Capitolo 43
Certe notizie sono difficili da digerire, e a volte ti rimangono appiccicate alla mente giorno e notte.
La rivelazione di Max era una di quelle.
Avrei voluto saperne di più subito, ma lui si rifiutò di parlarne, dichiarando che non si sentiva a proprio agio nel mio appartamento e che temeva che questo Alaric, o chi per lui, avrebbe potuto fare irruzione da un momento all'altro. Così, mi toccò salutare per l'ennesima volta i miei amici vecchi e nuovi, Elena, il licantropo, la bellissima fata d'acqua e lo spirito d'albero che potevo vedere solo io, e trasferirmi nel palazzo dall'esterno decadente e l'interno principesco del mio non-più-ex ragazzo vampiro.
A questo punto sentivo davvero il bisogno di un po' di stabilità, in seguito a così tanti cambiamenti, per cui non mi lamentai più di tanto; lasciai che Kurt si caricasse su una spalla il mio borsone, pieno di abiti e libri, e che Max mi prendesse per mano per condurmi di nuovo nella sua villa. Non c'era nulla di sbagliato, nello stare così vicini dopo tanti giorni di lontananza. L'unica cosa sbagliata di quel periodo era che lui mi avesse lasciata.
Entrai nel palazzo con una gioia che non mi aspettavo. Non credevo che tornare in quell'ambiente illuminato solo dai lampadari, con gli scuri chiusi e le tende ben accostate, mi avrebbe riempito di felicità. Il fatto poi che Giulietta mi stesse attendendo di fianco alla porta, con un sorriso birichino e le guance rosate per l'entusiasmo di rivedermi, mi colmò di un tale entusiasmo che mi fiondai accanto a lei e le afferrai le mani.
«Stai bene?» le chiesi di slancio.
«Certo, signorina» rispose lei, con un piccolo inchino e una strizzata alle mie mani che mi lasciò intendere quanto si fosse affezionata a me. «Sono lieta che sia tornata.»
«Quante smancerie!» protestai gettandole le braccia al collo, in una manifestazione d'affetto che era del tutto inconsueta, per una come me. «Non devi mai più darmi del lei.»
«D'accordo, signorina Livia» replicò Giulietta, costringendomi a roteare lo sguardo per l'esasperazione.
Volevo continuare con quello scambio di cortesie, ma Max mi catturò per un braccio e mi scortò di sopra prima che potessi proseguire. A sorpresa, non mi condusse verso la stanza che era diventata mia a forza di trascorrerci così tante notti, in fondo al corridoio e con la tappezzeria color azzurro carta da zucchero, ma nella sua.
Rimasi piuttosto sconcertata, tuttavia entrai fingendo naturalezza, presi il coraggio a due mani e mi sedetti sul suo letto. Non potei trattenermi dal sorridere a trentadue denti quando riconobbi sulla trapunta le tracce del suo profumo, un'acqua aromatica nei sentori del bosco.
Max mi lanciò un'occhiata soffice come una coperta di cashmere. «Ti va bene?» domandò.
Annuii, con il bizzarro sorriso ancora addosso; era così euforico che rischiava di intorpidirmi le labbra. «Mi va bene.»
Max esalò un lungo sospiro, che mi fece comprendere senza che fossero necessari grandi discorsi quanto avesse sofferto anche lui, in questi giorni di separazione. Attraversò i metri che ci separavano con uno scatto fulmineo, che per un attimo mi fece pensare che si fosse trasformato in un vampiro completo e avesse sfoderato dei superpoteri, si sedette accanto a me e mi circondò con le braccia. Il suo cuore dal battito lento, che mi formicolava sotto l'orecchio, era diventato il suono che preferivo al mondo.
Avrei voluto restare in quella posizione per sempre, lasciando che le sue braccia allontanassero dal piccolo universo di quella stanza ogni problema, preoccupazione o nemico che potesse minacciare il nostro equilibrio, ma sapevo che era venuto il momento di parlare.
Max aveva cercato in tutti i modi di tenermi lontano dai suoi segreti, ma per farlo aveva rischiato di distruggere sia il suo cuore che il mio.
Mi separai da lui quel tanto che bastava per togliermi le scarpe, sedere a gambe incrociate e prendergli entrambe le mani, poi incominciai a fargli delle piccole carezze con la punta delle dita. La sua pelle era quasi fredda, ma soffice come seta.
«Racconta» dissi.
Max si morsicò un labbro. Immaginai che stesse conducendo una lotta dentro di sé, per decidere se mantenere il segreto o confessare cosa lo tormentava.
«Alaric. Dimmi di lui» lo esortai, sperando che riuscisse a dipanare i pensieri.
«Lui... è... un vampiro» balbettò Max. Mi addolorava vederlo così incerto; era evidente che, per lui, questo Alaric costituiva un ricordo doloroso.
Stavo per chiedere altre informazioni, ma finalmente Max parve sbloccarsi. «Quando eravamo a Magonza, era un vampiro che era entrato a far parte della cerchia di mio padre. Ti ho già detto che era un alchimista, giusto? Al tempo, era il responsabile di una setta segreta; l'equivalente di quella che gestisce Astarte qui.»
Ero così incuriosita che avrei voluto tempestarlo di domande, ma tenni la bocca chiusa e continuai ad ascoltare.
«Mio padre teneva celati i suoi studi sul siero dell'immortalità, perché sapeva che avrebbero fatto gola a molti. Purtroppo, Alaric spiava da tempo la nostra famiglia, vista la mia condizione fragile, e aveva pagato la nostra servitù per essere informato su tutto quello che accadeva tra le nostra mura.
«Quando si venne a sapere che la mia salute era migliorata all'improvviso, avevo recuperato colore e anche se mi tagliavo non rischiavo più di morire dissanguato, capì che qualcosa era cambiato. E quando... un membro della mia famiglia ci tradì e gli disse la verità, fece di tutto per impossessarsi della formula.»
«Un membro della tua famiglia?» non potei fare a meno di chiedere, ma vidi l'aura di Max contrarsi in una specie di bozzolo oscuro ed ebbi così paura di ferirlo, aprendo di nuovo una ferita a malapena rimarginata, che non osai porre ulteriori domande.
«Alaric attaccò la nostra casa» riprese Max. «Ti ho già raccontato quello che accadde: il palazzo venne bruciato, mio padre morì nell'attacco e parte del volume che conteneva i suoi studi finì distrutto. Io scampai per un soffio alla carneficina e mi rifugiai insieme a Kurt nell'abitazione di un'altra famiglia.»
Ricordavo quella vicenda, in effetti, ma sentivo che c'era qualcosa che Max non mi aveva ancora detto. Qualcosa di così importante e oscuro da rimescolare l'aura che lo circondava, e avergli perfino fatto spuntare alcune gocce di sudore sulla fronte.
Rafforzai la stretta delle sue mani, per fargli capire che lo ascoltavo e condividevo il suo dolore, e lui mi rivolse un piccolo sorriso.
Sparì quasi subito, quando Max, anziché rilassarsi, aggrottò le sopracciglia in un'espressione tetra. «La famiglia in cui ci rifugiammo era quella della mia fidanzata di allora. Anneke.»
Ebbi una specie di fremito, quando pronunciò quel nome. Lo conoscevo già, gli era sfuggito dalle labbra quando lo avevo sorpreso durante un incubo, e in effetti il nome di questa giovane misteriosa aveva tormentato anche i miei sogni, per un certo tempo.
Vidi negli occhi di Max quanto questa ragazza fosse stata importante per lui.
Perché non avevo alcun dubbio che fosse morta e divenuta polvere da tanto tempo.
Le mani di Max si fecero gelide all'improvviso; gliele massaggiai piano, per fargli recuperare un po' di tepore.
«Alaric mirava a me. Aveva capito che, se non poteva impossessarsi della formula dell'immortalità, poteva almeno catturarmi e nutrirsi del mio sangue. Per questo motivo ha fatto del male a così tante persone.»
Sapevo già com'era andata. Ricordavo le parole colme di sofferenza con cui Max mi aveva descritto la prigionia, ma al sentirlo rivangare quella storia rabbrividii con tale violenza che le sue mani mi sfuggirono dalla presa. Scossa dai brividi, mi strofinai le braccia con foga, ma non servì in alcun modo a scaldarmi, e quietare un senso di gelo che aveva origine dentro la mia stessa anima.
