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08. L'origine dei poteri

Nonostante le vacanze di Natale siano state create per riposare, sia la scuola che il mio ruolo, mi impongono di studiare. Con l'anno nuovo, oltre ai compiti da svolgere, devo imparare alcuni argomenti di Marian, ma soprattutto ampliare la mia mente per quanto riguarda l'uso dei miei poteri magici.

Non possiamo permetterci che nessuno sappia qualcosa. Nemmeno le suore, anche se sanno dei miei poteri, ma per fortuna non si sono mai fatte troppe domane, ed hanno risolto il problema dichiarando che questo era un dono dal cielo e che io dovevo usarli per fare del bene.

Dopo una breve passeggiata nella neve, io e Antony ci ritiriamo nella mia calda e comoda stanza insieme a Bastet. Creo la mia solita cupola del "mondo parallelo" e, lontano da occhi indiscreti, mi preparo per un'altra sessione di studio.

«Nerina, stai usando solo il venti percento delle tue potenzialità! Concentrati!» esclamano in coro la gatta e il ragazzo.

Concentrarmi, come se fosse facile per me.

«Non so nemmeno cosa so fare! Come puoi pretendere che io abbia la capacità di sfruttarmi!», sbotto dopo tre quarti d'ora di esercizio. Il silenzio interrompe il discorso acceso. Sento lo sguardo di Antony che mi scruta, mentre io fisso solo i libri di magia.

«Hai ragione Nerina - sospira - Perché non proviamo in un altro modo?» propone.
«Ovvero?» chiede Bastet incuriosita, mentre io guardo lui, confusa.

«Quando hai iniziato ad avere i tuoi poteri? Nel senso, quando si sono manifestati e in che modo?» domanda.
«Oh, ehm. Da quando ne ho memoria, penso da sempre. Però, ora che mi ci fai pensare... forse di uno di loro me lo ricordo» rispondo.

Era una di quelle giornate di primavera che sembrano dipinte dai migliori artisti. Il sole splendeva nel cielo azzurro, i fiori sbocciavano con colori vivaci e l'aria era impregnata di dolci profumi. Io mi trovavo nel cortile dell'orfanotrofio di "San Giovanni", circondata dagli altri orfanelli e dalla gioia contagiosa dell'infanzia. Avrò avuto quattro, cinque anni; forse anche sei. Non ricordo bene.

Il nostro gioco del momento era una semplice partitina a calcio. Lanciavamo la palla da un lato all'altro del cortile, ridendo e scherzando mentre ci divertivamo sotto il tiepido sole primaverile. Ma all'improvviso, il gioco prese una svolta inaspettata che avrebbe cambiato il mio modo di vedere il mondo per sempre.

Mentre la palla volava attraverso l'aria, mi resi conto che stava prendendo una traiettoria pericolosa, diretta verso Bastet, che stava sotto al sole per scaldarsi all'aperto, pronta per una delle sue avventure sugli alberi. Il cuore mi si fermò per un istante, mentre assistevo impotente alla scena che si stava svolgendo davanti ai miei occhi. Non potevo permettere che succedesse qualcosa di male alla mia gatta.

Senza nemmeno rendermene conto, sentii dentro di me un desiderio profondo, un'intenzione quasi istintiva di far sì che la palla deviasse dalla sua traiettoria originale. Non capivo come, ma sentivo che doveva accadere. Dovevo proteggerla, e lo avrei fatto con qualsiasi mezzo necessario.

E poi, in un istante di pura magia, la palla si fermò dalla sua traiettoria originale. Si mosse in modo fluido e armonioso, come se fosse guidata da una forza invisibile. La palla evitò di colpire la gatta e cadde in modo innocuo sul terreno, spegnendo il rischio di un incidente imminente.

