Capitolo 26
Mi resi conto che Max aveva bisogno di tempo per elaborare le emozioni, per cui restai così, immobile e con il cuore in tumulto, per tanto di quel tempo che rischiai di perdere sensibilità alla guancia, vista la freddezza delle sue mani.
«Mi ricordi così tanto una persona del mio passato...» disse dopo un bel pezzo, in un tono così nostalgico e colmo di sofferenza che mi si accapponò la pelle.
Chiuse le palpebre, e capii. Che stava raccogliendo le forze e si preparava ad andarsene, forse addirittura a cacciarmi da quella casa, pur di non mettermi in pericolo com'era accaduto a quella persona, chiunque essa fosse, la cui scomparsa lo faceva soffrire ancora oggi.
Per la prima volta nella mia vita reagii con prontezza. «Non andartene» lo implorai, catturandogli entrambe le mani e trattenendolo prima che si alzasse. «Non andartene. Qualunque cosa mi succeda, la affronterò. Sono pronta.»
Vidi lo shock sul suo volto, per questa mia dichiarazione così appassionata. Max sgranò gli occhi, poi, con una rapidità che non credevo concepibile, annullò le distanze tra noi e mi baciò.
Non avevo mai provato nulla di così sconvolgente. La sua aura, un concentrato d'energia vivificante e quasi insostenibile, mi avviluppò e mi diede una scossa così potente da farmi boccheggiare. Ma era un'aura gentile, che mi faceva sentire protetta e in pace; così come le sue labbra, più morbide di quanto mi sarei aspettata, che parvero aggrapparsi a me con la fiducia di un fanciullo.
Ricambiai il bacio sconvolta da un turbinio di emozioni. Lo abbracciai e gli carezzai la schiena, che era scossa da piccoli tremiti.
Max sembrava agitato, e...
Commosso.
Avrei voluto restare così più o meno per l'eternità, ma lui, dopo qualche istante, mi lasciò andare. Non si allontanò, per fortuna; appoggiò la fronte sulla mia e rimase immobile, ansimando come se faticasse a recuperare il controllo di sé. «Non lo so, che cosa mi fai» mormorò in tono stravolto.
«È tanto grave?» replicai, liberandolo dall'abbraccio e arrischiandomi a fargli una carezza su una guancia. La sua pelle era un po' fredda, ma non così tanto da rendere l'esperienza poco piacevole. Ed era talmente morbida che provai il desiderio di non staccarmene più.
Max inarcò le labbra nel sorriso quieto che mi faceva impazzire. «No. Non così tanto» bisbigliò, con l'aria di aver esaurito le energie e non riuscire più a opporsi a quello che la vita gli aveva messo di fronte.
Il suo sorriso mi rassicurò, tanto che mi lasciai sfuggire una risatina. «Bè, allora possiamo farcela, no?»
Max ridacchiò, facendo sussultare la mia mano che era ancora poggiata sulla sua guancia. «Sì, possiamo farcela» rispose tirandomi su di peso e costringendomi a rannicchiarmi sulle sue ginocchia.
Viste le mie avventure amorose pressoché nulle, erano poche le volte in cui ero stata così in intimità con un ragazzo, e di sicuro ancora meno con un mezzo vampiro, ma scoprii che lì, tra le sue braccia, stavo tremendamente bene.
E che avrei fatto di tutto per rimanerci.
***
Avevo sperato che, dopo quel primo e quasi miracoloso contatto tra noi, Max mi avrebbe rivelato tutti i segreti del suo misterioso passato, ma così non fu. Passammo una buona mezz'ora a baciarci come adolescenti, con il rischio di mandare la sua aura in fibrillazione, dopodiché lui mi rispedì nella mia stanza con una languida occhiata di commiato.
Ci rimasi male, perché c'era ancora tanto di non detto tra di noi. Ma, in qualche modo, quello era stato un punto di svolta. Ora si poteva dire che stavamo insieme.
Forse.
Non mi era del tutto chiaro.
In ogni caso, dopo quel bacio compresi di aver ottenuto un po' di influenza su Max, perché quando, la mattina dopo, feci il mio ingresso trionfale nel salone della colazione, consapevole che stavo camminando su una nuvola, per le emozioni che dovevo ancora liberare dalla sera prima e mi avevano impedito di chiudere occhio per l'intera notte, lui mi guardò in maniera così sdolcinata da mettere Kurt in allarme.
«Cos'avete combinato, voi due?» sbottò il vampiro, tirandosi su di scatto dal divano su cui era stravaccato e rivolgendo a entrambi un'occhiata scontrosa.
Ridacchiai per il mio piccolo successo, visto che guastare l'umore di Kurt era un gioco fin troppo divertente, e mi accomodai con le movenze di una dea davanti alla piramide di pancake che mi aspettava al centro della tavola. «Mai sentita la parola privacy?» ribattei, posizionando sul piatto dieci pancake e scoccando al vampiro un'occhiata maliziosa. «Ah no, è vero. È una parola inglese, non tedesca.»
Kurt si esibì nel tentativo di esalare un sospiro rabbioso, che si ridusse come al solito in un nulla di fatto. «Non eravamo d'accordo per cacciarla da questa casa?» chiese allora a Max.
Il quale, per una volta, resse il mio gioco. «Ho deciso di concederle un periodo di prova» commentò con il suo mezzo sorriso, che, come oramai era assodato, mi faceva rischiare un colpo apoplettico ogni volta che lo vedevo.
«Dovrai abituarti alla mia presenza» ribadii, fingendo di minacciare Kurt con il coltello con cui stavo sminuzzando i pancake.
Lui si limitò a inarcare un sopracciglio, con aria ben poco impressionata. «Vedremo se sopravviverai, all'allenamento di oggi.»
Quella sola frase ebbe il potere di lasciarmi senza parole. Touché, per dirla alla francese. Ecchecavolo, per dirla all'italiana.
In ogni caso, non avevo intenzione di rovinarmi la giornata. Mangiai in tutta fretta, aspettai un minuto intero in silenzio, fremendo mentre osservavo Max che assaporava i propri pancake con metodica lentezza e Kurt che lo guardava con il solito desiderio, poi annunciai: «Oggi vado a lezione.»
Non ottenni subito una reazione. Max si portò un boccone alle labbra e mi osservò con aria serafica mentre masticava. Kurt spostò lo sguardo da lui, a me, a lui, con espressione incerta.
Io ero sulle spine. Letteralmente, visto che il cuscino di lino su cui ero seduta non era del tutto soffice.
«Non posso perdere altre lezioni, o rischio di non riuscire a dare l'esame» insistetti, consapevole di aver già smarrito buona parte della mia determinazione.
Max continuò a mangiare senza degnarmi di una risposta.
«Sei d'accordo?» pigolai alla fine, avvilita dal tono miserevole con cui la voce mi era uscita di bocca.
Max si pulì le labbra in silenzio, ripiegò il tovagliolo e lo posò sul tavolo.
«Veniamo anche noi» decretò.
Kurt quasi sobbalzò sul divano, con il rischio di rotolare giù, mentre io cacciai dentro di me un silenzioso urlo di gioia. Era proprio quello che speravo, ma mi guardai bene dal dirlo a voce alta. «Perché? Vuoi starmi appiccicato ogni momento del giorno?» sbeffeggiai comunque Max, con una sfacciataggine che stupì me stessa per prima.
Lui reagì tendendosi in avanti fin quasi a sfiorarmi con il naso. Non ero ancora abituata a vedermelo così vicino; il rischio che il mio povero cuore non reggesse a tutte queste emozioni era sempre dietro l'angolo.
«Perché voglio seguire i movimenti del tuo bel professore» rispose.
La delusione fu cocente, ma quando Max si tirò indietro, si alzò e mi tese la mano, osai sperare che stesse solo scherzando.
Kurt lasciò perdere i sospiri d'esasperazione, che non erano il suo forte, e scosse la testa, facendomi capire che detestava assistere a tutte queste smancerie.
Io, invece, presi la mano di Max e mi lasciai condurre fino alla porta di casa. Mi sentivo come se le campane tibetane di mia madre mi stessero echeggiando nelle orecchie, da quanto ero felice.
***
Quando Max aveva detto che intendeva seguire i movimenti del mio professore aveva parlato in maniera letterale, visto che in dipartimento mi stette dietro fino a che non raggiungemmo l'aula della lezione, e anziché salutarmi ed eclissarsi in una qualche aula buia e solitaria entrò e si accomodò in prima fila.
«Che cosa stai facendo?» sbottai, non potendomi impedire di ridacchiare al vedere l'espressione di Kurt, che si sedette di sbieco accanto a lui e pareva ancora più sorpreso di me.
«Mi sembrava di avertelo già detto, no?» replicò Max, con l'aria più angelica del mondo.
«Ma questo...»
«Le lezioni universitarie sono pubbliche» m'interruppe, lasciandomi come al solito senza parole.
Aveva ragione. E tutto sommato non mi dispiaceva l'idea di averlo al mio fianco ogni minuto del giorno, per cui non protestai più di tanto.
Rimasi sbalordita, tuttavia, pochi istanti dopo, quando la mia amica Elena fece il suo ingresso nell'aula, tenendo per mano nientepopodimeno che...
Il licantropo più feroce che avessi mai conosciuto.
