Capitolo 46
Trovare la formula esatta della Pietra filosofale, altrimenti detta Siero dell'Eternità, da offrire al Vampiro Più Cattivo Della Terra in cambio della salvezza di Max, era l'unica soluzione che mi fosse venuta in mente per cavare tutti noi dall'impiccio non da poco di rischiare le nostre vite, immortali e non. Era di sicuro poco etico, regalare a una creatura malvagia un simile potere, ma tutto sommato pensavo che il gioco valesse la candela.
Anzi, la trovavo un'idea geniale.
Solo che, per metterla in pratica, dovevo implementare una serie di passaggi. Avevo ottenuto grazie a Kurt una copia del volume che avevamo rubato dalla setta del mio professore; io stessa avevo scattato una foto alla pagina separata dal resto del volumetto, sgattaiolando via dalla stanza di Max mentre il mio adorato mezzo vampiro dormiva, raggiungendo il salotto del suo palazzo e catturando un'immagine più in fretta che potei, con il cuore in gola al pensiero che qualcuno mi cogliesse sul fatto.
A questo punto, dovevo verificare se la formula era esatta e completa, e fare un esperimento per creare l'elisir. Per realizzarlo, però, le nozioni che avevo appreso nel corso di Chimica e chimica applicata non erano sufficienti.
Dovevo andare alla fonte: trovare uno studente di chimica vero.
Lo studente di chimica più bravo in circolazione, per l'esattezza.
Riuscii a liberarmi della sorveglianza di Kurt abbastanza facilmente; il fatto che ormai fosse piena estate e il povero vampiro non riuscisse a seguirmi ovunque, per farmi da scorta come gli aveva intimato Max, mi aiutò a smarcarmi senza problemi dal suo controllo.
Maximilian nel frattempo era rintanato in casa, non solo per tenersi lontano dalla caccia di Alaric, ma soprattutto per guadagnare una quantità sfacciata di soldi visto che, a quanto avevo appreso, la sua principale occupazione era il trading on line.
Vista la segretezza della mia missione avevo deciso di non coinvolgere né Elena né il suo compagno licantropo né il mio amico driade, che era tornato alla sua attività di albero a tempo pieno, per cui mi ritrovai da sola davanti al dipartimento di Chimica sentendomi una specie di 007.
Nel tempo avevo imparato a distinguere gli studenti dei vari corsi di laurea in base a come si vestivano, per cui avevo pensato che, per non dare nell'occhio e realizzare un appostamento perfetto, fosse il caso di abbigliarmi come un qualsiasi studente di Chimica.
Solo che non avevo idea di come vestissero gli studenti, da queste parti; visto che in tutta la mia carriera universitaria non ne avevo incrociato neanche uno, mi parevano delle specie di animaletti esotici perfino più riservati di me, che trascorrevano le giornate rinchiusi in un laboratorio e impegnati a compiere degli esperimenti il cui risultato poteva essere molto ma molto pericoloso.
Nel dubbio optai per una maglietta grigia tie and dye che avevo scovato in fondo al mio borsone e un paio di jeans, che mi aveva passato un'amica del liceo e non avevo mai indossato perché erano troppo lisi per i miei gusti, con tagli così profondi da dare l'impressione che mi si sarebbero sfaldati tra le mani mentre cercavo di indossarli.
Saltò fuori che era un travestimento adeguato, perché appena entrai in dipartimento scovai almeno altri cinque ragazzi abbigliati più o meno come me.
Rassicurata, mi trovai un angolo di fianco ai distributori automatici, resistendo a fatica all'aroma di caffè che mi faceva salivare neanche fossi un labrador. Finsi di contemplare i pacchetti di patatine mentre studiavo il via vai degli studenti.
Scartai i ragazzi che chiacchieravano di Game of Thrones (non che non avessi un desiderio irresistibile di parlare di Game of Thrones con chiunque, ma quello non era il momento adatto, visto che ero in missione), le ragazze che discutevano della composizione chimica dei rossetti del supermercato e gli studenti dell'ultimo anno, che parlavano solo della tesi e non sembravano per nulla intenzionati a rimandare la laurea per trascorrere notte e giorno a elaborare la formula chimica che avrebbe salvato la vita del mio magnifico ragazzo vampiro.
