Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 14 - Verso New York

Era stato un Natale piatto, quello di Patrick.
Aveva pranzato con Edward Greenberg, il suo socio, e la sua famiglia composta dalla moglie Claudia e i figli John e Ada. Avevano parlato di molte cose, dalla nuova barca di Ed, agli orologi di lusso fino a scivolare, accompagnati da una buona dose di alcool, verso conversazioni più grette che avevano come argomento la famiglia Cooper.

«Dovrai sempre ringraziare Charles per quello che ha fatto per te» gli aveva detto l'amico, e Patrick aveva provato un brivido di fastidio. Voleva bene a Charles, ma cominciava a sentirsi costretto.
Poco dopo, con una scusa si era congedato ed era tornato a casa. Aveva fatto partire un pezzo jazz, si era versato uno scotch, e aveva acceso il pc. Fuori aveva iniziato a nevicare, ma il luogo più freddo, quel giorno, era di sicuro il suo cuore.

Non aveva più sentito Charlotte, da quella sera a casa di lei.
Aveva preso in mano tante volte il telefono per chiamarla, ma aveva sempre desistito. Prima perché suo fratello Richard era in città, e in seguito perché non avrebbe saputo cosa dirle.
Per molte settimane, prima del loro incontro, era stato convinto di urlarle in faccia la verità su Josh, condendola magari con qualche particolare raccapricciante, solo per ficcarle in testa quanto quel ragazzo fosse stato sbagliato per lei. Ma poi, aveva capito che lei quelle cose le sapeva già, solo non voleva crederci.

Maledizione.
Era come pensava, i biglietti per New York costavano una follia, ma ormai aveva deciso, e in ogni caso non aveva molta scelta. Sarebbe partito il ventinove Dicembre, e sarebbe rimasto fino ai primi giorni di Gennaio. Poi avrebbe fatto tappa a Tunbridge Wells nel Kent, da sua madre, e poi di nuovo a casa, a Trieste.
Sperava che tutto quel girare gli avrebbe portato un po' di coraggio per fare la cosa giusta, chiamare Charlotte e spiegarle la storia di Josh una volta per tutte. E forse in quell'occasione sarebbe riuscito a convincerla.

Patrick si scosse da quel pensiero grazie alla voce metallica dell'aeroporto di Ronchi che annunciava l'imbarco per il suo volo. Avrebbe fatto tappa a Venezia e poi New York, dove Charles avrebbe fatto arrivare una macchina a prenderlo. Si sarebbe sistemato nell'attico sopra l'appartamento di Richard, perché Charles, che possedeva la casa, non voleva che stesse in hotel.

Gettò il bicchiere di caffè ormai vuoto, calcò il cappellino da baseball sui ciuffi castani, e si diresse con passo spedito verso il gate.

***

Charlotte piangeva. «Mi mancherai.»

Era sempre così quando doveva lasciare Neri alla dogsitter. Affondò per la decima volta il naso nel folto pelo nero del collo del cane che, un po' confuso, prese a leccarle la faccia. «Mi mancherai» ripeté con gli occhi lucidi.
«Avanti, starai via solo pochi giorni! E comunque con noi si divertirà» affermò decisa la signora con un sorriso benevolo, mentre sfiorava le orecchie di Neri.
Charlotte si alzò, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo fedele amico.
«Ci vediamo tra una settimana, piccolo mio - guardò la signora che le stava davanti sorridendo comprensiva - Grazie Lara, a presto.» Prese la coscia di pollo di peluche che aveva in borsa e la porse a Neri, che la afferrò felice, scodinzolando con le orecchie all'insù.

Tre ore dopo, Charlotte Cooper entrava nella cabina di prima classe del volo che l'avrebbe portata a New York. Aveva corso come una pazza per non perdere l'aereo a causa del traffico, e si era imbarcata per ultima. Nulla di nuovo per lei.
Era entrata dal portellone, salutando le hostess con aria di scuse, e si era frettolosamente recata al suo posto, passando davanti a famiglie con bambini, professionisti, giovani coppie in viaggio di nozze e un tizio magro con un cappellino nero da baseball e una felpa Lacoste.

