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Capitolo 12 - Gin tonic

Richard Cooper aprì gli occhi di scatto, cercando di capire dove si trovasse. Si calmò quando capì di essere a Trieste, nella sua stanza d'hotel. Si rigirò svogliatamente e allungò una mano verso il pesante orologio sul comodino. Segnava le sette di sera, aveva dormito quattro ore.

Brutta, bruttissima idea, ora era un fantasma per via del jet lag. 

Si mise a sedere e fece partire sulla cassa bluetooth della stanza "White Rabbit" dei Jefferson Airplane. Si sgranchì il collo e stirò le braccia, dirigendosi verso l'ampia sala da bagno della suite. Si spogliò completamente e si guardò allo specchio. I capelli biondi erano scompigliati in ogni direzione, lo sguardo penetrante appesantito da occhiaie profonde e blu. Era pallido. 

Ma che cazzo, pensò. Richard era un esteta, un cultore del suo fisico e del suo aspetto, che curava maniacalmente. Non era uno di quei metrosexual newyorkesi che giravano in pantaloni aderenti e mocassini, no. Lui amava il fine cuoio italiano, un buon taglio di capelli, un vestito sartoriale su misura. E cazzo, avrebbero dovuto puntargli una pistola alla tempia per costringerlo ad indossare quei ridicoli calzini che sparivano dentro le scarpe e a rifilarsi le sopracciglia con la pinzetta.

Amava l'eleganza anni '40 dell'Inghilterra delle grandi tenute, dei campi da golf, delle camicie bianche con il colletto inamidato. Capiamoci bene, non aveva i gusti di un maledetto vecchio, ma non tollerava la sciatteria di alcuni dei clienti di suo padre, né se dobbiamo essere sinceri, di molti degli amici che frequentava a New York.

Richard era conscio di essere fatto di un'altra pasta, di venire da una parte di mondo privilegiata che poco aveva a che fare con i milionari americani che riempivano il tennis club che frequentava negli Hamptons in estate.

Possedeva una Jaguar d'epoca, e gli piangeva il cuore ogni volta che doveva parcheggiarla vicino a qualche mega SUV elettrico prima di uno dei match su terra rossa a cui lo invitavano. Lasciare Londra, qualche mese prima, gli aveva provocato uno scompenso che adesso faceva fatica a mandare giù, e per questo doveva ringraziare solo suo padre.

Charles pensava di sapere tutto di lui, di conoscerlo davvero. Ma neanche Richard conosceva se stesso veramente, e sapeva per certo di essere capace di cose che avrebbero fatto inorridire suo padre.

Anche se sapeva fingere bene, Richard era, sotto sotto, distante da tutte le complicazioni generate dai sentimenti umani. Non voleva definirsi insensibile, ma non gli andava di perdere tempo in scambi, rancori, e sensi di colpa che non gli avrebbero fruttato nulla, se non un gran mal di testa e notti insonni.

L'unica che forse aveva intravisto una crepa nella facciata era Charlotte. Ma aveva ritenuto più semplice fidarsi di lui e non fare domande. Richard ringraziava sempre la buona stella che aveva dotato sua sorella della saggezza di non farsi mai domande scomode. Però lo stupiva un po' che non ricordasse come erano andate le cose esattamente con Josh.

Si buttò sotto il getto caldo e potente della doccia. Lasciò che l'acqua scivolasse sul suo corpo tonico e magro, ritrovando giovamento per qualche minuto. 

Mentre si guardava allo specchio compiaciuto, osservando quanto il suo abito di Tom Ford gli cadesse a pennello, il telefono della stanza trillò. Si infilò la cornetta tra la guancia e la spalla, mentre si allacciava l'orologio da polso vintage.
«Pronto?»
«Mister Cooper, la aspettano.»
«Scendo subito, grazie.»

In tre minuti fu nella hall, avvolto nel suo cappotto nero in lana. Le suole delle sneakers bianche da tennis stridevano sul lucido pavimento in marmo.
Fece l'occhiolino alla receptionist, Francesca forse, non ricordava. Lei lo salutò timida, con un largo sorriso, che lui ignorò.

Il calore nell'auto lo investì.
«Cazzo, Pat, si crepa qui dentro.»
«Io sto bene grazie e tu?» gli rispose stizzito l'amico.
«Scusami. Il jet lag mi rende nervoso.»