Cominciavo a sentirmi senza speranza, visto che non avevo incrociato nessuno che facesse al caso mio, finché non adocchiai un tipo interessante. Indossava i jeans strappati d'ordinanza, ma anche un camice grigiastro per gli svariati lavaggi e costellato di buchi; di certo non era il massimo dell'eleganza e dell'ordine, ma in qualche modo mi dava l'impressione di essere uno che aveva le mani in pasta nel mondo per me quasi oscuro della chimica. Il fatto poi che portasse un borsone pressoché identico al mio, pieno di tasche e fibbie e di sicuro zeppo di chissà quante diavolerie, magari anche di una scorta di alambicchi pret à porter, me lo rese subito simpatico.
In poche parole, era il mio jolly.
O piuttosto, l'unica carta da giocare che avevo a disposizione.
Lo studente di chimica stava uscendo dal dipartimento, per cui mi misi alle sue calcagna. Quant'ero diventata brava, negli inseguimenti! Se non fossi riuscita a laurearmi in ingegneria, avrei potuto intraprendere la professione di stalker con un discreto successo.
Gli stetti dietro per un bel pezzo, seguendolo sul viale alberato in cui si affacciavano gli edifici dei vari dipartimenti senza che si accorgesse di nulla. A dire il vero, procedeva con la testa così per aria da sembrare più svagato di me; rischiò di scivolare sulle foglie che ingombravano la strada, andò a sbattere contro un gruppo di ragazze, profondendosi in mille scuse, dopodiché si fermò a contemplare il fiume, o l'airone cinerino che si nascondeva tra le foglie vicino all'acqua, o forse un paio di nutrie.
Cominciavo a temere che non mi sarebbe stato di alcuna utilità, ma quando tirò fuori dalla tracolla un libro-malloppo intitolato Chimica generale e cominciò a scribacchiarci sopra qualcosa a matita, ripresi le speranze.
Eureka! avrei voluto gridare per la contentezza, quando scoprii che la vittima del mio inseguimento stava vergando con una certa frenesia quella che mi pareva una formula chimica costituita da lettere greche e una sequela di numeri.
Decisi di entrare in azione con la scusa più vecchia del mondo: fingere che mi cadesse la borsa, gigantesca e pesantissima perché, come al solito, stracolma di libri, e attaccare bottone quando lo studente gentiluomo mi avrebbe aiutato a raccoglierla.
Ma dovevo aver esagerato, perché, sentendo alle spalle la specie di boato che produsse la mia borsa quando si schiantò a terra, il ragazzo fece un salto per lo spavento e per poco non rischiò di cascare nel fiume.
«Oddio! Ti ho spaventato?» gli strillai in un orecchio agguantandolo per un braccio, un po' perché temevo che fuggisse e un po' perché ero convinta che stesse davvero per svenire per la paura.
Il povero giovane aveva il fiatone e mi guardava stranito.
Portava degli occhiali tondi, che gli erano scivolati sulla punta del naso; li rimise a posto tirandoli su con un gesto che aveva tutta l'aria di essergli abituale e mi studiò da capo a piedi, guardandosi bene dal raccogliere la borsa-armadio portatile che gli avevo più o meno gettato su un piede. «N-no» balbettò, con un filo di voce che mi intenerì.
«Devo averti spaventato, mi dispiace!» rincarai la dose. «Vieni, ti offro un caffè per farmi perdonare.»
Senza attendere una replica me lo trascinai dietro, indirizzandomi con passo deciso verso il bar pieno di stanzoni e stanzine che sapevo essere l'antro in cui si rintanava la maggior parte degli studenti della zona, che trascorreva lì buona parte dei pomeriggi e delle serate. «Due caffè!» gridai alla barista, anche se di sicuro non sarebbe stato il caso di ingurgitare della caffeina, viste la mia sovreccitazione. Feci le scale per salire nella sala superiore, un po' più raccolta, continuando a tirare il ragazzo, con il rischio di farlo inciampare sui gradini e perdere per strada la sua preziosissima borsa.
