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Capitolo 7 - Lasciarsi andare

Charlotte si guardò allo specchio della camera da letto. Non si vedeva così da un pezzo.

Erano le 18:45, Patrick sarebbe arrivato a momenti.
Lei era combattuta: pensava di aver esagerato con quel vestito, forse lui voleva solo parlare, o forse, e questa opzione sembrava ancora peggiore, la voleva corteggiare.
Charlotte ancora non capiva il perché dell'interesse di Patrick, ma era decisa a chiarirsi le idee proprio quella sera.

Si sistemò il rossetto, che aveva scelto di un intenso rosso porpora. Aveva i capelli lunghi e biondi, in una piega anni '90 a grandi onde voluminose che le scendevano sulle spalle.

Aveva scelto un trucco semplice, ma intenso con un eye-liner nero sottile, un'ombra sulla palpebra e tantissimo mascara nero. Poi un fard leggero per scaldare gli zigomi, sopracciglia infoltite e delineate e un tocco di luce.
Aveva spruzzato un'abbondante dose di profumo, anche se non era sicura di dove la stesse portando quella corrente di eventi. 

Si girò per vedere come le stesse il vestito dietro. Le mancavano ancora le scarpe. Scese le scale come una diva, specchiandosi su ogni superficie lucida, cercando di darsi un tono e preparandosi ad impersonare un'algida e lontana bellezza irraggiungibile. Neri le scodinzolava intorno. Lei pensava che quella fosse la strada giusta con Patrick, l'avrebbe portata al Vinci e sicuramente avrebbe fatto ricorso a tutta la sua cavalleria inglese, doveva stare al suo passo e chiedergli di Josh.

Si infilò le scarpe e subito si sentì un'altra. Il magico potere di un tacco a spillo in una serata importante.
Spolverò il lungo cappotto nero avvitato e ne sistemò la cintura in vita. Aprì la borsetta per infilarci un fazzoletto ricamato, uno specchio piatto e il rossetto oltre a un piccolo vaporizzatore di profumo. Cercò sulla cassettiera antica dell'atrio e sotto un paio di guanti trovò il suo telefono. Appena lo prese in mano arrivò un messaggio. « Scendi, sono qui. »
Charlotte rimase un po' interdetta. Diede uno sguardo lungo il corridoio, fino al salone, dove aveva preparato una bottiglia di Pinot grigio, il suo preferito, e due calici. Pensava di bere qualcosa prima di uscire, ma non si curò troppo di quel cambio di programma, salutò Neri, prese le chiavi, infilò il cappotto e uscì.

La Porsche Panamera nera di Patrick riluceva sotto la luce dei lampioni nel viale. Lui era uscito e stava fumando appoggiato alla macchina, di schiena. Appena sentì i tacchi di Charlotte sul marciapiede si voltò.
Quando la vide la squadrò da testa a piedi, aprendo la bocca in una smorfia stupita. «E tu chi sei?» le disse incredulo mentre si avvicinava per baciarla su una guancia.
«Oh smettila!» sussurrò lei. si sentiva in imbarazzo.

Le fece cenno verso un lato dell'auto e si affrettò ad aprirle lo sportello.
Charlotte notò che Patrick era elegantissimo e tirò un sospiro di sollievo, il suo outfit dopotutto era azzeccato. Lui indossava un completo blu notte, una camicia bianca e una cravatta e pochette azzurro fiordaliso, abbinate.

«Scusami, sono uscito da lavoro poco fa. Una giornata infernale.»
«Di cosa ti stai scusando esattamente?» chiese Charlotte accomodandosi sui sedili in pelle.
«Beh - disse lui mentre entrava in auto a sua volta e si metteva la cintura di sicurezza - ho bisogno di farmi una doccia, quindi se non ti dispiace, vorrei che passassimo da me.»

Charlotte trasalì, in concomitanza con l'accelerata decisa dell'auto. Non aveva intenzione di andare a casa di Patrick, le aveva promesso il Vinci e lei proprio non si sentiva pronta a vedere il luogo dove lui si spogliava della sua maschera.
«Non credo sia il caso» esclamò allarmata. Si voltò verso di lui aspettando una reazione di scuse.
«Perché? Mi faccio solo una doccia e poi ti porto al Vinci, tranquilla» sembrava infastidito. «Casa mia non è un sotterraneo da dove non uscirai mai più» aveva assunto il tono che si usa con i bambini che fanno i capricci. «Ti piacerà, l'ha arredata Julien Moret» aggiunse con un'espressione eloquente.