Sono rimasta immobile, con gli occhi spalancati dalla sorpresa e dalla meraviglia di fronte a quello che avevo appena visto accadere. Avevo davvero influenzato gli eventi intorno a me? Avevo avuto un ruolo in quella straordinaria dimostrazione di potere? La mia mente era in tumulto, piena di domande e incertezze di fronte a questo evento così incredibile e inaspettato.

Mentre gli altri bambini ridevano e continuavano a giocare come se niente fosse successo, io rimasi lì, assorta nei miei pensieri, desiderosa di comprendere meglio cosa fosse accaduto. Era la natura dei miei poteri? Cosa avrebbe portato il loro impatto sul mondo intorno a me?
Quella giornata sarebbe rimasta impressa nella mia memoria per sempre, come il momento in cui ho scoperto per la prima volta la straordinaria portata del mio essere.

«A forza di farmi mille domande e supposizioni, mi sono allenata per tanto tempo, ma mi ci sono voluti due anni prima di riuscire a spostare un bicchiere da una parte all'altra con facilità», racconto.

«È stato il tuo affetto per Bastet a smuovere e attivare qualcosa dentro di te», dice accarezzando amorevolmente la testolina pelosa della gatta nera, mentre lei lo ricambia facendogli le fusa.
Piccola venduta!

«Alcuni episodi te li posso raccontare io - si intromette la pelosetta - Non ero presente in tutti, ma so che alcune suore sono state presenti fin dall'inizio. Anzi, io penso che se Nerina volesse, loro stesse potrebbero descriverti gli episodi».
«Tu dici? Allora, raccontami intanto il tuo», sollecita il castano.

«Era una calda giornata estiva e l'orfanotrofio era in festa. I bambini ridacchiavano e giocavano sotto il sole splendente, mentre le suore preparavano le leccornie per il pranzo all'aperto.
Io mi trovavo accovacciata in un angolo tranquillo, osservando con curiosità il tumulto di risate e urla provenire dal grande prato.
Nerina non si unì al divertimento, era vicino a me, ma nonostante fosse lontana da loro, ben presto si ritrovò coinvolta in un'esperienza straordinaria.

Poi decise di passeggiare tra gli altri bambini. Si muoveva tra di loro con il viso illuminato da un'espressione di meraviglia e confusione. La seguivo con lo sguardo, cercando di capire ciò che stava accadendo.

All'improvviso, Nerina iniziò a reagire in modo strano, come se fosse stata investita da un'onda di emozioni che non riusciva a comprendere.
Come se iniziasse a percepire un'ondata di emozioni che non riusciva a spiegare. Le risate allegre dei bambini si mescolavano con la timidezza e l'ansia di alcuni, mentre altri irradiavano gioia e felicità. Era come se le emozioni degli altri fluttuassero intorno a lei, avvolgendola in un vortice di sensazioni intense.

La osservavo con attenzione mentre piangeva e rideva in rapida successione e devo ammettere che in quel momento mi spaventò moltissimo», racconta la gatta.

«Bastet, non mi ricordo nulla di quell'evento», la interrompo. Lei si accomoda tra le mie gambe inginocchiate, trasmettendomi tranquillità e pace.
«Lo so - risponde - Dopo quel momento eri così carica di emozioni che sei svenuta».
«Falla terminare», rimprovera Antony.

«Cosa stavo dicendo? Ah, sì.
Le emozioni degli altri bambini sembravano circondarla come un vortice, avvolgendola in una nebbia di sensazioni intense. Potevo percepire la confusione e la meraviglia nella sua espressione, mentre cercavo di capire ciò che stava accadendo.
Grazie ai miei "poteri da gatta", capì che in un attimo, Nerina si sentì sopraffatta dall'intensità di ciò che stava percependo. Le emozioni degli altri la investivano con una forza travolgente, facendola sentire come se fossero le sue stesse emozioni. La confusione si mescolò alla meraviglia mentre cercava di capire cosa stesse accadendo.

Con un miagolio preoccupato, io mi avvicinai alla mia piccola padroncina, sfiorando delicatamente la sua mano con il muso per confortarla. Anche se non potevo capire appieno ciò che stava accadendo, io volevo essere lì per la mia amica, pronta a offrirle conforto e supporto in qualsiasi modo possibile.

Successivamente svenne. Solo qualche anno più tardi si ripresentò lo stesso evento, ma in modo diverso e più lucido. Infatti con l'episodio successivo lei si ritrovò confusa e meravigliata. Si ritirò semplicemente in un angolo tranquillo del cortile, cercando di raccogliere i suoi pensieri. Era la prima volta che mi rendevo conto della profondità delle sue abilità, e la consapevolezza mi colse di sorpresa.

Mentre Nerina cercava di elaborare ciò che aveva appena vissuto, io rimasi al suo fianco, osservandola con affetto e dedizione. Era un momento straordinario, che avrebbe legato ancora di più le nostre vite in un legame indissolubile di amore e amicizia. Nerina sapeva che avrebbe dovuto imparare a gestire le sue abilità in modo da non essere sopraffatta dalle emozioni degli altri. Era un viaggio di scoperta e autoconsapevolezza che avrebbe plasmato il suo destino in modi che ancora non poteva immaginare.

Con il passare del tempo, divenne quasi un meccanismo di difesa. È anche per questo che non se lo ricorda, era piccola quando è accaduto ed io ero arrivata da pochissimissimo tempo».

«Una vera e propria avventura!» esclama Antony.
«Eppure io non ricordo nulla!», ribatto meravigliata.
«È normale. Non tutti ricordano la propria infanzia», risponde nuovamente il ragazzo mentre coccola la gatta.

«Adesso bisogna solo andare dalle suore!» mi invita Bastet.
Okay, l'idea non mi alletta, ma se serve per capire come sbloccare i miei poteri, allora accetterò volentieri.
Perciò, mi dirigo verso il salone, dove sicuramente troverò tutte le suore a prendersi il thè e mangiare biscotti preparate da Lucia.

Entro interrompendo di certo il discorso che ogni anno fanno le sorelle per quanto riguarda l'epifania, sul budget che hanno a loro disposizione per fare regali utili ai bambini. Non è di loro tradizione lasciare la calza con i dolci, ma bensì le riempiono sempre di indumenti dalle piccole dimensioni come calzini, canottiere, o magliette, oppure di cancelleria come matite colorate, pennarelli, evidenziatori, penne, diari segreti o quanderni. Ciò di cui hanno più necessità gli orfanelli. Diciamo che è un secondo Natale (in effetti, gli ortodossi, il Natale lo festeggiano il sette gennaio).

«Scusate se irrompo nella vostra discussione - giustifico - Mi stavo solo chiedendo... Per lo più è una cosa su cui stavo riflettendo... Penso che solo voi possiate darmi questa risposta».
«Nerina arriva al dunque!», ordina suor Franca come se fosse un generale.
«Okay. Voi vi ricordate i primi tempi in cui ho sperimentato la prima volta i miei poteri sovrumani?», domando tutto d'un fiato.

Loro si guardano attorno come se cercassero lo sguardo complice nell'altra, in ciascuna di loro come se si mandassero dei messaggi in codice.
«Intendi la prima volta che ti abbiamo trovato?», chiede una di loro.

«Per quanto riguarda al campo di forza, no. So che è una dote che ho sviluppato fin dai primi tempi. O almeno è quello che mi avete detto.
Io intendo altri poteri tipo, non so».
«Tipo i tuoi sogni premonitori?», propone suor Angela.

«Sì, anche. Ecco, sto cercando di ricordare l'esatto momento in cui ho preso consapevolezza dei miei poteri prima che diventassero una cosa molto naturale. Non avendo molti ricordi riguardante la mia infanzia, riesco solo ad immaginarmele alcune scene e vorrei capire un po' meglio i miei»
«Doni?» conclude suor Cristina. Io annuisco assecondandola.

