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Capitolo 33

Provai l'impulso di nascondermi sotto il tavolo del buffet e trascorrere il resto della serata al riparo, protetta dalla tovaglia di fiandra; quasi mi andò un boccone di cannolo per traverso, quando scoprii che Max, con una spavalderia che non avrei mai avuto il coraggio di eguagliare, fece i gradini seguito da Kurt, che gli stava appiccicato come se fosse la sua ombra, ed entrò per primo nel salone.

«Non avere paura. Andrà tutto bene» bisbigliò Marta.

Che figuraccia; una pulce di sì e no diciotto anni era più audace di me.

«Certo! Tutto bene!» proclamai, buttando sul tavolo il piatto con un cannolo avanzato e marciando verso i gradini d'ingresso. Ero così ispirata che non inciampai nemmeno una volta, gran risultato visto il mio equilibrio precario sui tacchi vertiginosi.

Inghiottii il nervosismo, raddrizzai la schiena e sfilai davanti al mio professore per entrare nel salone; non ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, ma non mi parve di vedere alcun cenno di riconoscimento da parte sua.

Lo oltrepassai con tutta la naturalezza che mi riuscì, dopodiché mi mancò il fiato; non tanto per l'agitazione, ma perché il salone d'ingresso di quella villa era stupendo, e perfino più maestoso di quello del palazzo di Max. Il pavimento era un tripudio di marmi lucenti e le pareti un susseguirsi di stucchi candidi, mentre lampadari e appliques posizionati in ogni dove illuminavano l'ambiente a giorno.

Di certo non mi aspettavo che il capo di una setta segreta vivesse in una simile reggia.

Mi sembrava di essere a un ricevimento d'altri tempi. Mi trovai un angolino appartato, sperando di fare tappezzeria anche se, invece di mimetizzarmi con la parete, continuavo a catturare l'attenzione delle dame ingioiellate ed eleganti che mi passavano accanto. Marta, il piccolo angelo custode che stava al mio fianco, notò la mia preoccupazione e finse di tamponarmi la fronte con un po' di cipria. «Cos'abbiamo appena detto?» mi rimproverò.

«Che andrà tutto bene» mugugnai, poco convinta. Il mio cuore riprese a battere con regolarità solo quando individuai Max, seduto in prima fila sulle sedie da regista che erano state disposte al centro della sala, che si guardava intorno con l'aria più tranquilla del mondo. Anche la sua aura sembrava pacata, al contrario di quella di Kurt, che era un piccolo vortice di nervosismo; non doveva essere facile, per il vampiro, sentirsi a proprio agio con tutta quella gente che avrebbe potuto trasformarsi in un pericolo per la persona cui aveva dedicato la propria vita.

Scacciai il malumore con un gesto della mano e mi concentrai su quello che stava accadendo: tutti gli invitati, ora, avevano fatto il loro ingresso in sala e si stavano accomodando sulle sedie di stoffa color rosso rubino. Decisi di imitarli; catturai Marta per una mano e ci sedemmo in fondo alla fila.

«Senti qualcosa?» le domandai, in un bisbiglio così sommesso che non ero certa che sarebbe stata in grado di udirmi, visto il baccano degli scalpiccii, delle risatine e delle chiacchiere degli altri ospiti.

Marta annuì, con un piccolo sorriso fiducioso che mi riscaldò il cuore. Max aveva riposto la pagina del diario che possedeva nel suo nascondiglio segreto, pensando che non fosse il caso di portarla con noi, ma per fortuna Marta ci era entrata in contatto a sufficienza da riuscire a percepire le vibrazioni, o chissà cos'altro poteva sentire, del resto del volume.

Esultai, quando vidi che le luci del salone si stavano abbassando. E ancora di più quando il mio professore salì gli scalini che conducevano a una pedana in fondo alla sala e impugnò un microfono: voleva che l'attenzione di tutti fosse concentrata su di sé. Dietro di lui prese posto una serie di loschi figuri che indossavano un mantello nero con il cappuccio sollevato. Il risultato era piuttosto inquietante, visto che se ne stavano in piedi senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto come delle divinità egizie e i cappucci ben calati sul viso; parevano amichevoli quanto un mazzo di spine piantato in gola.

«Gentili ospiti, l'associazione della Rosa Nera vi dà il benvenuto a questa serata» annunciò De Lauris, risvegliandomi dall'intontimento. «Vi prometto che questa sera apriremo le vostre menti a uno stato di coscienza superiore. La nostra associazione vi farà raggiungere dei poteri psichici che non potete nemmeno immaginare, grazie ai quali potrete coronare il successo in qualsiasi campo sia di vostro interesse.»