Come se avesse fatto differenza! Charlotte si voltò a guardare fuori dal finestrino, magari aver potuto fuggire da lì. Era terrorizzata.
Poteva dire che il bacio era capitato per caso, ma andare a casa di Patrick sulle sue gambe non si poteva certo definire una casualità. Non intendeva neanche essere polemica, e forse dopo una doccia veloce l'avrebbe comunque portata al Vinci. Charlotte si costrinse a portare pazienza.

Erano immersi nei loro pensieri, in sottofondo The Weeknd. Lui guidava con una mano sola sul volante, lo sguardo fisso sulla strada e non parlava. Lei si limitava a guardare fuori dal finestrino, sperando che quella situazione imbarazzante durasse il meno possibile.

Per fortuna non rimasero in auto più di cinque minuti. La serata era fredda e rischiarata da una meravigliosa luna piena. Il sensore automatico emise un lungo bip e la serranda in legno lucido del garage iniziò a sollevarsi lentamente. Patrick calò con attenzione la Porsche giù per una rampa sottostante un elegante palazzo in stile liberty che, Charlotte contò dal finestrino, doveva avere circa sei o sette piani. Si trovavano nel Borgo Franceschino, uno dei quartieri più lussuosi della città. Charlotte non se ne stupì affatto.

Patrick posizionò la sua auto all'interno di un ampio box, affiancandola a una fila di altre auto lucidissime e imponenti. Uscì senza dire una parola e si affrettò ad aprire lo sportello di Charlotte che scese con una certa fatica a causa dei tacchi alti e dell'abito.
Lui le diede la mano per aiutarla e la invitò a seguirlo. Entrarono in un ascensore che ricordava molto quello di un hotel, con un alto specchio e finiture dorate. Patrick premette il pulsante con scritto A, l'attico.

Rimasero in silenzio per l'intera salita, lui leggeva messaggi sul cellulare, mentre lei si guardava la punta delle scarpe nuove. Dopo qualche minuto, le porte si aprirono e Patrick le fece strada all'interno di un arioso atrio circolare con il soffitto a cupola e un tavolo rotondo al centro, su cui trovava spazio un grande vaso in porcellana cinese con un mazzo di rigogliose rose bianche a stelo lungo che deliziavano l'aria con il loro profumo.
Solo Patrick poteva avere in casa rose bianche a Dicembre pensò Charlotte scuotendo la testa. Più si inoltrava nel mondo di lui, più restava interdetta dalla quantità di contraddizioni che vi trovavano spazio.

«Prego, accomodati» le disse Patrick, mentre la conduceva oltre un arco finemente decorato con dei motivi lineari in gesso e lungo un corridoio, fino in fondo, nel salone.
Charlotte sbirciò dentro le porte che attraversò e vide un'ampia cucina con parte del soffitto in vetro e un altro salottino delimitato da pannelli in legno scuro.

Il salone parlava di Patrick da ogni tendaggio, poltrona, libreria. Moderno, ma caldo, era arredato con mobili stile art déco, e reso accogliente da un numero imprecisato di tappeti persiani, pesanti tende blu notte e da una carta da parati a righe grigie e blu, delimitata da metà altezza da raffinati pannelli in legno scuro.
Era molto maschile, ma a Charlotte trasmetteva un senso di casa che aveva trovato in poche altre abitazioni di persone che conosceva. Si chiese a quanto poteva ammontare la parcella dell'arredatore, ma venne interrotta nei suoi calcoli dalla voce del padrone di casa.

«Non ti faccio fare un giro della casa - disse Patrick dandole la schiena e continuando a condurla verso il centro del salone - fai pure da sola. Passato quell'arco, sulla destra c'è un corridoio, percorrilo tutto per arrivare alle scale - fece una pausa - e se hai bisogno di me, io sono di sopra.»
Charlotte annuì, spaesata.
«Saremo al Vinci tra poco, non preoccuparti.»
«Tranquillo troverò qualcosa da fare nel frattempo.»
Patrick le sorrise e scomparve in fondo al salone.

