Capitolo 31
Mi sfuggì un gemito. Max rialzò la testa di scatto, per assicurarsi che stessi bene. «Continua» dissi solo, tornando a prendergli le mani.
«Il loro capo non resistette alla tentazione» proseguì Max, in tono sempre più basso. «Si spinse oltre il limite e mi prosciugò di quasi tutto il sangue, lasciandomi agonizzante a pendere dalle catene con cui mi avevano imprigionato. Forse pensava che, se mi avesse trasformato in un vampiro, mi avrebbe reso suo schiavo e avrebbe potuto nutrirsi del mio sangue per l'eternità, ma non ha funzionato.»
«Perché?» chiesi, stupita.
Max mi regalò quel suo mezzo sorriso che mi piaceva tanto e mi carezzò la fronte con la punta delle dita, guardandomi come se fossi un angelo caduto dal cielo. «L'elisir dentro il mio corpo combatte il veleno dei vampiri» spiegò, con parole che per la mia mente razionale non avevano alcun senso ma, nello stesso tempo, spiegavano ogni cosa. «Sono destinato a questa condizione di stasi. Né morto né vivo. Né vampiro né umano. Così per sempre.»
Sembrava una condanna terribile, ma volli prenderla per un'opportunità. Mi tesi verso di lui e gli diedi un bacio lento e dolce, che mi elettrizzò fino a farmi venire una pelle d'oca che, per una volta, non aveva nulla a che fare con l'effetto della sua aura magnetica.
Max chiuse gli occhi, abbandonandosi al bacio. Per un momento fu solo mio: niente preoccupazioni a increspargli la fronte, nessun senso di colpa a offuscargli lo sguardo. Mi ritrassi piano, resistendo a fatica all'impulso di cacciare un urlo d'entusiasmo. Io, un'inutile umana, potevo dare conforto a un immortale bello come una divinità.
Max riaprì gli occhi e mi guardò con espressione rapita. «Come ti sei liberato dalla prigionia?» gli chiesi, giocando con le sue mani. La sua pelle era morbida; fredda sì, ma vellutata.
Il bozzolo di tensione che lo avvolgeva sempre, e che con il mio bacio ero riuscita a dissipare, tornò ad addensarsi intorno a lui. «È stato Kurt a liberarmi. Si è fatto trasformare in vampiro per acquisire una forza sovrumana. Quell'incosciente ha fatto irruzione nel palazzo in cui mi tenevano prigioniero ed è riuscito a portarmi via, nonostante fosse troppo debole e maldestro per affrontare dei vampiri più esperti di lui. Credo che sia stata la forza della disperazione, a renderlo imbattibile.»
Non potei fare a meno di rattristarmi. Sapevo bene quanto era costato, a Kurt, farsi trasformare in vampiro per salvare la vita al suo miglior amico. Sapevo che la luce del sole e il buon cibo gli mancavano ogni giorno, tanto che dopo un secolo non si era ancora abituato alla propria condizione di non-morto.
E, ora, capivo perché Max provava un senso di colpa feroce ogni volta che lo guardava.
«Kurt è sempre stato devoto nei confronti di mio padre, dopo che lo aveva tirato via dalla strada e me l'aveva assegnato come guardia del corpo. È stato in sua memoria, che ha sacrificato la propria vita pur di salvarmi.»
Non potevo sopportare oltre un tono così affranto nella sua voce. «Kurt è tuo amico» dissi, prendendogli il viso tra le mani e guardandolo fisso negli occhi. «Ti ha salvato non per riconoscenza verso tuo padre, ma perché ti vuole bene. Lo vedo nei suoi occhi e nella sua aura.»
Provai una gioia insperata, quando capii che le mie parole avevano fatto breccia nella sua anima, convincendolo un poco per volta della verità di quello che avevo detto.
Max annuì, con una certa convinzione. «Penso che tu abbia ragione» disse.
A quel punto, sospirai. Max mi aveva rivelato così tanto che avrei dovuto riflettere per ore sulle sue parole. Mi tirai indietro e mi massaggiai le tempie con le dita, tutto a un tratto annebbiata da un mal di testa feroce. «Non mi hai spiegato cosa c'entra, tutto questo, con il mio professore» mi lamentai.
«Mio padre teneva un diario dove annotava i progressi dei suoi esperimenti» disse Max.
Fui così sorpresa che abbassai le mani e lo guardai da capo a piedi. «Un diario?»
«Su di esso, mio padre ha annotato la formula completa dell'elisir.»
Feci un salto sul divano, in preda a un'eccitazione improvvisa. «Dov'è? Che fine ha fatto?»
Max osservò i miei movimenti irrequieti con tutta la calma che gli regalava la sua saggezza da mezzo vampiro di più di cento anni, cosa che mi fece arrossire come una bambina.
«Trovarlo sarebbe un passo da giganti, per la scienza» mi giustificai.
Max scosse la testa. «Il diario è andato quasi distrutto nell'incendio che i vampiri hanno appiccato alla mia casa.»
«Quasi?»