Erano delle parole piuttosto appassionate per incominciare un discorso, al punto che mi aspettavo che, appena il mio professore tacque, sarebbe partito uno squillo enfatico di trombe. Non accadde, anzi nella sala cadde un silenzio pesante.

Non era un silenzio imbarazzato o di disattenzione, capii appena mi sporsi un po' in avanti per analizzare i volti di chi era seduto nella mia fila, con il rischio di sembrare una stalker ed essere allontanata dalla sala in malo modo; era anzi un silenzio di profonda attenzione, visto che sembrava che tutti seguissero rapiti i movimenti di De Lauris, in piedi sul palco.

Questa gente voleva davvero ottenere successo, salute e amore compiendo dei rituali magici.

Da pazzi.

Mi rassegnai ad abbandonarmi lungo la spalliera della sedia da regista, con la tela non del tutto morbida che mi punzecchiava la pelle nuda della schiena, vista la scollatura indecente dell'abito che Max mi aveva costretto a indossare, e sprofondare nella noia.

Il mio professore poteva anche risultare l'oratore più abile dell'intero mondo esoterico, ma ero così abituata a vederlo parlare di numeri e formule matematiche che faticavo a trovarlo credibile mentre discorreva di rituali per propiziare la sorte e fasi di luna crescente e calante.

Passai metà del tempo a guardare il soffitto perdendomi nell'ammirazione degli affreschi che decoravano la sala, un tripudio di putti e divinità dell'antica Grecia che folleggiavano in danze e musica, e l'altra metà a cercare il momento giusto per svignarmela.

Arrivò, finalmente. De Lauris annunciò una dimostrazione pratica tirando fuori una bacchetta di frassino, cosa che trovai esilarante visto che Max, Kurt, Astarte, Marta e perfino io eravamo in grado di sfoderare dei veri poteri magici senza ricorrere a simili artifici. Le luci si concentrarono sul palco, lasciando in ombra il resto del salone, e io ne approfittai per agguantare la mano di Marta e mettermi in piedi.

Avevo avuto l'accortezza di collocarmi in fondo alla fila e sul bordo esterno; ringraziai gli dèi, di qualunque genere e grado fossero, per avermi suggerito quella piccola astuzia, perché in un lampo fui accanto alla porta di un corridoio senza che nessuno mi avesse notata.

Nessuno a parte una guardia, ahimè. Con tanto di maschera, mantello e cappuccio neri, che comparve al mio fianco con aria, anche se non ne vedevo in alcun modo il viso, piuttosto minacciosa.

Non fu necessario che parlasse, per capire che aveva tutta l'intenzione di prendermi per la collottola e riportarmi dentro il salone. «Devo andare in bagno!» mi giustificai, tirando su le mani come se mi stesse minacciando con una pistola.

L'uomo non parve granché convinto dalla mia scusa. Senza dire nulla, si girò a fissare Marta. «Lei mi deve sistemare il trucco!» aggiunsi prima che dicesse qualcosa, sempre con le mani alzate.

Questo energumeno pareva davvero un tizio di poche parole. Mi indicò con un cenno il corridoio alle mie spalle, poi - orrore degli orrori - mi stette dietro appena m'incamminai, come se avesse intenzione di seguirmi fin nelle viscere della Terra.

Intravidi una porticina a metà corridoio, senza alcun dubbio una toilette che, immaginai, doveva essere più spaziosa del mio appartamento, ma non provai alcun sollievo. L'idea di avere questo scimmione alle spalle mi faceva sudare le mani per la tensione. Marta, a giudicare dalla sua espressione, era pacifica come sempre, mentre io sentivo che il cuore stava per sfondarmi la gabbia toracica a forza di battere.

Dovevo liberarmi di questo guastafeste. A tutti i costi.

Presi un respiro così profondo da catturare tutta l'aria del mondo, mi voltai, e...

Non credevo che fosse così facile. Davvero. Sarà stato per il terrore che aveva scatenato nel mio corpo un'energia mai vista, sarà stato che l'uomo non si aspettava che una fanciulla con tre chili di trucco e in equilibrio precario su tacchi avrebbe potuto costituire alcun tipo di pericolo, fatto sta che riuscii a dargli un pugno sullo stomaco così energico da sbalzarlo all'indietro e mandarlo a sbattere contro una parete.

Nell'impatto, l'uomo sbatté la testa contro il muro. Si afflosciò di lato sul pavimento.