«Questa storia te la racconteremo tutte assieme».
Era una notte di luna piena e, a quanto pare, giacevo sveglia nel mio letto. Beatrice ha detto che avevo quasi due anni e non parlavo molto.
Mentre la luce argentea della luna filtrava attraverso la finestra della sua stanza, io venni avvolta da un sogno vivido e intenso.

Ah, beh. Come fanno a sapere certe cose queste suore non lo so. Erano nella mia testa?

Nel sogno, mi trovavo nel cortile dell'orfanotrofio, circondata da una luce misteriosa e irreale. Vidi Gianluca correre felice nel cortile, ignaro del pericolo imminente. Poi, improvvisamente, vidi un'oscuro presagio: lui inciampò su una pietra e cadde pesantemente a terra, ferendosi gravemente.

A quanto pare mi svegliai di soprassalto con il cuore che batteva forte nel petto. Uno dei bambini dell'orfanotrofio era in pericolo, e io sapevo che dovevo fare qualcosa per evitarlo.

Con il respiro affannoso e la mente piena di preoccupazione, mi alzai dal letto e mi affacciai alla finestra della mia stanza scura. Guardando nel cortile buio sotto di me, sapevo che dovevo agire velocemente per impedire che il sogno si avverasse nella realtà.

Determinata a proteggere Gianluca, mi impegnai a vigilare su di lui durante la giornata successiva, prevenendo ogni possibile incidente. Mentre il sole sorgeva all'orizzonte e il cortile si riempiva di risate e giochi, io osservai il bambino con occhi vigili, pronta a intervenire al minimo segno di pericolo.

«Si rese conto che non era stato solo un sogno ordinario; era stato un sogno premonitorio», esclama compiaciuta suor Franca.

Grazie alla mia attenzione costante e al coraggio, riuscì a prevenire l'incidente che avevo visto nel mio sogno premonitorio, proteggendo così il mio amico e garantendo la sua sicurezza.

«Mentre la giornata volgeva al termine e la luce del giorno si attenuava, Nerina si sentì sollevata e grata per aver potuto utilizzare i suoi poteri per il bene degli altri», conclude Beatrice.

Era solo l'inizio del mio viaggio nell'accettare e comprendere la natura dei miei doni straordinari, ma sapevo che, in qualche modo, avrei continuato a usare i miei poteri per proteggere coloro che amo e per plasmare il mio destino in modi che ancora non potevo e non posso immaginare, ma forse solo sognare.

Rientro nella mia stanza e richiudo la porta dietro di me, cercando di mettere ordine nel caos dei miei pensieri. Il mio cuore non si è ancora calmato. Antony è seduto sul letto, il libro di magia aperto sulle ginocchia. Bastet, accovacciata accanto a lui, alza la testa e mi fissa con i suoi occhi dorati, scrutandomi come se potesse vedere oltre il mio volto.

«Ci hai messo un'eternità. Cos'è successo?» chiede Antony, il tono un misto di curiosità e preoccupazione.
Chiudo la porta e mi lascio cadere sulla sedia accanto alla scrivania.
«Non so nemmeno da dove cominciare.»

Mi sistemo meglio sulla sedia e inizio a raccontare. Parlo di quello che mi hanno riportato le suore, di come ho rivissuto un ricordo d'infanzia, e soprattutto della strana sensazione di aver protetto e salvato Gianluca. Bastet si accoccola sulle mie ginocchia, fissandomi come se volesse scoprire ogni dettaglio nascosto. Antony ascolta in silenzio con il libro dimenticato tra le mani.

Quando termino, lui si alza e si piazza davanti a me, un'espressione di eccitazione mista a preoccupazione.
«Devi assolutamente sperimentare. Hai un potenziale enorme, Nerina.»

Scuoto la testa, mentre le mani accarezzano il pelo morbido di Bastet.
«Non credo di essere pronta. Quello che è successo mi ha spaventata. Non ho il controllo di ogni singolo potere».

«Non sto dicendo di lanciarti nel vuoto -dice Antony, più calmo- Ma hai un libro pieno di incantesimi ed esercizi. Non puoi ignorarlo. È il tuo momento per imparare e crescere».

Perfino Bastet sembra approvare.
«Per una volta, ha ragione -dice, con il suo tono felino che non ammette repliche- Non devi fare qualcosa di grandioso. Inizia con qualcosa di semplice. Non vorrai che questa magia ti consumi solo perché la ignori, vero? Ti basta approfondire alcuni poteri che si sono già manifestati, quelli che non sai... li imparerai con il tempo».

Rimango in silenzio, combattuta. Hanno ragione, ma una parte di me si oppone ancora. Alla fine, annuisco debolmente.
«Va bene, ma niente di troppo complicato. Qualcosa di semplice e di sicuro».
Antony sorride soddisfatto.
«Perfetto. Sfogliamo il libro e vediamo se troviamo qualcosa sulla telecinesi».

Antony appoggia il libro sul tavolo e inizia a sfogliarlo. Le sue dita scorrono sulle pagine ingiallite, mentre Bastet lo osserva con la stessa attenzione di un giudice severo.
«Ecco, -dice dopo qualche minuto, indicando una pagina con un gesto deciso- qui c'è un intero capitolo sulla telecinesi. Questo è chiaramente il tuo potere principale visto che ad Halloween lo hai usato fin troppo bene, e possiamo usarlo come base. Guarda!» Mi mostra una pagina piena di simboli e istruzioni dettagliate.

«Iniziamo con questo,» dice Antony, posando il libro sul tavolo davanti a me.
«Un esercizio base: sposta quell'oggetto con la mente», Bastet indica la candela sul comodino, la sua voce piena di aspettativa.
Sospiro e scuoto la testa. «Non sono sicura... quello che è successo ad Halloween l'ho fatto per divertirmi. Non sempre ho il potere a comando».

«Proprio per questo dobbiamo esercitarci -insiste lui, il tono sempre più fermo- Nerina, hai un dono incredibile. Non puoi lasciarlo marcire solo perché hai paura. Prova con quella candela, non rischi niente. Al massimo finirà sotto il letto».
«Non è così semplice» ribatto, ma la sua insistenza mi sta già irritando.

«Lo è, invece -replica, alzando la voce- Guarda, concentrati. Chiudi gli occhi, immagina l'oggetto che si muove. Le istruzioni sono tutte qui», mi spinge il libro davanti al viso.
Bastet mi guarda di lato, le sue orecchie appiattite. «Stai tranquillo, Antony. Ha le capacità per farlo, ma così la stai solo assillando».
«Mi spiace, perché so che può far tutto, ma sta sprecando il suo potenziale e questo mi fa arrabiare».

Esito per un attimo.
«Va bene. Ma se succede qualcosa di strano, fermatemi subito».
Non mi sento pronta, ma Antony è talmente insistente che mi sembra impossibile rifiutare. Mi concentro sulla candela posata sulla scrivania. Una semplice candela di cera nera, leggera e inoffensiva.
Inoffensiva quando è spenta, quando la uso per i miei rituali... beh, non lo è tanto.

«Okay -sospiro- Proverò a spostarla dalla scrivania alla finestra».
Bastet, comodamente acciambellata sul letto, alza il suo musetto e mi guarda con curiosità. Antony mi fissa con occhi pieni di aspettativa, come se la mia vita dipendesse da questo momento.

Chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Cerco di sentire dentro di me quella scintilla di energia che avevo percepito prima, nella sala degli specchi. È lì, nascosta sotto la superficie, ma sfuggente, come un filo d'oro che non riesco ad afferrare.

Mi concentro. Penso alla candela, immagino che si sollevi, che fluttui nell'aria verso la finestra. Sento un brivido percorrermi le mani, come una scossa elettrica.
Poi accade.

La candela si solleva di scatto dalla scrivania, ma invece di muoversi dolcemente verso la finestra, si lancia in una traiettoria caotica e pericolosa. Bastet, che osservava tutto dal letto, spalanca gli occhi e con un'agilità incredibile salta giù appena in tempo per evitare l'impatto. La candela si schianta contro il materasso, rimbalzando sul pavimento con un rumore sordo.

«Bastet!» grido, correndo verso di lei. La gatta mi guarda con un'espressione preoccupata, scuotendo la testa.

«Tranquilla, Nerina. Sto bene, non mi sono fatta niente. Ho dei buoni riflessi», risponde ammiccando e saltando sul mio braccio, cercando di rassicurarmi.

Il sollievo che non le sia accaduto nulla mi lascia senza fiato. Mi giro verso Antony, il cuore che mi batte in gola.
«Basta così. Non voglio fare altri esperimenti. Stavo per ferire Bastet!»

Ma Antony non si ferma.
«Nerina, calmati. È stato un errore, ma è normale. Devi solo continuare a provare. Questo è il motivo per cui ci stiamo esercitando!».
«No -ribatto, alzando la voce- Ho detto che non voglio più continuare».

«Non puoi arrenderti così! -insiste, il suo tono più duro- Non ti rendi conto di quanto potenziale hai? Ogni volta che fai un passo avanti, scopri qualcosa di nuovo. Dobbiamo proseguire e capire cosa ti blocca, rispetto ad Halloween!».

Le sue parole sono come una miccia. Il senso di colpa, la paura e la pressione che si accumulano dentro di me esplodono in un colpo solo.
«TI HO DETTO BASTA!» grido.

Un'ondata di energia, di calore e luce mi avvolge. Prima che possa rendermene conto, tutto intorno a me svanisce. L'aria sembra piegarsi, il pavimento sotto i miei piedi sparisce, e quando riapro gli occhi, mi trovo in giardino.

La luce soffusa del sole mi avvolge. La neve fresca sotto i piedi. Guardo le mie mani e mi accorgo che sto stringendo Bastet, che mi guarda con un misto di incredulità e irritazione.
«Che diavolo è successo?» mormora, scivolando via dalle mie braccia per posarsi delicatamente a terra.

Mi guardo intorno, confusa e tremante. Sono scappata... letteralmente. Ho usato un potere che non sapevo nemmeno di avere, e adesso sono qui, nel cortile dell'orfanotrofio, che guardo la mia finestra dal basso.

Mi tocca rientrare. Così ritorno nella mia stanza, con Antony che era già uscito dalla camera per venirmi a cercare.
Rimango immobile, il respiro affannoso a causa delle scale. Anche Antony si blocca, fissandomi come se fossi un'apparizione.

«Dov'eri finita? Hai... hai appena fatto un teletrasporto?» chiede Antony, la voce incredula.
«Sht! Torniamo in camera mia per parlare di queste cose, e non in corridoio dove i muri hanno occhi e orecchie».

Qualche passo, chiudo la porta dietro di me e rispondo alla sua domanda.
«Non lo so -la rabbia che si mescola alla confusione- È successo e basta».

Antony si riprende subito.
«Vedi? Questo è esattamente quello che intendevo. Sei capace di cose straordinarie! Devi solo»

«Devo solo cosa? -lo interrompo, la voce tremante- Non capisci, Antony? Non l'ho fatto di proposito! È uscito fuori perché mi hai messa sotto pressione. Non ho il controllo su nulla!».

Lui apre la bocca per rispondere, ma Bastet lo ferma con un colpo di coda sul polpaccio.
«Dalle tregua -dice con il suo tono tagliente- Non vedi che è scossa? Pressarla non aiuterà».

