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Capitolo 38

«Non ti avevo detto di stare lontana?» mi sentenziò nell'orecchio una voce piuttosto contrariata.

«Kurt!» strillai. Riuscii a coglierlo di sorpresa; gli affibbiai una gomitata nell'addome, che anche se era duro come acciaio lo costrinse a mollare la presa, mi divincolai e gli tirai un calcio sugli stinchi che quasi mi spezzò il piede, ma mi regalò la soddisfazione di avergli fatto un male cane.

Quando udii un ringhio ancora più pronunciato da parte di Damian, però, temetti di avere esagerato e che mi sarebbe scoppiata davanti agli occhi una battaglia all'ultimo sangue tra licantropi e vampiri, una di quelle lotte ancestrali che non aveva mai un buon finale e da cui uscivano tutti malconci.

«State indietro!» ordinai ai miei due angeli custodi. «Va tutto bene. Non vuole farmi del male.»

O almeno lo speravo.

Damian mugugnò qualcosa di irripetibile, una qualche maledizione licantropesca che forse mi avrebbe dannato l'anima per sempre, ma si lasciò condurre in un angolo da Elena senza troppe proteste.

Quanto al vampiro, mi fissava con espressione piuttosto minacciosa. Circondato com'era dalle tenebre, sembrava una creatura della notte pronta a sgozzarmi e succhiarmi tutto il sangue, ma il modo con cui si massaggiava lo stomaco nel punto in cui lo avevo colpito mi convinse che non aveva sul serio intenzione di attaccarmi.

Allora era vero, che gli avevo fatto male. «Ben ti sta» lo presi in giro.

«Mi hai colto di sorpresa» reagì lui.

«Balle! È solo che, per una volta, sono stata più veloce di te.»

Kurt si raddrizzò e mi regalò il suo sorriso da sbruffone che, mi resi conto solo in quel momento, mi era mancato da morire. «È che hai avuto un buon maestro» dichiarò con orgoglio.

«Sì, certo. Perché mi stavi seguendo, Buon Maestro

L'indignazione soppiantò la spavalderia. «Io non ti stavo...»

Inarcai un sopracciglio e incrociai le braccia sul petto.

«Va bene, va bene. In effetti, ti stavo seguendo» capitolò Kurt. «Ma non ti avevo dato una certa istruzione di stare alla larga da questa città e tornare a vivere dai tuoi genitori? Hai resistito quanto, due giorni, prima di tornare qui?»

Ne avevo passate troppe per mantenere la calma. Anche se avevo a che fare con un vampiro che, per quanto amichevole, poteva farmi a fette in un millesimo di secondo. «Credi che abbia dodici anni?» sbottai. «Non seguo nemmeno le istruzioni dei miei genitori, figurarsi quelle di un vampiro che ha cinque volte la mia età.»

Pensavo che Kurt avrebbe colto l'occasione per eliminarmi da questo mondo una volta per tutte, invece tenne mani e artigli a posto; intravidi perfino un'ombra di rimorso, nella sua aura che oggi era di un giallo brillante.

«Perché sei tornata?» domandò in tono più gentile.

Mi appoggiai di schiena alla colonna di un sottoportico e guardai Kurt di traverso. «Mi sono resa conto che non potevo rimanere dai miei» dissi. «Laggiù, mi mancava l'aria. Non avevo altra scelta che tornare a casa mia e all'università. Ho incominciato qui i miei studi, non posso concluderli da un'altra parte. Senza contare che questo è uno degli atenei più prestigiosi, De Lauris è stato arrestato e non può più farmi del male, e in ogni caso non ho alcun contatto con Max e il suo diario.»

Era un discorso ragionevole, che nelle mie intenzioni doveva far breccia nella mente di Kurt e indurlo a chiedermi scusa per come mi aveva trattata.

Non funzionò.

Il vampiro strinse le labbra in una smorfia corrucciata. «Be', dovevi comunque stare lontana» insistette.

«Davvero? E per quale motivo?»

Kurt abbassò la testa. Mi parve che cercasse di trattenersi dal manifestare la propria emozione, ma la sua aura, ai miei occhi, non mentiva mai.

«Non dovevi spezzargli il cuore» mugugnò dopo un istante.

«A chi?»

«A Max.»

Quelle parole mi piovvero addosso come una pioggia di ghiaccio.

«Io gli avrei spezzato il cuore?» sbottai, trattenendomi solo per un pelo dal confessare che era stato lui, in realtà, a spezzare il mio.

Kurt parve recuperare un po' di sangue freddo. Anzi no, pessima metafora: il suo sangue, sempre che ne avesse, era sempre freddo. «Ti sei messa in pericolo. Max non sopporta di vedere le persone a cui vuole bene rischiare la vita, capisci? È la sua debolezza.»

Ecco. Kurt era riuscito a farmi sentire in colpa, quando in realtà ero io la vittima di tutta quella faccenda. «Stai dicendo che Max ci tiene a me?» mi sfuggì, in un tono piagnucoloso che odiai.

