Capitolo 13 - La festa di Natale
«Benvenuta, entra.» Dionne le prese il cappotto e le fece cenno con il braccio di accomodarsi nel salone. Charlotte sentì subito il tepore di quella casa, mentre Neri si dirigeva in cucina scodinzolando sicuro. La voce lontana di Ray, il fidanzato di Dionne, che salutava festosamente il cane, suscitò un tenero sorriso nella sua padrona.
Si sentiva un vociare costante dalla sala da pranzo dove, con immenso piacere di Charlotte, trovava posto una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Riccamente adornata da nastri dorati e rossi e pupazzetti di pan di zucchero, dava spazio a un enorme tacchino arrosto, dorate patate al forno, insalata di cavolfiore, pannocchie al burro e vari contorni che gli ospiti avevano portato per fare da cornice alla portata principale, uscita dal forno della padrona di casa poco prima.
Charlotte porse la bottiglia di spumante che aveva portato a Dionne e si perse nelle ricche decorazioni della casa. L'ampio salone dell'appartamento era un tripudio di festoni, bastoncini di zucchero, diversi esemplari di Babbo Natale a varia grandezza e renne di luci.
Dionne non aveva badato a spese per la sua tradizionale cena, che si teneva ogni anno il 24 Dicembre e a cui invitava gli amici più intimi, per mescolarli in un concerto di chiacchiere e canti alle personalità di spicco della scena culturale che frequentava.
Raymond fece capolino dalla cucina e abbracciò Charlotte con calore, per stamparle due baci sulle guance. «Sei ghiacciata! - le sussurrò in un brivido - Vieni a scaldarti vicino al fuoco» aggiunse conducendola con tenerezza verso l'altro lato della stanza, dove crepitavano fiamme vivaci dentro un caminetto in marmo bianco ingioiellato con le due calze natalizie dei padroni di casa.
Ray era uno scrittore di gialli, che da tempo immemore viveva a Trieste, di cui apprezzava il vento e il mare che lambiva i palazzi antichi. Era un animo romantico, Ray, ed era totalmente rapito da quella furia creativa che era la sua fidanzata, di cui ammirava tutto, tranne i gusti in fatto di moda.
Era un quarantenne piuttosto alto e sovrappeso, colpa della vita sedentaria, diceva, e i suoi lineamenti simpatici erano ornati da una chioma ribelle di capelli rossi. La barba riccioluta, rossa anche lei, lo faceva sembrare una sorta di mago irlandese di cui però aveva solo l'aspetto, fasciato com'era in avvolgenti cardigan di lana merino e pantaloni a coste verde bosco.
Charlotte salutò i presenti con una certa timidezza. Non conosceva tutti, qualcuno lo aveva visto di sfuggita, e inorridì nel notare che praticamente era l'unica single dell'allegra compagnia di circa venti persone. Neri le si precipitò a fianco e Charlotte pensò che poteva accontentarsi di lui, come chaperon. Avrebbe potuto andarle peggio, conoscendo Dionne. Forse l'amica aveva seppellito per sempre l'idea di accoppiarla a qualcuno.
Durante la cena, parlarono di politica, di cronaca locale e di quanto ancora non riuscissero appieno a integrarsi con il luogo in cui vivevano. Testimonianza di questo era il fatto che non ci fosse neanche un italiano a tavola.
Charlotte fu partecipe e, come al solito, contribuì alla conversazione in modo interessante, come le avevano insegnato a fare nella scuola privata che aveva frequentato in Scozia, da ragazzina. Era stata educata a costituire una presenza preparata, ma mai invadente, nei salotti buoni della borghesia in previsione, chissà, che un ottimo partito la notasse. Ma lì a notarla non c'era nessuno, a parte il suo cane, dato che tutti i presenti erano presi dal farsi le fusa l'un l'altro, nello sbocciare romantico che portavano di norma le festività natalizie.
Finito di cenare si ritrovarono tutti nel salottino da the dell'elegante appartamento di Dionne. Sobrie poltrone in stile cottage arricchivano la stanza, adornata da numerosi quadri di paesaggi e oggetti di design posizionati davanti a una carta da parati floreale. La padrona di casa aveva un ottimo gusto.
Charlotte si era accomodata vicino a un bovindo ornato da cuscini nei colori della terra e pesanti tende écru. Reggeva il suo calice di spumante e pregustava il momento in cui avrebbe assaggiato lo splendido tronchetto natalizio che campeggiava sul tavolino centrale, quando si sentì strattonare per una manica del golf. D'istinto si voltò per capire chi stesse rovinando quel momento di sguardi romantici tra lei e il dessert e vide Raymond, seminascosto da una colonna. Le faceva segno di seguirla, così si spostò nel disimpegno che dava sulla zona notte.
«Charlotte, oh Charlotte!» sussurrò lui.
«Stai bene?»
«No, cioè sì - deglutì a fatica - sto per farlo.»
«Farlo? Cioè tu... - l'espressione della ragazza passò da confusa a stupita in un secondo - Oh mio Dio!»
«Shhh! Ascolta - le fece Ray, sempre più chino in avanti e sempre più a voce bassa - dovrai riprendere tutto.»
«Io? Non ho idea di come...insomma è un momento troppo importante, sono sicura che c'è qualcuno...»
«Devi farlo tu» dichiarò Raymond deciso.
Charlotte non aveva mai assistito ad una proposta di matrimonio, e adesso doveva addirittura catturarne l'essenza più profonda con un cellulare!
«Sei...sei sicuro?»
«Di volerla sposare? Sì, credo di sì!»
«No, volevo dire...»
