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Capitolo 3 - Posso vederti?

Era sera in quel freddo giovedì di Dicembre a Trieste.

Charlotte aveva indossato un maglione in lana intrecciata morbido e caldo color avorio che le avvolgeva delicatamente le forme. Si era infilata un paio di pantaloni blu e aveva ornato il tutto con delle calze pesanti.
Non era nulla di sexy, neanche lontanamente. Ma per stare sul divano con Neri e una ciotola di pop-corn sarebbe andato benissimo.

Inoltre era da molto tempo che non aveva voglia di sentirsi sexy per nessuno. Dopo Josh, tre anni prima, non aveva più neppure azzardato il pensiero di potersi concedere a un altro uomo. Non la sfiorava neppure la tentazione. Si era chiusa nel suo lutto e lì era rimasta, nonostante il trasferimento in Italia.

Strinse a sé l'enorme stazza di Neri e ne sentì il cuore battere nel petto caldo. Lui le dava tutto l'affetto che le serviva.

Il salotto era illuminato da una serie di lampade da tavolo e piantane a luce calda e tenue che Charlotte aveva disposto sapiente per ricreare un ambiente confortevole per le serate che passava sul divano. L'ampio sofà in tessuto avorio poggiava sul parquet a listoni color miele. Un ensemble armonico di pregiati tappeti persiani d'epoca arricchiva il pavimento dell'ampio salone. Una fila di ampie finestre a doppio vetro, creava un'atmosfera raccolta, ma solenne. Da fuori si sentiva soffiare un forte vento.

Alla destra del sofà, un tavolino primo novecento sosteneva una colonna sbilenca di libri e una grande lampada da tavolo in marmo bianco con un elegante paralume in seta blu. Il megaschermo del televisore faceva da specchio al caminetto dietro Charlotte, dall'altra parte della stanza. Oltre l'alto portale sul lato destro della stanza, si vedeva il tavolo d'epoca dell'ampia sala da pranzo. In lontananza la flebile luce artificiale della cantina dei vini.

Accese la TV. Una sfilza di odiose commedie romantiche natalizie le si propinò davanti. Dopo aver scorso un paio di volte le stesse quattro pagine di proposte, decise di optare per un grande classico: "Love Actually". Quel film aveva il giusto quantitativo di romanticismo, cinismo, realismo e ironia che lo rendevano adatto a qualsiasi umore. Infilò la mano nella ciotola dei pop-corn che profumavano di caramello quando sentì suonare il suo telefono. Lo cercò un po' con la mano sotto la coperta, ma non lo trovò. Chi poteva essere?

Charlotte aveva deciso di prendersi una pausa dal lavoro in occasione del suo viaggio negli Stati Uniti, e a giorni sarebbe stata di nuovo operativa. Forse era Dionne, che le chiedeva un parere sulla sua prossima bozza? Il pezzo non doveva uscire fino a febbraio, le sembrava strano. Sollevò una enorme zampa pelosa di Neri e finalmente trovò il telefono. « Pronto? »

«Charlotte?» Era Patrick.

Maledizione.

Charlotte tossì i pop-corn che aveva appena ingoiato. Come aveva fatto a non vedere il nome sullo schermo?
«Pronto?» bofonchiò. Non sapeva cosa dire e per qualche secondo pensò solo di riattaccare.
«Se continuiamo a farci domande prevedo che sarà una telefonata lunga» sghignazzò Patrick dall'altra parte. Si sentiva in sottofondo John Legend.

Avrà sicuramente uno di quegli impianti stereo che ti seguono in giro per casa pensò Charlotte. «Che cosa vuoi, Patrick?» sbuffò.
«Beh ti ho lasciato qualche giorno per pensarci. Vorrei sapere se ti va di vederci.»
Charlotte trasalì.
«No, non mi va di vederti» rispose secca. 
«Charlotte, andiamo, non può essere peggio dell'altro giorno al bar! Dammi una possibilità.»
«Ascolta Patrick, non capisco perché sei fissato con il volermi parlare. Maledizione, non hai un cliente da portare a cena, un amico, perché non ti fai una fidanzata con cui ascoltare John Legend? Scommetto che hai una fila di ragazze fuori dalla porta» Charlotte era seccata. Neri la guardava scodinzolando.
«Non ci casco Charlotte, questi giochetti su di me non funzionano. Io sono un gentiluomo» rideva.
«Potrei farti una lista bella lunga di ragazze che ti odiano, Patrick.»
«Ne sono certo. Scommetto che quella fila la guideresti tu » non rideva più.
Charlotte rimase in silenzio.
«L'odio è un sentimento potente Patrick. Non prenderti queste confidenze.»