Il vampiro deviò lo sguardo e lo concentrò sul capitello della colonna a cui ero appoggiata. Sembrava pentito di avermi detto troppo, ma individuai una piega di dubbio nella sua aura e mi ci gettai a capofitto. «Parla!» gli ordinai nel tono di un inquisitore.

«Per lui, sei la persona più importante che abbia incontrato dopo Anneke» confessò Kurt, allargando le braccia in segno di resa.

Per un attimo rimasi congelata sul posto. Ebbi l'impressione di udire mille campanelli che mi scalpitavano nelle orecchie, e non mi sentivo più tanto stabile sulle gambe. Avrei preferito che quella quasi-dichiarazione d'amore mi arrivasse dal diretto interessato, ma la sensazione che provavo era comunque meravigliosa. «Dillo di nuovo» sussurrai.

Credevo che Kurt si sarebbe rifiutato di parlare e sarebbe fuggito via, dileguandosi nelle tenebre della notte come ogni vampiro che si rispetti, invece restò al proprio posto e dichiarò, in un bisbiglio quasi sorpreso: «Tu sei importante per lui, Livia Rinaldi.»

«E perché non me l'ha detto prima?»

Kurt scosse la testa come se fosse tormentato da un incubo. «È terrorizzato che possa accaderti qualcosa di male. Non saprebbe come proteggerti, se non rinchiudendoti in casa notte e giorno. Non può trascorrere nell'angoscia ogni momento della sua vita.»

Non ero preparata a un discorso tanto sincero. Né mi aspettavo di essere diventata così importante per una creatura immortale. «Gli devo parlare» stabilii, afferrando Kurt per un braccio e avvertendo il consueto brivido freddo quando entrai in contatto con la sua pelle.

«No!» protestò lui, tentando di liberarsi.

Rafforzai la stretta fino a rischiare di spezzargli il polso. «Devo farlo» insistetti.

Kurt la smise di divincolarsi. Mi si avvicinò fino ad arrivare a un soffio dal mio viso. «Non te lo permetterà» dichiarò. «Max è testardo, Livia; non sai quanto. Se ha detto che tra di voi è finita, non vorrà vederti mai più. Farebbe qualsiasi cosa, pur d'impedire che tu corra qualche pericolo; e avere a che fare con noi è molto più di qualche pericolo

Vidi dalla chiarezza della sua aura che non stava mentendo. Che avrebbe cercato di aiutarmi, se solo avesse potuto.

Così lo lasciai andare e mi rincantucciai in un angolo, con la schiena sulla colonna e le braccia strette intorno alla vita.

«È finita per davvero?» mi lamentai, a un passo dalle lacrime. Cavoli, non avevo mai pianto in tutta la mia vita come negli ultimi tempi.

«Non ci vedrai mai più» sentenziò Kurt.

D'un tratto ebbi un'intuizione, che mi ghiacciò la colonna vertebrale e schizzò fino al cervello alla velocità della luce. «State per andare via?» domandai.

Kurt sobbalzò, come se avesse pensato che all'improvviso, oltre alla capacità di vedere le aure, avevo acquisito anche quella di prevedere il futuro.

«Il mese prossimo» rispose. «Max ormai ha riunito i vari frammenti del diario di suo padre. Anche se De Lauris è stato arrestato, per noi è pericoloso rimanere qui, ma non possiamo neanche spostarci facilmente. Non possiamo prendere il primo treno, stabilirci in un'altra città e trovare un'abitazione che sia compatibile con le nostre esigenze. O almeno, con le mie...»

Kurt tacque, ma capii comunque quello che stava per dire. «Con le tue esigenze» rimarcai, cogliendo un'ennesima giravolta di senso di colpa nella sua aura.

«I vampiri possono sembrare onnipotenti, ma sono molto più fragili di quanto sembri» ammise Kurt, dando un piccolo calcio per la frustrazione al muro scrostato di un palazzo, con il risultato di far cadere sul marciapiede qualche frammento di intonaco.

«Mi mancherete» dissi, atona. Avrei voluto gridare che tutta quella situazione era ingiusta, ma per quanto negli ultimi tempi avessi scoperto di poter vedere le aure, e perfino influenzarle per colpire i loro proprietari, non ero sicura di saper imporre la mia volontà a due vampiri, per di più incredibilmente testardi. L'unica cosa che potevo fare era mostrare un po' di dignità e affrontare la delusione a testa alta.

Non fu necessario che Kurt rispondesse; mi bastò scrutare la sua aura, e il colore che all'improvviso tendeva a un giallo sbiadito e malinconico, per capire che anche lui si era affezionato a me.

***

Tra una cosa e l'altra, si era quasi fatta l'alba. Kurt se n'era andato, mormorando qualche parola di scusa e in preda a un senso di colpa più fosco delle tenebre stesse. E io ero rimasta inerte a fissare il vuoto, con Elena e il licantropo che mi sorvegliavano da lontano, preoccupati per il mio aspetto depresso.

La felicità che quei due provavano ogni volta che si guardavano era una gioia per gli occhi, ma in un momento come quello, in cui mi sentivo abbandonata in tutte le maniere possibili, non ero in grado di reggerla.