Anziché abbracciarmi, Max mi osservò con uno sguardo timoroso; forse aveva paura che, toccandomi con le sue mani ghiacciate, avrebbe acuito il freddo che provavo, o forse pensava che quello che doveva ancora dirmi mi avrebbe dato il colpo finale.
Perché era evidente che eravamo arrivati al momento culminante della sua confessione.
Max mi avrebbe aperto il suo cuore e non avrebbe più avuto segreti, con me.
Mi imposi di prendere un gran respiro e catturai di nuovo le sue mani, strofinandole con energia per riscaldare sia me che lui.
Maximilian abbassò lo sguardo e fissò con una disperazione evidente le nostre dita intrecciate.
«Che cos'è accaduto ad Anneke?» domandai a voce bassa, stupendomi di come la stanza, un angolo di mondo con la tappezzeria color verde mela e il mobilio antico che fino a pochi istanti prima mi era sembrato caldo e accogliente, fosse ora gelido come la sua pelle, ammorbato da ricordi tenebrosi.
Max prese un respiro affannoso. «Lui... l'ha rapita. Me l'ha portata via. Per costringermi a consegnarmi nelle sue mani di mia spontanea volontà.»
Le sue parole mi si abbatterono addosso come una mannaia, e anche se mi ero in qualche modo preparata all'impatto non potei fare a meno d'ingobbire la schiena e serrare le palpebre.
Sapevo già, in fondo, cos'era accaduto. Me l'aveva fatto capire Kurt, quando aveva confessato che Max teneva a me come alla sua ex fidanzata di tanto tempo prima, e che temeva in maniera quasi paranoica per la mia incolumità.
Ma sentirlo dire da Max, in quella sua voce distaccata eppure ribollente di sofferenza, era tutta un'altra cosa.
Non volli chiedere altro. Lo strinsi in un abbraccio così soffocante da strappargli il poco fiato che aveva, poi tornai ad allontanarmi e asciugai le sue lacrime con i pollici, come lui aveva fatto con me. «Non accadrà più una cosa del genere» dissi, con tale determinazione che avrei potuto disgregare con le sole parole il muro davanti a me.
Sentii con il corpo e con l'anima che Max non mi credeva. Che era terrorizzato all'idea che questo Alaric potesse arrivare a me, com'era già accaduto con Anneke.
La sua aura mi premeva addosso come una coperta intrisa di angoscia.
Avrei fatto di tutto per impedire che l'immortale mezzo vampiro che mi aveva rapito il cuore dovesse sopportare di nuovo tanto dolore.
Max non disse nulla. Si limitò ad aggrapparsi a me e appoggiare la guancia nell'incavo del mio collo; la sensazione fu una specie di scossa d'energia, vista la sua pelle fresca e l'emozione che scuoteva la sua aura, ma mi guardai bene dal ritrarmi, anzi lo avvolsi con le braccia con ancora più convinzione.
Sentii che Max quasi si abbandonava lungo il mio corpo, cedendo allo sconforto sotto il peso delle emozioni che si torcevano dentro di lui più o meno da cento anni. Ero abituata a vederlo sempre padrone di sé; la sua debolezza improvvisa mi fece comprendere quanto, finora, si fosse sforzato di mostrarsi all'altezza della situazione e nascondere la sua fragilità. Quando ebbi questa specie di illuminazione, provai per lui un amore ancora più sconfinato; in preda a una commozione bruciante lo cullai tra le braccia e gli mormorai tutte le parole di conforto che il cuore mi spremeva fuori dalle labbra.
«Andrà tutto bene» dichiarai. Ne ero convinta e lo dissi in tono quasi categorico, ma Max scosse la testa. Si staccò da me, intuii, con riluttanza, visto che per lui doveva essere piacevole godere del mio calore umano, poi mi guardò con occhi lucidi.
«Alaric è qui. Non può andare tutto bene» bisbigliò con voce rotta.
«Come fai a saperlo?»
«Hai presente la creatura che hai visto in università?» replicò.
Mi irrigidii, spiazzata dalla domanda. Certo, non mi serviva molto impegno per ricordare quell'incontro che mi faceva ancora venire la pelle d'oca; la presenza gelida che aveva attraversato il cortile, mentre battibeccavo con Kurt nel chiostro dell'università, e l'aura oscura che la circondava. «Quello era...» iniziai.
«Quello era un vampiro minore della cerchia di Alaric. È stato il primo a venire qui, con ogni probabilità in cerca di me» sentenziò Max, ora con espressione tetra.
Non potei fare a meno di rabbrividire. Se già solo quel vampiro mi era sembrato spaventoso, come poteva essere Alaric?
«Alaric ha almeno cinquecento anni» riprese Max, quasi mi avesse letto nel pensiero. «I suoi poteri sono al massimo, ma il suo fisico dev'essere indebolito; per questo motivo si è circondato di un gruppo di vampiri meno anziani e più vigorosi. Avevo sentito dire che in città, negli ultimi tempi, stavano convergendo parecchi vampiri, ma ho capito solo di recente che è arrivato anche Alaric.»
Non serviva che facessi ulteriori domande sull'argomento, tuttavia Max pronunciò comunque la sua sentenza: «Alaric mi cerca, Livia. Ora che è qui, farà qualsiasi cosa per avermi di nuovo in pugno. Qualsiasi cosa.»
M'imposi di frenare il brivido di terrore che mi era nato alla base della schiena e premeva per travolgermi come un'onda di piena; contai sul fatto che Max non poteva vedere la mia aura e mantenni il viso inespressivo. «Non devi preoccuparti. Troveremo un modo per eliminarlo.»
«Ma se ti capitasse qualcosa, io...»
Impedii a Max di proseguire interrompendolo con un bacio di cui andai abbastanza fiera, che ebbe il potere di zittirlo e, addirittura, farlo mugolare di piacere. «Non mi accadrà nulla. Troverò una soluzione» stabilii con una sicurezza che non avevo.
Vidi negli occhi di Max un'ombra di sospetto, ma decisi di fugarla dedicandomi a quello che desideravo di più in quel momento: non certo pensare al nostro futuro incerto, ma al nostro presente. Così, lo baciai in modo dolce e languido e mi spinsi anche più in là, infilando le mani sotto la sua maglietta e tastando i muscoli marmorei del suo addome.
Max trasalì come se fossi stata io, per una volta, a trasmettergli una scossa elettrica. Il grigio dei suoi occhi si sciolse in una sfumatura argentea colma di calore, che mi trasformò il cuore in un muscolo ripieno di felicità. Dopo un'esitazione brevissima, Max mi prese la faccia tra le mani e mi guardò con tale intensità da rischiare di trasformarmi in polvere. «Lo vuoi davvero?» chiese.
Non erano necessarie grandi spiegazioni di quello che stava accadendo tra noi. Ci accomunava un sentimento così puro e nobile che qualsiasi parola sarebbe stata inutile: il desiderio di unirsi al punto da diventare una cosa sola, non più due anime separate ma una sola fatta di luce e ombra, di calore e gelo, di amore sconfinato e cristallino.
Non ero una novellina. Avevo già avuto un'esperienza in passato, anche se era accaduto una volta sola. Sotto l'influsso di quello sguardo così bruciante di desiderio, tuttavia, non potei fare a meno di rabbrividire e rivolgergli soltanto un cenno tremante di assenso.
Max non disse nulla. Si chinò su di me con l'argento negli occhi, mi posò le labbra sull'incavo del collo e mi diede un bacio seducente, che mi frusciò come un'onda di piacere in tutto il corpo.
Poi, mi sfilò la maglietta.
SPAZIO DELL'AUTRICE
Voglio sapere subito cosa ne pensate, perché per me questo capitolo è stato bellissimo! L'amore che unisce Livia e Max, l'intimità che si è creata tra loro, la confessione shock di Maximilian, che finalmente si è lasciato andare e ha svelato il segreto del suo passato... Tutto questo a me fa battere forte il cuore; e a voi?
Se questo capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti e votatelo con una stellina.
A presto con nuovi aggiornamenti,
Chiara
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