Lui restò in silenzio. Sospirò.
«Vieni a cena con me» disse con un tono di voce basso, calmo. «Vieni a cena con me» ripeté con la sua voce roca. Quella non era una domanda.
Charlotte esitò. Quel tono così calmo, ma perentorio, le rendeva difficile dire di no. «Non...non ci penso neanche.»
«Avanti, vieni a cena con me» ripeté lui.
«No. Maledizione perché dovrei?» era nervosa.
«Voglio raccontarti quello che non sai su Josh. Voglio spiegarti tutto e voglio finirla con questa storia di te che mi odi. Voglio farti conoscere la verità, lo dobbiamo a Josh e a tuo padre».
«Cosa c'entra mio padre?»
«Charles trattava Josh e me come suoi figli. E tu lo sai. Ci ha protetti, educati, gli ha pagato gli studi. E lui...gli ha voltato le spalle.»
«Non parlare di Josh in questo modo! »
«Ascolta, hai ragione. Ci sono cose che non sai, che vorrei raccontarti. Ma, tu non vuoi, e hai sicuramente le tue ragioni. Meglio che io lasci perdere. Buona notte Charlotte.» Riattaccò.

Lei si sentiva il petto in fiamme. Si alzò e iniziò a camminare tra il divano e il televisore, in ampie traiettorie lineari. Avanti e indietro, avanti e indietro.
«Ma come osa?» urlò. «Chi si crede di essere, questo bastardo, questo personaggio infimo, questa specie di...stronzo!» Neri la seguiva con lo sguardo, preoccupato. «Chi diavolo pensa di imbrogliare? Dopo tutto quello che ha fatto a me e Josh, ha il coraggio di chiedermi di parlare con lui!» si fermò.
Stava ripensando a lui e questo era qualcosa che si era sempre ripromessa di non fare.
Lo ha ucciso pensò tra sé.

Se non fosse stato per quel bastardo di Patrick, Josh sarebbe stato lì con lei, sul divano, lontano da chi gli voleva male, lontano da New York e lontano da suo padre. Ne era conscia, anche Charles aveva un ruolo importante in quello che era successo quella notte, ma lei non voleva soffermarsi su questo. Era stata tutta colpa di Patrick, lui aveva fatto il lavaggio del cervello a suo padre, era stato lui a causare tutto.

Ma ne era davvero sicura?

Guardò il telefono. Un messaggio, era Patrick. Lesse di malavoglia.
Non volevo riattaccare a quel modo, non è da me. Ho sentito che eri arrabbiata e non ho voluto proseguire, sapevo che non ti saresti calmata. Sappi che io amavo Josh come un fratello. So che anche tu lo amavi.
Nessuno di noi due avrebbe mai voluto fargli del male, ma io ho agito per il suo bene. Volevo salvarlo. Sappi che sarò al Mistral domani all'una. Ti aspetterò, spero che vorrai concedermi di poterti spiegare, dopodiché cancellerò il tuo numero e non ti cercherò più. Fallo per Charles.
A domani.

Charlotte rimase sorpresa dalla dolcezza di quel messaggio.
Patrick lo aveva amato davvero come un fratello? Un frammento di curiosità si piantò nella sua mente in quel momento. Se lo amava davvero, come sostenevano lui e suo padre, come mai avrebbe dovuto volerlo morto?