O piuttosto, l'unico licantropo che conoscessi.
Resistetti all'impulso di balzare in piedi e strillare che non poteva portare in un'aula universitaria un licantropo, soprattutto perché... ecco... io ci avevo portato un vampiro e un mezzo vampiro, ma non potei fare a meno di voltarmi e studiare l'espressione dei miei due accompagnatori.
Max ebbe una reazione fulminea: afferrò Kurt per un braccio e si chinò verso di lui pronunciandogli qualche parola in un orecchio. Il tono era così basso che non lo udii neppure io, che ero a meno di un metro di distanza, ma dall'espressione oltraggiata del vampiro capii tutto lo stesso: Kurt dilatava le narici come una belva, di sicuro pronto a snudare le zanne, attraversare con un balzo prodigioso l'intera aula e attaccare il licantropo, mentre Max stava tentando di convincerlo a mantenere la calma. D'altro canto, appena tornai a voltarmi, compresi che il licantropo in questione ci aveva visti e stava a propria volta per trasformarsi in una bestia disumana, pronto a riprendere la rissa di pochi giorni prima nel punto esatto in cui si era interrotta, senza curarsi della folla di studenti che stava ancora entrando in aula e occupando i vari posti a sedere.
Sarebbe stato un macello.
Implorai Elena con lo sguardo di fermare quella follia prima che diventasse un guaio colossale, e lei, per fortuna, seguì il mio muto consiglio. Afferrò il licantropo per le spalle, lo spinse contro una parete e gli affibbiò un bacio da togliere il fiato, provocando un coro di risatine tra gli studenti e perfino qualche applauso, e riuscendo a quietare i suoi bollenti spiriti almeno per un paio di secondi.
Tirai un sospiro di sollievo, mi girai e scoprii che Kurt era, sì, talmente infuriato da sembrare che stesse per esplodere per l'indignazione, ma era rimasto al proprio posto e non pareva intenzionato a dare in escandescenze davanti a tutti. Max, che gli teneva ancora una mano sulla spalla con abbastanza energia da rischiare di spezzargli le ossa, si voltò verso di me e mi rivolse un'occhiata che, nelle sue intenzioni, doveva essere rassicurante, anche se aveva una sfumatura ferina che non volli commentare.
La situazione era sotto controllo. Più o meno.
Elena lasciò andare la propria preda, che a dir la verità dopo quel bacio pareva ancora più sovreccitata, e si accomodò vicino a me.
«Sei impazzita?» le domandai appena il licantropo ebbe appoggiato la sua pila di libri di studio sul banco.
«Non potevo lasciarlo da solo!» si giustificò la mia amica. «Si sta ancora riprendendo dalle ferite.»
Lanciai un'occhiata severa al lupo mannaro, ma mi lasciai impietosire dalle sue condizioni: era vero che, dopo quel bacio che avrebbe ringalluzzito chiunque, sembrava nel pieno delle forze, ma in effetti si teneva una mano su un fianco ed era piuttosto pallido. Per quanto i baci di Elena fossero senza alcun dubbio capaci di risvegliare un morto, non erano comunque miracolosi quanto il sangue di Max.
«E loro che ci fanno qui?» m'interrogò Elena, indicando con un cenno i miei due compagni.
Dal tono irritato, immaginai che il licantropo le avesse spiegato chi erano in realtà questi miei accompagnatori che mi avevano letteralmente rapita dalla mia stessa casa. Non avevo una spiegazione convincente a portata di mano per farle capire che, tutto sommato, erano delle persone degne di fiducia, per cui mi rifugiai dietro un sorriso di circostanza. Elena, per fortuna, capì il mio disagio e scoppiò in una risatina. Stava di sicuro per commentare con una battuta la mia espressione rigida, ma De Lauris comparve sulla soglia dell'aula ed ebbi la terza sorpresa della giornata: il mio professore, appena vide in prima fila Max e Kurt, perse la sua abituale sicurezza e divenne del colore del latte cagliato.
Ebbi quasi l'impressione che stesse per lasciar andare a terra i volumi che teneva sottobraccio, ma per fortuna mia e sua recuperò il dominio di sé, si appicciò sul volto un sorriso ancora più fasullo del mio e scese i gradini che portavano alla cattedra con finta nonchalance.
SPAZIO DELL'AUTRICE
Be', che dire? Finalmente c'è stato un contatto tra Livia e Max, e io mi sento elettrizzata come se fossi stata inglobata nell'aura di Maximilian! Spero che a voi sia accaduto lo stesso 😊Fatemelo sapere nei commenti e, se il capitolo vi è piaciuto, votatelo con una stellina.
A presto con nuovi aggiornamenti,
Chiara
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