Richard rivolse lo sguardo verso Patrick Grant per la prima volta in due anni, e lo trovò molto diverso. Non nell'aspetto, ma negli occhi, ora più maturi. Allargò la bocca in un ampio sorriso. «Ti vedo benissimo Pat, davvero! Come te la passi?»
«Bene, Rick, grazie. Andiamo al Gentleman's club, lì non ci disturberà nessuno e potrai raccontarmi come vanno le cose a New York.»
Richard sbuffò.
«Sì lo so. Niente batte Londra. Ma devi portare pazienza, sai com'è fatto Charles.»
Richard lo sapeva bene. Era conscio di dover fare quello che gli chiedeva suo padre, e adesso questi aveva bisogno di lui a New York. Decise di cambiare argomento.
«Fanno ancora quel filetto squisito?»

Il Gentleman's club non aveva perso quell'atmosfera fumosa che Richard ricordava. Luci soffuse, grandi sale ricche di ritratti antichi, pannelli di legno scuro alle pareti, abat-jour da biblioteca dal vetro verde scuro e dal sinuoso sostegno in ottone dorato, poltrone in cuoio marrone, alternate a sedute rivestite da pregiate stoffe a righe dorate e blu.

«Non mi hai detto se hai chiamato Amber, alla fine - Patrick sorseggiava il suo whisky, osservandone la trasparenza a piccoli intervalli - ti ho fatto lasciare il suo numero in camera...forse lo avevi perso.»
«No, non l'ho chiamata, Pat. Ho chiuso con quel genere di donne.»
«Capisco. Mi sembrava ti fosse piaciuta l'ultima volta, è ancora single sai. Certo, è passato del tempo...»
«Si può ancora fumare qui dentro, vero?» chiese Richard frettoloso.
«Facciamoci portare qualcosa di adatto all'occasione.» Patrick fece cenno a un cameriere in abito nero e cravatta, mimando il gesto di fumare. Il cameriere annuì e scomparve dietro un ampio portale in legno finemente decorato.

«Tuo padre mi ha chiamato, oggi» riprese Patrick. Richard lo guardò annoiato.
«Lo so.»
«Dovrò tornare a New York per risolvere la questione. Se si venisse a sapere...»
«Strano che ti interessi così tanto la sorte della salma di Josh.» Richard si servì un sigaro dalla scatola che il cameriere gli porgeva.
«Era anche mio amico, Rick.»
«Ed è per onorare la sua memoria, che adesso ti fai mia sorella?»
Patrick sbarrò gli occhi, ma si ricompose subito. Richard rise.

«Non chiedermi come lo so, dovresti sapere che ho le mie fonti. E non sto dicendo che non puoi, capiamoci. - si affrettò a dire mentre fissava l'amico negli occhi - Charlotte è adulta e può fare ciò che vuole. Ma mi pare quantomeno strano che sia tu, che lei, vi ergiate a paladini del ricordo di un criminale, per poi dimenticarvene all'occorrenza.»
«Josh non era un criminale, andiamo... - Patrick ridacchiava nervoso - eri tu che ce l'avevi con lui. Forse si era insinuato in modo troppo profondo tra te e tuo padre.»
Richard rise. «Per favore Pat, continua a curare gli interessi dei mariti traditi, e non fare lo psicologo con me - rideva di gusto - So perfettamente quello che stai facendo.»
Patrick si erse sullo schienale della poltrona, in imbarazzo.

«Sto solo cercando di prendermi ciò su cui avevo messo gli occhi molti anni fa, Richard. Ho aspettato a sufficienza, non credi?» si era accigliato, e l'amico lo guardava incuriosito, ma per nulla nervoso. «Avevamo entrambi interesse a far sparire Josh, e tu lo sai. Sappi che non ho dimenticato - continuò, gli occhi fissi verso l'interlocutore - che hai fatto in modo da farmi sembrare colpevole. Ma io sono tuo amico, Rick, e non voglio complicare le cose, gli amici si aiutano» sbuffò una nuvola di fumo bianco e denso tra loro due.
«Lo so Pat, siamo amici» sottolineò di nuovo Richard. Si guardarono in un silenzio carico di parole che non volevano dirsi. «Mi occuperò io di Josh, - continuò - so dove avrebbe voluto stare.»
«Ti manca mai?» chiese Patrick, guardandolo, gli occhi velati e lucidi. Forse il fumo, forse la nostalgia.
«Mi manca avere qualcuno da cercare, Pat. Qualcuno che abbia bisogno di me, anche solo per sfidarmi» guardarono entrambi per terra.
«Andiamo» Patrick si alzò in piedi. «Metta sul conto, per favore!» disse al cameriere che li guardava da una educata distanza. «Ti porto in un posto.»