Charlotte si guardò intorno. Il divano sembrava comodo, era in pelle e pareva avere parecchi anni. Si avvicinò per sedersi e magari guardare qualcosa in TV, ma fu subito colpita dal dubbio di quante ne avesse passate quel divano. Tossicchiando decise di andare altrove.

Esplorò il corridoio, con numerosi ritratti alle pareti, forse antenati dei Grant. Tutti avevano in comune lo sguardo fiero di chi si sente al di sopra dell'umanità, e il fascino di chi sa di poter comprare ciò che vuole, siano oggetti o persone.

Arrivò alla cucina, molto ampia e con un'alta parete scorrevole in vetro che la separava dalla sala da pranzo.
Sembrava quella di un ristorante, era interamente in acciaio ed era piena zeppa di mensole che contenevano spezie, ingredienti e libri di cucina. Patrick non sembrava uno a cui piacesse cucinare, o che avesse il tempo di farlo. Charlotte si convinse che quello doveva essere il regno della governante.

Continuò verso destra, ed entrò nella sala da pranzo. In realtà si trattava di una veranda ricavata da una antica serra, il soffitto era in vetro e si vedeva il cielo che quella sera regalava una meravigliosa stellata. Charlotte ne fu rapita. Che luogo meraviglioso pensò.

Si guardò attorno: la sala ospitava un lungo tavolo in legno in stile rustico con sedie in metallo e paglia. il tutto poggiava su un ricco tappeto sopra un pavimento in legno scuro e oltre si apriva la prima parte della terrazza che circondava la casa. Charlotte si rese conto che l'abitazione occupava due interi piani del palazzo e si sviluppava attorno a un cortile interno.
Il terrazzo ospitava un grande gazebo ed era riccamente decorato da piante di ogni genere. In estate doveva essere una favola.

Charlotte decise di tornare nel salone, e si era appena avvicinata al grande caminetto acceso, quando sentì suonare il campanello. Si bloccò di colpo, non sapendo bene cosa fare. Rimase in attesa per capire se Patrick avesse sentito, ma non udì nulla.

Si affrettò quindi verso l'atrio dove dal videocitofono vide quello che sembrava un fattorino.

Si tolse le scarpe e corse verso la scala che Patrick le aveva indicato e dopo un momento di esitazione, salì le scale. Cercò di tendere l'orecchio per sentire se Patrick avesse sentito l'insistente scampanellio, mentre i gradini di legno scricchiolavano. 

Udì di nuovo il campanello, quando arrivò al piano superiore. Le si apriva davanti un ampio salotto, nel medesimo stile di quello padronale, da cui si affacciava la balaustra della scalinata. Andò ad intuito ed entrò nel corridoio che aveva di fronte, ignorando tutte le porte finché non ne trovò una socchiusa, ed entrò.

Quindi ci siamo! pensò. Era nella stanza di Patrick. 
Una calda luce proveniente da una lampada su un comò di legno scuro avvolgeva tutto lo spazio. Charlotte si fece coraggio e cercò di ignorare qualsiasi oggetto intorno a lei proseguendo timidamente verso il fondo della stanza, oltre il divanetto e arrivando alla porta del bagno. Bussò, ma non ottenne alcuna risposta. Sentiva il getto della doccia, quindi bussò di nuovo e stavolta chiamò Patrick ad alta voce. Il rumore dell'acqua smise e dopo poco Patrick aprì la porta.
«Sì?» disse sulla soglia guardando Charlotte. Indossava solo un asciugamano nero attorno alla vita, i capelli gocciolavano sul pavimento e un caldo vapore si vedeva ancora alzarsi dalle sue spalle.
«Qualcuno ha suonato alla porta» disse Charlotte non sapendo dove guardare. «Sembra un fattorino» aggiunse trovando d'un tratto molto interessante il motivo delle piastrelle sul pavimento.
«Deve essere il ristorante. Puoi aprire?»
«Il ristorante? Credevo che...»
«Oh sì, spero non ti dispiaccia, ho pensato che saremmo stati più comodi qui. Ordino spesso al Vinci.»

Charlotte era confusa, ma non se lo fece ripetere. Corse giù dalle scale ripromettendosi di non cadere più in certi viscidi tranelli, e arrivò al citofono per aprire la porta al fattorino, che dopo qualche minuto, si materializzò all'ascensore dove Charlotte lo aspettava.
«Ecco qui, Signora Grant» bofonchiò lasciandole due sacchetti di carta e sparendo di nuovo dietro alle porte scorrevoli. «Non sono la...» gridò sull'androne indirizzandosi alla schiena del fattorino. «...signora Grant» aggiunse sottovoce.

Si diresse verso la cucina e appoggiò tutto sul ripiano in marmo nero dell'isola.
Era seccata, la sua serata era andata in fumo. Si guardò il vestito sconsolata. In quel momento apparve Patrick.
Indossava una camicia bianca un po' sbottonata e un paio di pantaloni sportivi neri. Aveva i piedi nudi, i capelli ancora umidi e profumava di pulito.
In un attimo apparecchiò la tavola, con un servizio di piatti bianco con profilo dorato, calici in cristallo e candele accese. Era uno strano contrasto quello tra l'apparecchiatura e le scatole in cartone del ristorante, ma i sacchetti del Vinci erano estremamente raffinati e tutto sommato Charlotte indossava un vestito da sera.
Rise tra sé, più tranquilla. In fin dei conti non doveva avere paura di quella situazione. Sarebbe stata in grado di gestirla, comunque fosse andata.

«Et voilà, madame!» esclamò Patrick mettendole davanti un piatto fumante. Stappò una bottiglia di vino e le servì un calice, mentre lei era ancora incredula e in piedi appoggiata all'isola della cucina.
«Di sicuro sai stupire una donna» affermò ancora incerta.
«So fare un sacco di cose» rispose lui. «A noi due» aggiunse solenne avvicinando il suo calice a quello di lei. «All'improbabilità di questa serata.»
Charlotte rispose al brindisi e si sedettero.

La cena fu piacevole e chiacchierarono di tutto, mentre in sottofondo suonavano pezzi bossa nova e sopra le loro teste le stelle si facevano sempre più splendenti.
Josh aveva fatto capolino nella mente di lei un paio di volte, ma chissà perché aveva deciso di non dargli ascolto.
Patrick aveva un senso dell'umorismo spiccato, ma contenuto e sarcastico. Poteva disquisire di qualsiasi argomento ed era brillante, anche se non si poteva dire che mettesse esattamente a proprio agio il suo interlocutore. Quando Charlotte parlava con lui si sentiva sempre sulle spine, ma non sapeva se fosse a causa della parlantina o dei suoi occhi color ambra.

Erano alla seconda bottiglia di vino, quando Patrick le chiese di andare in salone, per mettersi più comodi. «Perché non restiamo a parlare qui?» ribatté Charlotte, imbarazzata.
«Sono sicuro che il caminetto e un'altra bottiglia di bollicine saranno un'ottimo sfondo alla nostra conversazione» disse Patrick, alzandosi, e ancora tenendo il suo calice in una mano si avvicinò a lei porgendole l'altra.
Lei si alzò barcollando. Aveva decisamente bevuto troppo. Ma era ancora presto e non avevano ancora toccato l'argomento per cui lei era lì. Josh. Cercò di darsi un contegno. Non se ne sarebbe andata senza le risposte che voleva, e dopo quella sera...non avrebbe più rivisto Patrick.

Lui tenendola per mano la condusse nel salone e si sedettero sul divano, non troppo certi di quale fosse il passo successivo. Patrick stappò la bottiglia e si affrettò a versare del vino a Charlotte, rovesciandone molto sul pavimento.
«Ehi, il mio vestito! - esclamò Charlotte - Sta' attento, maledizione!»
«Oh mio Dio scusami!» Patrick rideva. «Te ne posso comprare un altro...»
«Basta che non mi versi addosso altro vino.» 
«Oppure potresti toglierlo» ridacchiò.
«Oppure potresti stare attento.» Charlotte si allontanò, sedendosi un po' più distante.