Ci sedemmo sui divanetti, e per un attimo sprofondammo entrambi all'imbarazzo. Intravidi una tinta color ciliegia sulle sue guance, mentre rimetteva a posto gli occhiali. Alzai lo sguardo a fissare il soffitto proprio ne momento in cui lui lo abbassava per guardare il tavolo.
Non ero abituata ad adescare ragazzi per strada. A parte i vampiri dalle aure più belle che esistessero al mondo.
I caffè arrivarono e la cameriera tornò al piano di sotto.
Rimanemmo soli.
Dovevo trovare un modo per riprendere la non-conversazione che avevamo avuto fino a quel momento. «Senti... conosci Game of Thrones?» chiesi, buttando fuori la prima domanda che mi venne in mente.
«È la mia serie preferita» bisbigliò lui in risposta.
Oh, grazie a tutti gli Antichi Dèi e a quelli Nuovi, pensai tra me e me.
Per poi gettarmi a capofitto nella conversazione più approfondita che avessi avuto con chiunque sul tema.
Venne fuori che il ragazzo, che si chiamava Marco e oltre al tic degli occhiali aveva un sorriso dolcissimo, che faceva capolino ogni tanto sulle labbra sottili, aveva letto cinque volte l'intera serie di libri pubblicati sul Trono di spade, visto almeno altrettante le serie tv, idolatrato Martin e pianto e riso e pianto a ripetizione in quasi ogni scena. Il suo personaggio preferito era Ser Davos Seaworth, se avesse incontrato per strada Cersei se la sarebbe fatta sotto dalla paura, mentre avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di partecipare all'incontro in cui Jon viene proclamato re e tutti gridano a squarciagola King of the North! King of the North! King of the North!
Perché sì, entrambi avevamo fissato la sveglia a ore improbabili per vedere le serie in lingua originale in contemporanea con l'uscita in America.
Trattenni a fatica una lacrimuccia all'idea di quella scena memorabile e decisi lì per lì che Marco avrebbe scalzato Kurt dal podio dei miei migliori amici.
Dopo un buon paio d'ore spese a chiacchierare a ruota libera, venne il momento in cui ci zittimmo per riprendere fiato.
E ritenni fosse il caso di arrivare al vero motivo per cui avevo messo in piedi quella pantomima.
«Senti... Non è che per caso ti interessi di alchimia?» domandai con un'esitazione, sperai, impercettibile.
Una persona normale sarebbe scoppiata in una risata irrefrenabile, non c'erano dubbi. Marco, invece, accolse la domanda bislacca con un semplice battito di ciglia. Se non altro, non era balzato in piedi e non se l'era data a gambe.
«Alchimia?» chiese, abbassando il tono di voce a un sussurro, mi sembrò, cospiratorio.
«Sì, sai quella cosa del passato. Dove si creavano pozioni strane. Con degli alambicchi.» Maledizione. Tutto a un tratto mi sembrava di non riuscire più a formulare un ragionamento dotato di logica.
Marco si tirò su gli occhiali sul naso. «Perché mi fai questa domanda?» chiese, di colpo serio.
Perché devo salvare la vita eterna del mio ragazzo, che in realtà è già morto, provai l'istinto di confessare. «Perché un mio caro amico è afflitto da una malattia molto grave e i medici non sanno più cosa fare» dissi d'impulso.
Una mezza verità. Anzi, a dire il vero un terzo di verità, giacché Max, per me, non era soltanto un caro amico, e soprattutto perché era stato affetto da una grave malattia più di un secolo fa, prima di morire per davvero.