Era vero, il Patrick di un tempo non lo avrebbe mai portato lì. Il locale era all'ultimo piano di un palazzo storico, e le ampie finestre davano su Piazza della Borsa. Era elegante, la musica chill-house risuonava forte, ma non fastidiosa, e i divani eleganti erano ben frequentati.

Barman in livrea preparavano complicati cocktail a un bancone lucido davanti a una folla ordinata. Richard si guardava attorno compiaciuto. Mise un braccio sulle spalle dell'amico.
«Che ne hai fatto del Patrick Grant che conoscevo?»
«Ho cambiato molte cose di me, ma non ho perso le buone abitudini - lo guardò - come te.»
«Andiamo, non dirmi che stai ancora parlando di Amber!»
«Non saprei, mi ha sempre fatto tenerezza, quella ragazza.»
«E' una squillo, Pat. - calcò il termine squillo in faccia all'amico - Facciamoci un drink, avanti.»

Dopo dieci minuti sorseggiavano gin tonic su un divano in disparte, godendosi la musica e dando giudizi sulla presenza femminile del locale. Richard non era per nulla deluso.
Fece un cenno a una ragazza ben vestita al bancone. Lei lo raggiunse.

«Posso sedermi qui?» gli chiese. 
«Accomodati» Richard si alzò per educazione, e le fece spazio accanto a sé. La ragazza era una bruna formosa, alta, dalla vita sottile e fasciata in un tubino nero di raso che si raggrinziva proprio nei punti che lui preferiva.
«Sono Chiara, ho visto che mi osservavi» gli diede la mano, in una stretta decisa. Lui ne approfittò per trascinarla a sé.
«Sei molto attraente, Chiara. Io sono Mark.»
Chiara non si accorse della risata sommessa di Patrick, lì a fianco. Si sedettero, lui le ordinò da bere e iniziarono a chiacchierare, mentre Richard le si avvicinava in modo graduale. Aveva lo sguardo di un falco.

Dopo qualche minuto, in cui aveva osservato Richard allungare più volte una mano sotto il vestito della sua ospite, Patrick si alzò. Salutò la ragazza e strinse la mano all'amico, ridendo.
«Ci vediamo, Mark. Buona serata.»

Prelevò il suo cappotto in guardaroba e si diresse verso la macchina. Una volta dentro alla grossa Porsche dai vetri oscurati, si mise a pensare, le mani appoggiate al volante, le luci blu del display che gli illuminavano gli zigomi delicati.

Si sentiva cambiato, aveva deciso di liberarsi dei cattivi sentimenti e iniziare a vivere davvero. Voleva prendersi Charlotte, che aveva sempre considerato sua, e voleva riprendersi anche la sua libertà.
Ma l'amico, nonostante affermasse di essere una persona nuova, non aveva perso l'abitudine di giocare con la vita delle persone.

Ripensò ad Amber, la squillo che Richard aveva frequentato per un po', quando a Trieste ci veniva più spesso, anni prima. Lei si era innamorata e lui l'aveva riempita di soldi, solo per poter fare di lei ciò che voleva.

Patrick conosceva bene l'indole nascosta dell'amico, ma non lo aveva mai dato a vedere. Sapeva che non si doveva ostacolare Richard Cooper in alcun modo, e che quel guizzo di vita che ogni tanto attraversava il suo sguardo poteva nascondere i desideri più bassi dell'animo umano.

L'ultima volta, ricordò Patrick, Amber era scappata dalla stanza d'hotel in cui era con l'amico, piena di lividi e segni di legature, giurando che non vi sarebbe più tornata. Ma ora aveva bisogno di soldi e aveva chiesto a Patrick di combinarle un incontro.
Non sapeva, pensava quest'ultimo, che forse aveva schivato un proiettile. E non solo per modo di dire.

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