«Ho scoperto dopo anni che un alchimista che conosceva mio padre è venuto a rovistare tra le macerie. Ha trovato i resti del diario, ma erano molto danneggiati. E, soprattutto, mancava una parte.»
«Una parte?» mi sentivo un'imbecille, a ripetere in continuazione le sue parole, ma ero così tramortita da tutte quelle rivelazioni che non riuscivo a ragionare con lucidità.
«La parte più importante» continuò Max, senza curarsi della mia espressione allucinata. «L'ultima pagina, che mio padre aveva dato a me.»
Per un istante, rimasi congelata sul posto. «A te?!» gridai poi, in preda allo shock.
Max sorrise, quasi si fosse reso conto solo allora di sembrare un attore su un palcoscenico che era arrivato al momento principale del dramma. Con lentezza, quasi stesse davvero interpretando il protagonista di una tragedia, si alzò dal divano e si avvicinò alla libreria.
Tirò fuori un libro consunto, dalla copertina grigiastra, e me lo porse.
Non sapevo bene cosa aspettarmi. Per un istante tenni il libro tra le mani e mi limitai a far scorrere le dita sulla superficie irregolare della rilegatura. Poi, lessi il titolo.
Ragione e sentimento di Jane Austen. Il mio romanzo preferito, nonostante fossi un'aspirante ingegnere dedita agli studi e molto poco al romanticismo.
Aprii il volume e feci frusciare le pagine. Mi fermai, con il cuore in subbuglio, quando scoprii che il segnalibro era una vecchia pagina di carta. La presi con dita tremanti e la aprii; vidi una moltitudine di simboli scritti in bella grafia, di sicuro riportati con una stilografica d'altri tempi.
«Ci capisci qualcosa?» domandò Max.
Strinsi le labbra in un smorfia di disappunto. «Non sono un chimico. E neanche un alchimista che ha scoperto la Pietra Filosofa» mi lamentai.
Max mi prese il foglio dalle mani, toccandolo con una delicatezza e una malinconia evidenti, come se si rendesse conto che era l'unico ricordo tangibile che aveva di suo padre e della sua famiglia, e lo ripose di nuovo all'interno del libro. Poi, infilò il volume nella libreria e tornò a sedersi accanto a me.
«A te dice qualcosa?» chiesi.
Lui scosse la testa, ma non sembrava granché dispiaciuto. «Riconosco la grafia di mio padre, ma non sono in grado di ricostruire la formula. Per quello servirebbe recuperare il resto del diario e avere abbastanza competenze di chimica da saperlo interpretare.»
Provai l'istinto di dare un pugno sul bracciolo del divano. «Maledizione! E dove può essere il resto del diario?» sbottai.
Max inclinò la testa di lato, osservandomi con espressione distaccata. «Perché ti sta così a cuore?»
Non potei fare a meno di spalancare la bocca, sorpresa dalla sua domanda. «Perché è una scoperta incredibile! L'uomo cerca da anni il modo di prolungare la propria esistenza. Così, si potrebbero salvare moltissime vite!»
Max strinse gli occhi a fessura e si avvicinò fino ad arrivare a un soffio dal mio viso. «Vivere in eterno non è un dono. È una condanna» sentenziò con espressione grave.
«Stai scherzando? Sarebbe un miracolo per l'umanità. Noi...»
«Tante persone sono morte per colpa di quel diario, Livia» m'interruppe, parlando con voce prossima alle lacrime. «Mio padre. La servitù che mi era accanto fin da quand'ero piccolo. La mia...»
Max tacque, ingoiando le parole che stava per dire, e mi fece una carezza su una guancia. «Se il diario venisse ricostituito e finisse nelle mani dei vampiri che mi hanno catturato, sarebbe la fine. Loro acquisirebbero l'immortalità e condannerebbero il resto degli umani a schiavi. Non posso permetterlo.»
Mi zittii, chiudendo la bocca con tale foga da rischiare di mozzarmi la lingua. Lo strazio che vidi nei suoi occhi mi convinse della bontà dei suoi propositi. «Hai ragione» bisbigliai. «Non volevo essere così insensibile.»
Max sorrise, recuperando una parvenza di buonumore. «Non sei insensibile. Hai la mente di una scienziata. È per questo che mi piaci.»
Lasciai che quelle parole raggiungessero il mio cuore e mi regalassero una scintilla di calore, poi esalai un lungo sospiro. «Comunque, dove pensi che sia il resto del diario?»
Max si ritrasse e inclinò le labbra in un sorriso astuto, che lo fece sembrare più una volpe soprannaturale, se ne esistevano come esistevano i licantropi, che un mezzo vampiro.
«Non lo immagini?» mi stuzzicò.
Lo squadrai con un'occhiataccia che lo convinse a lasciar perdere i giochetti.
«Il resto del diario ce l'ha il tuo professore» dichiarò.
***
Quello che mi aveva detto Max la sera prima continuava a scoppiettarmi nella testa; ogni sua rivelazione aveva aperto la porta a riflessioni, congetture e preoccupazioni, ma di tutte quelle novità la più sconcertante era che il mio professore fosse in possesso del diario, mutilato, di suo padre.