«Devo trovare il modo di aiutarlo. Devo!» proseguii, catturando una mano di Marco tra le mie con l'enfasi di una pazza, visto com'ero agitata. Le sua pelle era un po' ruvida, forse per l'abuso di guanti e prodotti chimici, ma la mano calda e confortante. «Per questo, ho fatto delle ricerche» proseguii. «Sono entrata in possesso di alcuni appunti del passato, in cui si descrive una formula chimica per comporre la Pietra filosofale e trovare l'immortalità, ma nel mio corso di laurea ho fatto solo Chimica e chimica applicata! Per me quelle annotazioni sono incomprensibili come gli scarabocchi di un bambino, senza contare che sono lacunose perché annerite dal fumo, visto che erano custodite in una casa che è andata distrutta in un incendio.»
La mia scusa faceva acqua da tutte le parti. Com'era possibile che una studentessa di ingegneria fosse entrata in possesso di documenti che risolvevano un problema su cui l'intera umanità si era arrovellata per secoli? Per di più, salvati dal rogo di una casa che aveva preso fuoco?
Non aveva senso.
Ma, in fondo, avevo dichiarato che Ser Davos era il mio personaggio preferito di Game of Thrones (vero), che Cersei mi terrorizzava (vero), che ogni sera gridavo a squarciagola King of the North! (quasi vero: solo la notte di Capodanno, per cominciare con entusiasmo l'anno nuovo) e che non avrei disdegnato di bere qualche boccale di buon vino di Dorne (falso: dopo l'esperienza non del tutto entusiasmante di ubriacarmi a una festa in compagnia di un licantropo, una driade e una nereide, la sola idea di toccare un goccio di vino di qualunque provenienza, perfino dalle mitiche terre di Dorne, mi ripugnava), per cui agli occhi di uno studente di chimica un po' invasato dovevo avere acquisito un minimo di credibilità.
Era così, infatti. Marco si liberò con discrezione dalla mia stretta spasmodica, ma non si precipitò giù per le scale per allontanarsi dalla pazza che lo stava stalkerando, cioè io. Mi rivolse invece un'occhiata intimidita e il sorriso con dentini da coniglietto che lo contraddistingueva. «Hai una formula, quindi» bisbigliò.
Non osavo farmi illusioni, ma quella piccola apertura mi sembrò un segnale incoraggiante. In preda all'emozione, non potei far altro che annuire.
«Posso vederla?» aggiunse.
Cavoli. A quel punto deglutii almeno tre volte, per impedirmi di scoppiare a piangere per la commozione. Spalancai la mia borsa-armadio, tirai fuori la pila di copie delle pagine mezzo arrostite dal fuoco che avevo stampato con religiosa attenzione e le deposi sul tavolo.
Marco si prese tutto il tempo, consultando i documenti con tale lentezza che rischiai di consumarmi per l'agitazione. Procedeva con metodo: voltava una pagina, la spianava sul tavolo con le dita, si chinava sui simboli alchemici mentre si strofinava pensoso un labbro.
E intanto, il mio cuore rischiava di arrestarsi.
Alla fine il mio nuovo migliore amico si raddrizzò e rimise a posto gli occhiali.
«Allora?» domandai al suo volto impassibile. «Si può fare?»
«Posso provarci.»
Certo non era un proclama appassionato, ma detto da un ragazzo che aveva tutto l'aspetto di un piccolo genio della chimica fu come se un raggio di sole avesse frantumato la finestra del bar e mi avesse investito di luce divina.
«Mi serviranno degli ingredienti, però» aggiunse in uno strano tono funereo.
«Tutto quello che vuoi» ribattei.
Oro? Incenso? Mirra? Gli avrei fornito qualsiasi cosa, pur di salvare la vita di Max, o almeno la sua non-vita, per l'eternità.
«Mercurio» rispose Marco.
SPAZIO DELL'AUTRICE
In questo romanzo compaiono sempre nuovi personaggi. Stavolta abbiamo fatto la conoscenza di Marco, un chimico piuttosto timido ma, a quanto sembra, capace di aiutare Livia nella realizzazione dell'Elisir. Cosa ne pensate? A me, con quei dentini da coniglietto, il sorriso impacciato e il gesto ripetitivo di mettere a posto gli occhiali, ha fatto tenerezza.
Se questo capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti e votatelo con una stellina.
A presto con nuovi aggiornamenti,
Chiara
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro