Jason pensava di essere l'unico ad aver avuto una vita talmente schifosa da essere costretto a crescere al Campo Giove.
Ma Will scosse la testa «É una storia molto lunga. Un casino cominciato diciassette anni fa». Il figlio di Giove si sedette sulla sabbia lì vicino, affiancato da Annabeth. La sua discendenza da Atena le impediva di andarsene: troppa curiosità.
Jason adorava i ragazzi della Cabina 6: così curiosi, come bambini che vogliono sapere cosa succederebbe se premessero l'interruttore della luce. Hanno sempre quel luccichio negli occhi, quella voglia di imparare.
Fantastici.
Will inclinò la testa. «Perché non tornate ai vostri ombrelloni?» chiese e Annabeth scrollò le spalle, come se la risposta fosse ovvia «Perché vogliamo sapere che casino é successo». Il romano annuì e l'altro biondino si sedette meglio, poggiò gli avambracci sulle ginocchia e li fissò «Volete conoscere quel disastro della mia vita prima di arrivare qui e ricevere le diciassette perle del Campo?». I due annuirono.
Il dottore era confuso «State scherzando?»
«Che c'è?» chiese Jason. «É pura curiosità».
«Si ma... Sono confuso» Will socchiuse gli occhi, come se cercasse una seconda motivazione.
Quando vide negli occhi di entrambi la pura e semplice curiosità, sospirò. Rivivere la sua vita? Non l'aveva mai fatto, aveva cercato di dimenticare tutto. Era stata migliore di quella di molti semidei, senza dubbio, stesso quelle della sua migliore amica e del ragazzo romano erano messe peggio. Ma nonostante tutto era la vita di un semidio, per niente semplice e non esattamente felice.
Decente.
Si poteva descrivere solo così. Decente.
«Dai, Solace!» esclamò il figlio di Giove. «Siamo solo curiosi!».
«Dai Will, sono la tua migliore amica e non so niente della tua vita prima del campo. Daiiiii» Annabeth fece il musetto. Non era pucciosa come avrebbe dovuto, ma fece scoppiare a ridere Will.
Jason si mise in posizione di preghiera e fece un musetto anche lui. Ecco. Quello era puccioso. La cicatrice risaltava tantissimo e gli occhi sembravano essersi ingranditi.
«Per favore» disse con una voce dolce.
Il biondo scoppiò a ridere nuovamente.
«Va bene, Grace» Sospirò Will Solace. «Mettiti comodo: ti racconterò la mia fantastica storia».
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