Restai di sasso, a occhi sbarrati e con il fiato corto.

«Non ti preoccupare. Non è morto» dichiarò Marta con nonchalance, dimostrando a questo punto in via definitiva di saper reggere la tensione mille volte meglio di me.

Scacciai l'agitazione dalla mente e strinsi con foga nevrotica le mani della mia nuova migliore amica. «Il diario. Sai dov'è?» la interrogai.

Marta annuì con un frullio della testa, poi puntò un indice dietro di me. «Su per le scale.»

Non pensavo che sarei stata capace di correre così veloce su dei tacchi ventiquattro, ma evidentemente quand'ero agitata riuscivo a battere qualsiasi record, perché mi fiondai su per la scalinata con tale energia da prendere quasi il volo. Se la situazione non fosse stata concitata, avrei voluto fermarmi ad ammirare i gradini, che erano di un marmo lucente e risplendevano alla luce dei lampadari, e gli stucchi immacolati che riproducevano volute e putti.

Com'era possibile che un palazzo tanto raffinato appartenesse al capo di una setta esoterica?

Non mi fermai a riflettere su quel mistero, anche se il mio desiderio più grande, a quel punto, era arrestarmi a metà della scalinata, prendermi la testa tra le mani e mettere i pensieri in fila in un ordine di senso compiuto. Accelerai, invece, fino a quando non raggiunsi il piano superiore, un ballatoio illuminato a giorno.

Lanciai a Marta un'occhiata interrogativa e lei mi fece segno di proseguire su per le scale, per cui presi un gran respiro e ripartii in quella mia corsa sfrenata, con il rischio d'inciampare e rotolare alla velocità di una turbina fino alla base della rampa che avevo salito con tanta fatica.

Finalmente, quando raggiungemmo il quarto e ultimo piano, Marta mi afferrò per un braccio e mi costrinse a fermarmi. Era un bene, sia perché per l'agitazione e la corsa forsennata non avevo più fiato nei polmoni, sia perché sentivo i piedi in fiamme, martoriati da quelle dannate scarpe. Non osai lamentarmi: inspirai, raddrizzai la schiena e cercai di assumere l'atteggiamento professionale di una ladra patentata di formule segrete per l'immortalità. «Dov'è?» sbottai, fallendo subito nel tentativo di mostrarmi all'altezza della situazione.

Marta chiuse le palpebre, sembrando in tutto e per tutto una maga intenta a leggere i tarocchi e percepire messaggi divini. «Di qua» disse poi, riaprendo gli occhi e puntando dritto nel corridoio di destra.

Ringraziai tutte le divinità dell'Olimpo, visto che evidentemente mi erano propizie e avevano messo al mio fianco una giovincella che dimostrava dieci anni meno di me ma ne sapeva il doppio, e le stetti dietro come potevo. L'ambiente era molto più raccolto, ora, con soffitti bassi di legno e un pavimento in parquet; mi resi conto con orrore che i miei tacchi risuonavano ovunque, per cui decisi di toglierli e mi rassegnai a camminare a piedi nudi.

Marta si fermò davanti a una porta chiusa, di fattura semplice ma con una maniglia di bronzo che raffigurava un cavallo alato. Io mi trattenni al suo fianco con il cuore in gola per l'agitazione. Sperai con tutta me stessa che non fosse chiusa.

Misi una mano sulla maniglia nel silenzio più assoluto.

La girai.

Non era chiusa, grazie al cielo. Aprii la porta, feci un passo avanti.

E le luci si accesero in automatico, facendomi trasalire al punto che quasi mi sfuggirono le scarpe di mano. Presi un paio di respiri, per recuperare il controllo e scongiurare un attacco di cuore, e mi guardai intorno.

L'ambiente era intimo; uno studio, ordinato e pulito alla perfezione, in legno di ciliegio.

Una libreria che occupava tutta la parete di fronte alla porta, una scrivania d'antiquariato senza troppi fronzoli, con delle cartellette ben incolonnate al centro del ripiano, e un leggio.

Con una bacheca di vetro sulla sommità.

Che conteneva un libro chiuso.




SPAZIO DELL'AUTRICE

Cari lettori e care lettrici,

siamo arrivati, come di sicuro immaginerete, a un momento davvero importante. Cosa accadrà, adesso? Spero che fili tutto liscio, ma non ne sono molto sicura; Livia è così brava a finire nei guai!

Se questo capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti e votatelo con una stellina.

A presto con nuovi aggiornamenti,

Chiara

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