Vennero interrotti da Dionne, che come era nella sua indole, entrò trionfale nella conversazione. «Che combinate, voi due? Avanti, Ray, ho bisogno di te per il dolce.»
Charlotte cercò lo sguardo dell'uomo, che le mise in mano un telefono, con la registrazione già avviata, attaccato solidamente ad uno stabilizzatore.
Charlotte ci mise qualche secondo a capire l'orientamento della fotocamera da tenere, e corse nella sala, dove tutti erano disposti in cerchio a osservare Raymond tagliare il duro cioccolato del tronchetto con precisione quasi chirurgica.
Il gruppo applaudì la prima fetta, come se Ray avesse appena effettuato un'operazione difficilissima, e adesso lui teneva in mano un piattino pieno di goloso legno screziato con foglioline di zucchero verde brillante. Era immobile, aveva un sorriso storto stampato in faccia e occhieggiava verso Dionne ridacchiando nervoso. Lei lo guardava cercando di capire se avesse un'ischemia in atto, e si allungò per prendergli il piattino.
Finalmente Ray si riprese, appoggiò la fetta di dolce sul tavolo davanti a una confusa Dionne e si inginocchiò davanti a lei, mentre gli uomini presenti mostravano la peggiore espressione di stupore di cui fossero capaci e in tutta riposta le fidanzate si coprivano la bocca con le mani trattenendo il fiato. La sincronia era perfetta.
«Ma cos...» fece appena in tempo a dire Dionne, quando Ray tirò fuori dalla tasca verde bosco una scatolina del colore che ogni ragazza sulla faccia della terra conosce: Tiffany.
«Avevo preparato tante cose da dirti Didi, ma se mi dici di sì, avrò tutta la vita per farlo. - aprì il cofanetto - Vuoi sposarmi?»
La ragazza era senza parole, riuscì solo ad annuire due, tre, dieci volte, scoppiò in lacrime e abbracciò il fidanzato che nel frattempo si era alzato. Tese la mano sinistra tremante, pronta ad accogliere l'anello, mentre intorno un coro esultante di incitamento li sovrastava.
Charlotte era commossa. Per lungo tempo aveva sognato anche lei un matrimonio, la gioia del festeggiamento, un anello al dito, e un marito che l'amasse, come si erano amati i suoi genitori.
La morte di Josh aveva incrinato quel sogno, in cui lei aveva creduto fermamente fino alla fine, visto che nell'ultimo periodo erano stati molto più vicini.
Il divorzio di suo fratello Chris, che aveva sposato in pompa magna a Venezia la figlia di un giudice, aveva dato il colpo di grazia definitivo alle aspettative principesche di Charlotte.
Riuscì comunque ad essere felice per la sua amica, e pensava di aver fatto tutto sommato un buon lavoro con la videocamera.
Ray e Dionne erano perfetti l'uno per l'altra.
Si era fatto tardi, e i festeggiamenti erano conclusi. Ancora ubriachi di romanticismo e di champagne, gli invitati si erano congedati lentamente coppia a coppia, tra mille sorrisi, abbracci, strette di mano, auguri e congratulazioni.
Charlotte fu l'ultima ad andarsene, insieme a Neri che si era divertito tutta la sera con una coscia di pollo in peluche che quel santo di Raymond aveva pensato bene di regalargli. La mezzanotte era scoccata da un pezzo quindi era, ufficialmente, Natale.
Charlotte aveva già il suo cappotto ben chiuso e stava stringendo l'amica in un ultimo abbraccio, quando Dionne si risvegliò come da una trance.
«Accidenti, me ne stavo dimenticando! - agitò le mani ora, con l'anello, molto più pesanti di prima, e prese una di quelle di Charlotte - c'è qualcuno che dovresti conoscere.»
«Avanti, Didi, sai come vanno questi appuntamenti al buio...»
Dionne non la fece finire «Questo è quello giusto Lottie, quello giusto che ti farà smettere di pensare al morto, e che non ti farà cadere nelle grinfie di quell'altro, l'avvocato!» Fece una pausa, Charlotte la guardava sospettosa.
«E' uno scrittore, amico di Ray. Ha trentotto anni, e ti giuro - fece una croce con le dita e la portò alle labbra - ti giuro che è simpatico!»
Charlotte alzò gli occhi al cielo.
«Avanti, almeno conoscilo! Questo è ancora vivo!» esclamò ammiccando.
A quella battuta di pessimo gusto ad argomento fidanzato morto che a Dionne piaceva tanto fare, Charlotte sorrise e annuì.
«OK, d'accordo. Dove lo devo incontrare?» chiese Charlotte, mentre sconsolata riavvolgeva il guinzaglio di Neri.
«Si chiama Henry. Sarà alla festa di Capodanno di Chelsea Freemont!»
«Aspetta, ma...è a New York!»
«Esatto! Ed è per quello che te lo sto dicendo! Tu volevi già andare a New York per Capodanno giusto?»
«Sì, beh, ma per stare con mio pad...»
«Piantala Lottie, tuo padre non vuole stare con te a Capodanno, avrà altro da fare - la guardò sorniona - e ora anche tu!»
Charlotte scosse la testa confusa.
«Ci hanno invitati, cioè hanno invitato me, ma ora che io e Ray... insomma - guardò il fidanzato, adorante - siamo fidanzati ufficialmente...ti farò avere l'invito Lottie, scommetto che Henry ti piacerà.»
Charlotte ringraziò Dionne e lei e Neri si incamminarono verso casa, nel gelo delle prime ore della mattina di Natale. La brina copriva i parabrezza delle auto e la salita che la portava a casa. Henry eh? - pensò - e va bene, sarai il mio ultimo tentativo.
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