Abbasso lo sguardo, cercando di calmarmi. La rabbia si dissolve lentamente, lasciando spazio a una paura profonda.
«Questo potere... mi spaventa -mormoro- Non voglio usarlo, non se non posso controllarlo.
Il teletrasporto non mi è piaciuto, mentre vedevo tutto ciò che avevo intorno cambiare, ho avuto paura di entrare in un'altra dimensione, in un altro multiverso».

Antony sembra colpito dalle mie parole. Si passa una mano tra i capelli, poi fa un passo indietro.
«Va bene. Non volevo spaventarti, volevo solo aiutarti», dice infine, con tono più morbido.

«Aiutarmi non significa costringermi» rispondo, incrociando le braccia.
Un lungo silenzio cade nella stanza. Bastet si accoccola accanto a me, come per proteggermi dalla tensione.

«Prenditi il tempo che ti serve -dice infine Antony, con un mezzo sorriso colpevole- Ma non scappare da quello che sei, Nerina».
Non rispondo. Per ora, tutto quello che voglio è fermarmi e respirare.

Antony mi guarda con un misto di preoccupazione e affetto. Non è facile vederlo così, ora sembra sinceramente pentito.
«Hai ragione, a volte mi lascio prendere troppo dalla voglia di vedere i tuoi progressi. È che... tu hai questo potenziale incredibile, Nerina. Lo vedo, lo sento, e mi emoziona. Ma dimentico che sei una persona, non solo... un enigma da risolvere» ammette, abbassando lo sguardo.

Non mi aspettavo una confessione del genere. Non da Antony. La sua sincerità mi disarma, anche se dentro di me sento ancora una punta di frustrazione.
Bastet, dal canto suo, si allunga pigramente sul letto e sbadiglia.
«Finalmente una scintilla di autoconsapevolezza» commenta con sarcasmo.

Antony le lancia un'occhiataccia, ma non replica. Io non riesco a trattenere un sorriso.
«Ti perdono -dico infine, alzando gli occhi al cielo- Ma devi promettermi che d'ora in poi mi darai il tempo di capire queste cose a modo mio. Senza pressioni».

«Promesso» risponde, solenne. Poi, con un guizzo del suo solito spirito, aggiunge: «Anche se non garantisco di non perdermi di nuovo nell'entusiasmo, poi tuo padre ha voluto assicurarsi che io sia il tuo insegnante, ma cercherò di darmi una frenata».

Scuoto la testa, ma c'è una leggera risata nella mia voce. Antony si avvicina, posando una mano sulla mia spalla.
«Sul serio, però, grazie per aver provato oggi. So che non è stato facile.»

«Facile? -interviene Bastet, stiracchiandosi- Mi sono vista una candela in faccia e sono sparita con Nerina! Qualcuno si preoccupi per me, per una volta».
Ridiamo entrambi, e la tensione nella stanza si dissolve del tutto. Mi piego per accarezzare Bastet, che fa finta di non gradire, ma non si sposta.

Antony si siede accanto a noi sul letto, il libro ancora aperto tra le mani.
«Sai -dice, quasi sottovoce- mi ha impressionato il modo in cui hai scoperto il teletrasporto. Nonostante tutto, è stato... incredibile».
Lo guardo, incerta se accettare il complimento o lasciarmi sopraffare dal ricordo della paura. Poi stringo Bastet tra le braccia e faccio un respiro profondo.
«Forse hai ragione -ammetto- Ma una cosa alla volta, okay?»

«Okydoky» sorride Antony, chiudendo il libro con un tonfo deciso.
Bastet si accoccola di nuovo, facendo le fusa. «Finalmente, un po' di pace» mormora.
«Non durerà a lungo» dice Antony, alzando un sopracciglio.
E per la prima volta da ore, mi sento leggera. Come se, per un momento, tutto fosse al posto giusto.

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