«Scusami, è che...è un bel po' di tempo che spero di averti qui con me» sussurrò Patrick.
«Immagino, certo.» Charlotte rideva divertita. Non credeva ad una sola parola di quello che Patrick le stava dicendo.
«Charlotte - Patrick appoggiò il bicchiere per terra, e la guardò negli occhi - perché non mi dai una possibilità?»
«Sei pazzo? Mi hai invitata ad una cena a base di cibo d'asporto! » Charlotte rise di nuovo sinceramente.
«No, dico sul serio. Vorrei... vorrei che potessimo provare a... conoscerci meglio...uscire.»
«E questa da dove ti viene?» le andò di traverso il vino. Charlotte notò che Patrick si era fatto serio e cominciava a capire che non era più l'alcool a parlare.
«Te l'ho detto, è da tanto che spero di averti qui con me. Io... sono anni che spero di poter stare con te. Da quando ti ho vista con Josh la prima volta.»
Ora Charlotte era decisamente attenta e molto stupita.
«Sono passati otto anni Patrick. E noi in questo tempo ci siamo visti forse tre volte!»
«Me le ricordo tutte e tre perfettamente.»
Charlotte era ancora incerta, la situazione era assurda.
«Ma... non ci siamo praticamente mai parlati!» lo guardava a bocca aperta cercando un senso a quella serie di eventi illogica.
«Lo so. E' strano. - la guardò di nuovo intensamente, sorrideva - ma Josh mi ha raccontato tutto di te e...tuo padre...insomma. E' come se ti conoscessi.»
«E' come se mi conoscessi? Non scherzare Patrick, non sai nulla di me.»
«Io...vorrei soltanto una possibilità, una chance di uscire con te.»
«Non ci conosciamo. E Josh...»
«Voglio conoscerti. E voglio che tu conosca me.»

Charlotte era senza parole, cercava di capire quando lui si sarebbe tolto la maschera e le avrebbe dato un buffetto sulla guancia dicendole che stava scherzando. Guardò di nuovo Patrick cercando di leggere la sua espressione. Non poteva certo essere serio.

Era serio, invece. La guardava con una tale intensità, che si sentì travolgere. Una risata nervosa le si soffocò in gola. 

«Non so cosa dire Patrick.»
«Dimmi solo sì.» Si avvicinò a lei e le mise una mano su un ginocchio.

Charlotte sentiva il suo profumo ed era irrimediabilmente attratta da lui. Maledizione. Sarebbe finita come una di quelle ragazze che era stata su quel divano credendo di essere speciale, e adesso era solo un ricordo.
Ma all'improvviso un nome riaffiorò nella sua mente.

Josh.
Non era riuscita neanche a nominarlo quella sera. Se ne vergognava molto. Aveva millantato un amore lungo un secolo per uno che adesso non riusciva neanche a nominare. Tutto solo per colpa di un po' di vino e qualche battuta divertente.
Tutti quei pensieri si mescolarono nella sua mente, oleosi e indefiniti. Era inebriata dal suo profumo, dalle sue parole e da quella situazione incredibile in cui si trovava. Non riusciva a recuperare un pensiero definito per contrastare quello che sentiva di voler fare.

Patrick spostò la mano più su, oltre il ginocchio e ora le sfiorava una coscia, ma la stoffa aderente del vestito frenava ancora qualsiasi desiderio di andare oltre.
«Dammi una possibilità» sussurrò, mentre avvicinatosi ancora, iniziava a baciarle il collo con piccoli tocchi delle sue labbra, più su, fino al lobo dell'orecchio.

Si fermò e prese delicatamente il bicchiere che Charlotte teneva ancora in mano, per appoggiarlo a terra accanto al suo. La playlist passava ora The Beach dei The Neighborhood. Patrick la guardò di nuovo e con una mano le sollevò il mento, avvicinando le labbra.

Finalmente, la baciò. Un bacio tutt'altro che timido, ma non irruento. La testò, prima piano, con piccoli baci sulle labbra, e poi con più decisione, passandole la lingua prima sulle labbra e poi facendola scivolare con virilità nella sua bocca. Charlotte lo accolse, ricambiando con passione.

Mentre si baciavano, Charlotte sentì la mano di lui scivolare ben oltre la sua coscia, ora sotto il vestito. Ormai si sentiva immersa in quello scambio e non sapeva uscirne, non voleva trovarne la forza e decise di assecondare anche il suo corpo, oltre alla sua mente.

Lui si fece ancora più deciso, si staccò da lei e iniziò a sbottonarsi la camicia.

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