«Andate a casa» dissi loro, intendendo ovviamente casa mia.

«Ma...» iniziò Elena.

«Andate a casa. Va tutto bene» la rassicurai, con un gesto vago delle braccia che voleva dire tutto e niente.

Dal modo in cui perfino una ragazza come Elena, che di solito era incline al buonumore e, con i capelli oggi rosa shocking, era il ritratto della spensieratezza, strinse le labbra in una smorfia, capii che era davvero preoccupata per me, ma non ero dell'umore adatto per sopportare la pena di chicchessia. Così, mi voltai senza aggiungere altro.

Mi misi a camminare cercando di ricacciare indietro la disperazione.

Poi mi misi a correre. Poi mi ritrovai quasi a volare, con tutta l'energia che le mie gambe, rese più robuste dagli allenamenti di Kurt, mi consentivano. E a piangere, lasciando che il vento estivo asciugasse le lacrime e mi rinfrescasse il viso.

Mi fermai solo quando raggiunsi il viale alberato di fianco all'università, che costeggiava il fiume. Era ancora l'alba e per una volta in giro non c'era nessuno, neanche gli studenti che di solito barcollavano verso casa dopo una notte di bagordi.

Mi sedetti di fianco a un platano, appoggiai la schiena sul tronco e mi abbracciai le ginocchia.

Ero stanca di piangere, per cui lasciai che i pensieri mi colassero via dalla mente. Presi un gran respiro, incamerando nei polmoni quanta più aria possibile, e mi resi conto che, tutto sommato, anch'io ero degna di vivere un attimo di pace.

Riaprii gli occhi, alzai lo sguardo al sole nascente e diedi un colpo con la testa sul tronco. «Stupida zuccona» borbottai tra me e me. In pochi giorni avevo attraversato mezza Italia per ben due volte, ero stata cacciata dal mio ragazzo per interposta persona per altrettante volte, e adesso non sapevo più dove sbattere la testa, se non su questo tronco d'albero che a dire la verità non sembrava nemmeno troppo duro.

«Avevi per le mani il mezzo vampiro più bello del mondo e te lo sei lasciato scappare» ripresi. «Senza contare che lui ti adora, e tu gli hai spezzato il cuore.»

Stavo vaneggiando; non riuscivo a fermarmi. Tentai di dare un nuovo colpo all'albero, sperando che mi aiutasse a riallineare i pensieri per il verso giusto, ma sentii uno scricchiolio improvviso e, anziché colpire il tronco come mi aspettavo, venni sbalzata in avanti.

Rotolai lungo il pendio che conduceva all'argine e mi fermai giusto a un pelo dall'acqua. Mi rimisi in piedi con una specie di piroetta scoordinata, che avevo in teoria imparato da Kurt ma non avevo mai padroneggiato del tutto, con le mani strette a pugno e il respiro ansante. Strabuzzai gli occhi, quando mi resi conto che davanti a me c'era un ragazzo.

Nudo, con una zazzera di capelli color corteccia e dita lunghe e affusolate.

La cosa che mi sorprese di più non fu che era proprio nudo come un verme, anche se di certo non ero abituata a vedere ragazzi senza vestiti in giro per la strada, ma che era circondato da un'aura di un meraviglioso verde smeraldo.

Avevo imparato a reagire con una certa dose di calma alle stranezze che mi capitavano negli ultimi tempi, per cui non cacciai uno strillo né fuggii a gambe levate: rimasi immobile a osservare il ragazzo sconosciuto, che mi guardava con espressione torva.

Bastava che si mettesse in fila. Di recente, avevo l'impressione che mi guardassero tutti così.

«Sei una fata?» chiesi, complimentandomi con me stessa per il sangue freddo con cui parlai.

«Sono una driade. Lo spirito dell'albero.»

Ah, d'accordo. «Pensavo che fossi vecchissimo» dissi, pescando fuori dalla mia testolina il primo pensiero assurdo che trovai. Alzai il naso per osservare gli altri platani. Erano enormi, con foglie che ondeggiavano pigre al vento estivo. Stavano origliando il nostro discorso? Non avevo modo di stabilirlo.

«Sono molto giovane, invece» commentò la fata-spirito.

Abbassai lo sguardo e fissai il ragazzo con curiosità crescente. Resistetti a fatica all'impulso di dare un colpetto con due nocche sul suo braccio, dalla pelle di un piacevole bruno dorato, per capire se avrebbe schioccato come se avessi bussato su un tronco di legno. «Hai un nome?» domandai.

«No. Tu sì?»

Che conversazione assurda.




SPAZIO DELL'AUTRICE

Abbiamo capito perché Max ha lasciato Livia, e questo è stato di sicuro un colpo al cuore per tutte noi. Ma la vita di Livia non si ferma qui, anzi! Ora dovrà affrontare l'ennesima stranezza: una driade che ha incrociato il suo cammino :)

Che ne pensate? Secondo voi come evolverà questa storia? Scommetto che non riuscirete a indovinare.

Se questo capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti e votatelo con una stellina.

A presto con nuovi aggiornamenti,

Chiara

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