Charlotte ora era confusa. Iniziava a dubitare del suo giudizio e non sapeva cosa fare.
Non andare a quel pranzo avrebbe significato vivere nel ricordo di Josh come lo aveva sempre voluto lei: il suo viso abbronzato, i capelli bruni e le sue mani grandi che le cingevano la vita mentre la baciava su quel grattacielo, a New York. Erano ubriachi di champagne e felici, dopo cinque anni di alti bassi. Alla fine lui aveva scelto lei e le aveva giurato che sarebbe rimasto fuori dai giri pericolosi in cui era invischiato.
Andare al Mistral e parlare con Patrick avrebbe potuto inquinare quel ricordo, sporcarlo, e lei non voleva.
Ma se lui avesse avuto davvero una storia sensata da raccontarle? Se Josh non fosse stato ingannato, ma fosse stato lui stesso causa della sua morte?

A dire il vero Charlotte non era stata completamente onesta con se stessa. Ricordava sì, la notte dell'arresto, ma non in modo così distinto come voleva far credere.

Erano a letto, saranno state le due o le tre. Dormivano profondamente, dopo essere stati alla festa di un amico. Improvvisamente, un forte tonfo l'aveva svegliata, e nello stesso momento aveva visto la porta della camera da letto spalancarsi e alcune figure apparire nella penombra.
Tutto era successo in modo rapidissimo: Josh era saltato giù dal letto, con addosso solo un paio di boxer e si era guardato rapido intorno per cercare la sua pistola.
In un attimo le quattro o cinque persone gli erano state addosso e Charlotte, che nel frattempo si era messa a urlare terrorizzata, aveva potuto leggere sulle loro schiene NYPD in un bianco reso accecante dalla luce fredda delle torce.

Aveva chiamato Josh, mentre cercava di coprire il suo seno nudo con le lenzuola stropicciate, e, nel buio, aveva visto lui.
In quel momento non lo aveva bene identificato, ma si era resa conto, col passare dei secondi, che fosse Patrick che la guardava serio. Di tutta risposta lei aveva strappato le lenzuola dal letto ed era balzata in piedi, continuando a gridare il nome di Josh, piangendo disperata.
«Cosa gli state facendo?» continuava a ripetere, senza ricevere nessuna risposta.

Tre poliziotti intanto, avevano immobilizzato il suo ragazzo a terra e uno di loro gli premeva un ginocchio sulla schiena. Charlotte vide un lampo metallico chiudersi attorno ai suoi polsi con un click.
«Sta' tranquilla Lottie, non mi faranno niente, vero Pat? Amico?» Era calmo, anche se parlava con fatica a causa della posizione. 
Uno dei poliziotti aveva iniziato a recitare la litania che tante volte Charlotte aveva sentito nei film...Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio...
Josh intanto aveva alzato la voce: «Chiama Chris, a Londra, digli che deve venire subito a New York. Hai capito? Chiama Chris, Lottie - lo sollevarono in piedi di peso, mentre tossiva - Chiama Chris! Capito? Hai capito? Chiama tuo fratello Chris!»

Continuò a ripetere quella frase mentre lo trascinavano via lungo il corridoio, in un'eco disperato. Charlotte provò a raggiungerli correndo, ma arrivata alla porta della stanza da letto, Patrick le si parò davanti, alto, nel suo completo scuro.

«Ti devo chiedere di restare dove sei, Charlotte» le intimò.
Lei provò a spingerlo via, senza successo. Lui le afferrò i polsi, facendo cadere il lenzuolo che la copriva. La sua presa era robusta, lei non aveva nessuna speranza di liberarsi.
Iniziò a urlargli di lasciarla andare, ma lui in risposta la strinse, coprendo le sue nudità con il suo petto. Dopo qualche minuto lei smise di gridare e lui la lasciò accasciarsi sul pavimento.
«Dobbiamo andare Signor Grant!» chiamò da sotto uno dei poliziotti. Patrick si voltò per andarsene.
«Starà bene, non preoccuparti. Lo stiamo aiutando.»
Charlotte rimase sola, seduta sul legno freddo del pavimento, per molte ore.

Erano passati tre anni da quella notte, e il ricordo dei fatti ora era scomposto e sfumato. Charlotte non sapeva cosa fare. Ma di una cosa era certa, e se ne decise mentre spostava la coperta di nuovo sulle gambe e con una mano toccava la testa di Neri, che era risalito sul divano: era arrivato il momento di parlare con suo padre.

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