Le ricordava qualcuno. Sarà l'orologio, aveva pensato. Ma non ebbe tempo di rifletterci perché dovette schivare le occhiate di disapprovazione dei presenti e sedersi senza dare troppo nell'occhio.
Sarebbe arrivata a destinazione intorno alle nove del mattino, si accomodò quindi sul suo sedile, infilò gli auricolari e, mentre scrollava sul cellulare foto di Neri da cucciolo, chiuse gli occhi.

***

Patrick cercava la sua valigia nera con apprensione. Era già una sofferenza essere lì, con il freddo atroce in cui era incatenata New York da giorni, le mille persone che lo spingevano e il fatto che non aveva chiuso occhio per tutto il viaggio per via dell'orrido pad-thai che gli avevano servito, non voleva anche doversi ricomprare il guardaroba nei negozi duty free come uno di quegli idioti turisti.

Prelevò la valigia di una ragazza davanti a lui che aveva molta difficoltà a sollevarla, e che aveva già fatto fare al bagaglio un paio di giri di nastro perché nessuno si era degnato di aiutarla.
Patrick aveva uno sviluppato senso di cavalleria, donatogli dal nonno materno, che nella sua tenuta gli aveva sempre spiegato che essere gentile può portarti molto lontano.
Certo, Patrick non era il Dalai Lama, e la sua gentilezza svaniva in una nuvola di fumo nel caso in cui i suoi vestiti o il suo orologio rischiassero di venire danneggiati nell'operazione, o c'era pericolo di fare a botte. In quel caso però, né la valigia, né la ragazza sembravano aggressive, decise quindi di farsi avanti.

***

Charlotte schivò, correndo, il tizio con la felpa Lacoste che stava aiutando una ragazza a prendere la sua valigia dal nastro e afferrò al volo le sue. Si avviò rapida verso l'uscita, mentre chiamava suo padre. Si fermò davanti a una vetrina per guardarsi allo specchio, e rimase a dir poco schifata da quello che vide: era spettinata, pallida, stropicciata.
«Pronto?» Charles rispose mentre lei cercava di sistemarsi i capelli in uno chignon con una mano sola.
 «Papà sono qui, sono arrivata.»
 «Oh sì, tesoro scusami, sono in riunione, so che James è partito un po' in ritardo perché ha portato tuo fratello da un cliente, dovrai pazientare un po'.»
Charlotte deglutì per non imprecare.  «Va bene, aspetterò.» Riagganciò odiando suo fratello. Aveva voglia di una doccia, di una colazione abbondante e di dormire. In più, faceva freddissimo e lei aveva infilato il cappotto in una delle sue due valigie, non sapeva quale, ma era certa fosse sotto, in fondo, nell'angolo più recondito. Impossibile tirarlo fuori senza mostrare a tutti i presenti il suo pigiama in pile con le stelline.
Sbuffò, mentre cercava di applicare un po' di blush guardandosi nel riflesso di un cartello pubblicitario vicino alla porta di uscita del JFK.

Era circondata da persone in apprensione, abbracci, mazzi di fiori, cartelli con nomi impronunciabili. Tante persone arrivavano correndo per salutarsi calorosamente mentre lei cercava James, l'autista di suo padre, sempre più spazientita nella folla in attesa.
Voleva un caffè, quindi abbandonò le valigie in mezzo all'entrata per dirigersi verso un carrello di bevande calde lì vicino.

Si girò dopo aver pagato, e per poco non sputò fuori il primo sorso.
Quello era Patrick.
Era il tizio con il cappellino e la felpa Lacoste che aveva visto in aereo! Quello che aveva aiutato la ragazza con la valigia!
Era lì, davanti alla porta, in attesa, a meno di un metro dalle sue valigie e guardava il cellulare. Charlotte non sapeva cosa fare, quindi appoggiò il bicchiere e si infilò gli occhiali da sole, erano pur sempre meglio di niente per passare inosservata.

Non si erano più parlati da circa una settimana ormai, e nessuno dei due aveva cercato l'altro, dopo quella scena imbarazzante a casa sua. Lei aveva preferito non pensarci troppo e a quanto pareva, anche lui. Ma cosa ci faceva a New York adesso? 
Patrick non l'aveva vista, così decise di nascondersi dietro una colonna a bere il suo caffè, tenendo d'occhio da lì la situazione, e le sue valigie.
D'un tratto, attraverso le porte in vetro, vide la BMW guidata da James svoltare l'angolo ed esultò. Forse poteva andarsene senza essere notata.