Anche se, a ben riflettere, la cosa non doveva sorprendermi più di tanto. Voglio dire, il mio professore sembrava un fotomodello anche solo a dargli un'occhiata fugace; non era poi così improbabile che volesse preservare la propria ineffabile bellezza per, tipo, l'eternità.
«Non riesco ancora a crederci» dissi comunque la mattina dopo a colazione, per una volta evitando di gettarmi a capofitto sui pancake e limitandomi a osservarli pensierosa.
Max, che era al mio fianco e abbastanza vicino da sfiorarmi con le ginocchia sotto il tavolo, procurandomi la solita scossa di energia, stava mangiando con la pacatezza di sempre. «A cosa, non riesci a credere?» chiese rivolgendomi un'occhiata maliziosa; pareva soddisfatto di essere riuscito a confondermi e mandare in crisi la mia granitica certezza che ogni evento, al mondo, avesse una spiegazione razionale.
«Al fatto che il mio professore sia in possesso del diario di tuo padre.»
Max si portò un pezzo di pancake alla bocca e masticò con calma, riflettendo sulle mie parole. «Ho studiato il suo curriculum. Ha vissuto per alcuni anni a Magonza, mentre svolgeva la tesi di dottorato, ed è noto nell'ambiente delle sette esoteriche per la sua brama di trovare un modo per vivere in eterno. È stata Astarte a suggerirmi che potrebbe aver acquistato o trafugato il diario dalla famiglia dell'uomo che l'aveva recuperato dalle macerie della mia casa, e io credo che sia vero.»
«Scheiss! Quel mangia-crauti a sbafo!» proruppe Kurt, che era seduto sul divanetto d'angolo e ci guardava storto mentre facevamo colazione.
Il contrasto tra il suo corpo muscoloso, seduto con una gamba incrociata sull'altra e circondato da un'aura arancio, e il tessuto verde pallido del divano, così delicato che pareva potesse strapparsi anche solo se fissato con troppa intensità, era esilarante, ma mi guardai bene dal fare un commento a voce alta e accrescere il suo malumore.
Nonostante lo sapessi già da tempo, faticavo ancora a credere che questo gradasso dal sorriso malandrino avesse compiuto un atto nobile come sacrificare la propria vita per la persona a cui teneva di più al mondo.
Lui parve accorgersi dell'occhiata colma di ammirazione che gli rivolsi, perché si raddrizzò sul divano e mi guardò storto. «Cos'hai?» mugugnò.
«Nulla. È che, tutto a un tratto, ti trovo simpatico.»
Non mi aspettavo la sua reazione: Kurt scoppiò in una risata da fanciullo, che illuminò la sua aura di un'adorabile spruzzata d'oro. Quanto poco si addiceva, quell'aura dal colore caldo, al fatto che fosse un vampiro; era doloroso pensare che si fosse condannato a un'esistenza di buio di propria volontà, pur di salvare la vita di Max.
Kurt si alzò e venne a sedersi vicino a me. Mi scompigliò i capelli con una manata da orso, facendomi storcere la bocca perché già avevo una chioma ingovernabile e con sollecitazioni così vigorose tendeva a sparare in tutte le direzioni. «Anche tu mi stai simpatica» rispose con un sorriso a trentadue denti. «Nonostante sia un disastro nelle arti marziali.»
Non potei trattenermi dal fargli la linguaccia. Contemplai anche l'idea di dargli un calcio sotto il tavolo, ma Max dovette captare le mie intenzioni perché si schiarì la gola con enfasi, per cui rinunciai all'idea di torturare oltre quel povero vampiro.
«Devi stare molto attenta al tuo professore, Livia» proseguì Maximilian, affossandomi l'umore al punto che il pancake che stavo masticando quasi mi andò di traverso.
«Non serve che tu me lo dica. Quello mi sembrava un viscido già prima che tentasse di ipnotizzarmi.»
Bugia. In realtà, all'inizio del corso stravedevo per quel professore; mi pareva l'accademico perfetto, più o meno come avrei voluto diventare io dopo laurea e dottorato.
Max socchiuse gli occhi e mi studiò con lo sguardo; ebbi il sospetto che fosse in grado di leggermi nella mente, ma non mi sembrava che rientrasse tra i poteri dei vampiri, senza considerare che lui era un vampiro solo a metà. «Cosa intendi fare, per proteggermi da quel maleducato?» gli chiesi per sviare la sua attenzione.
«Giocare d'anticipo» replicò lui.
«Cioè?»
«Rubargli il diario» dichiarò Max lasciandomi, come al solito, di stucco.
SPAZIO DELL'AUTRICE
Ed ecco che la maggior parte dei segreti di Max è venuta a galla. Cosa ne pensate? Credete che riuscirà a recuperare il diario di suo padre? Largo alle congetture!
Se questo capitolo vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti e votatelo con una stellina.
A presto con nuovi aggiornamenti,
Chiara
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