Rimase di stucco quando, nello stesso momento, anche Patrick si mosse raccogliendo la sua valigia per andare incontro a James. Lei era già a metà strada e non poteva tornare indietro, provò a guardare per terra, ma non funzionò.
 «Charlotte?» il suo nome riecheggiò nell'atrio dell'aeroporto.
 «Uhm...ciao Patrick.»
 «Cosa ci fai a New York? Fammi indovinare... - guardarono entrambi James - divideremo la macchina?» chiese.
 «Posso prendere un taxi» affermò Charlotte decisa. Lui la guardò interdetto. 
 «Non essere sciocca. - le aprì la portiera dell'auto - Avevo voglia di chiamarti una volta sistemato, sai. Ma già che sei qui...»
Patrick si infilò nell'abitacolo sul sedile a fianco a lei, e si scaldò le mani mettendole a coppa davanti alla bocca e soffiandoci dentro. Aveva due profonde occhiaie, come se non avesse chiuso occhio, ma quell'aria sciupata gli donava tantissimo.

Charlotte era in imbarazzo. Quella chimica assoluta che c'era stata tra loro a casa sua sembrava essersi ravvivata.
 «Quindi sarai qui per le feste?» gli chiese.
«Oh sì, ripartirò il due gennaio, per andare a trovare mia madre. - si tolse il cappellino per scompigliarsi i capelli castani - Tu quanto resterai?»
«Ripartirò il sei gennaio per Trieste.»
«Perfetto, avremo un po' di tempo, allora.»    
 «Per?» 
 «Per... - si interruppe, sorridendo sornione. Poi si raddrizzò di scatto sul sedile e la guardò - Forse per smettere di parlare una volta per tutte, che ne dici?» 
Charlotte scoppiò in una risata sarcastica, e si voltò verso il finestrino.
«Quindi...stasera?» ritentò lui.
«Scusa, per cosa?»
«Però mi avevano detto che eri anche intelligente, oltre che attraente. Mai fidarsi delle voci...»
«Patrick, sul serio vuoi ripetere il nostro disastroso appuntamento?»
«Ci eravamo interrotti sul più bello, mi pare.»
«A me pare che tu avessi detto che avevi bisogno di calma per parlarmi di Josh.»
«Se esci con me, sarò calmissimo.»
«Mio Dio, Patrick!» Charlotte alzò gli occhi al cielo.
«Ok, ok, che ne dici se stavolta ti porto in un ristorante vero, con un vero menu, dei veri camerieri, e una vera bottiglia di champagne? - la guardò di sottecchi - Non dirmi di no.»

Charlotte avrebbe voluto evitare i drammi che aveva lasciato a Trieste, tra cui Patrick e, perché no, anche Josh, ma pensò che forse quella sarebbe stata la volta buona per chiudere con il fidanzato morto, come lo chiamava Dionne, una volta per tutte.
Aveva maturato la consapevolezza che lui l'avesse tenuta prigioniera per troppo tempo, una fidanzata tradita, prima, una vedova inconsolabile, poi. Era giunto il momento di vivere davvero, e se Patrick Grant era l'unico che poteva finalmente darle la verità, lo avrebbe ascoltato.
«Ok, Patrick. Ma una cosa solo - lo fissò seria - ho bisogno di sapere come sono andate le cose davvero. A partire dall'arresto. Voglio sapere perché tu eri lì.»
Patrick prese fiato per qualche secondo, ed estrasse dallo zaino un pacchetto di sigarette.
«Desiderio accordato, Lottie. - ne prese una - Ma sarà l'ultima volta che ne parleremo. Ora scusami, - disse controllando il display del cellulare che si era illuminato - devo rispondere.»

Charlotte annuì e si infilò gli auricolari. Lana del Rey la aiutò a rilassarsi e a eclissarsi definitivamente da una situazione che sembrava sempre più assurda.
Dopo un'ora, una gelida, ma vivace Manhattan si apriva davanti ai loro occhi.








Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro