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Capitolo 1 - Charlotte

Charlotte spalancò gli occhi.

La luce inondava la stanza, il sole filtrava dalle ampie finestre della camera da letto, oltrepassando le tende azzurro polvere, appena scostate.
Si stiracchiò. Il pigiama le scivolava sulla pelle liscia mentre tendeva le mani verso la spalliera del letto e allungava i piedi fino a sentire le dita scricchiolare. Mentre sbadigliava fece mente locale e guardò l'orologio sul comodino: erano le nove in punto.
La sera prima era arrivata a Trieste, di ritorno in Italia dopo una lunga vacanza a New York dove abitava suo padre e il resto della sua famiglia. Charlotte viveva in Italia da circa tre anni, ossia da quando Josh, il suo ragazzo, era morto. Aveva approfittato del fatto che molti suoi amici ci vivevano, ed era il posto più lontano dove poteva andare perché lui non le venisse in mente.

Ora non pensava quasi più a lui.
Viveva in una spaziosa e signorile palazzina liberty vicino all'Orto botanico: la casa si sviluppava su tre piani, era circondata da un esteso giardino inglese, e Charlotte l'aveva arredata con gusto. Aveva unito pezzi ereditati dell'epoca della palazzina, che risaliva al primo novecento, a elementi moderni e intramontabili e altri cimeli di suo fratello Christopher, il precedente inquilino.
Amava quella casa.
Era stato il nido d'amore di Charles Cooper e Linda, i suoi genitori, in un tempo in cui né lei, né i suoi fratelli esistevano e loro erano solo due studenti inglesi a cui piacevano la barca a vela e le serate mondane.

Si alzò e camminò verso la cabina armadio mentre Neri, un enorme meticcio di tre anni che assomigliava a un Pastore Tedesco, si alzava di scatto per seguirla. Charlotte lo salutò e si piegò in ginocchio per dargli una sana grattata alle orecchie, cosa che l'ammasso di pelo apprezzò tantissimo.
Charlotte e Neri erano uno l'ombra dell'altra, e non si erano mai separati da quando lei lo aveva trovato sul ciglio di una strada sul Carso, fuori Trieste.

Guardò la cabina armadio stancamente: un universo di stoffe e colori era disposto in modo ordinato negli armadi a vetro trasparenti e sull'isola in marmo bianco che si stagliava al centro della stanza.
Charlotte aveva due grandi certezze per quello che riguardava la moda: Ralph Lauren le mostrava la strada quando si trattava di uomini, mentre quando si trattava di lavoro chiedeva consiglio a Calvin Klein. Era sempre stato così.

Si diresse verso il bagno in marmo grigio e si guardò allo specchio. Doveva sbrigarsi.
Una doccia veloce e un trucco leggero, che mettesse in risalto la sua pelle chiara e gli occhi azzurri. Spazzolò i capelli biondi vigorosamente e li raccolse in una morbida coda di cavallo.

Quel giorno toccava a Ralph Lauren, ed era chiaro che c'entrava un uomo.
Charlotte scelse una camicia maschile bianca con il colletto inamidato, dei pantaloni blu notte a sigaretta e un maglione beige di lana. Lo appoggiò sulle spalle e si diresse verso le scale, seguita da vicino da un Neri scodinzolante.

Afferrò gli occhiali da sole, il guinzaglio in pelle di Neri e le chiavi di casa.
Maledizione il cellulare.
Corse verso la camera da letto e trovò il telefono sul comodino. Scorse le notifiche mentre tornava indietro. Si bloccò nel corridoio.
Non vedo l'ora di vederti lesse. Un fremito le corse lungo la schiena, mentre un piccolo crampo allo stomaco la mise in allerta. Era nervosa. Ma era anche in ritardo, quindi scese come una furia lungo le scale, afferrò il cappotto blu in lana e una volta che Neri fu uscito con tutta la sua stazza dalla pesante porta in legno blindata, la chiuse a doppia mandata.

Ricordava perfettamente che suo padre l'aveva chiamata un numero indefinito di volte per convincerla a incontrare il suo peggior nemico, come lo avrebbero definito in un romanzo. Ma lei semplicemente, per settimane se non mesi, non ne aveva voluto sapere.
Charles l'aveva supplicata, dicendole che l'odio che provava era ingiustificato, che i suoi ricordi erano confusi, che doveva dargli una possibilità.
«É un caro ragazzo, Charlotte - le aveva detto con calma sostenuta l'ultima volta che si erano visti - Vuole solo raccontarti per bene come sono andate le cose. Chissà che con il tempo, tu non ti renda conto che il ragazzo giusto per te è proprio a una spanna dal tuo naso» aveva terminato con una risatina, sbuffandole una nuvola di fumo di sigaro a poca distanza dal viso.
Lei si stupì del fatto che Josh fosse morto da tre anni e tutti sembravano essersene dimenticati, mentre a casa lei teneva ancora una sua maglietta nascosta in un cassetto.

In un flash rivide l'erba verde, la lapide chiara un po' scalfita, le foglie arancioni di ottobre che danzavano in un mulinello e si appoggiavano sulla L di Lewitt Brown, incisa vicino alla parola Joshua, scritta in un corsivo poetico che non aveva niente a che vedere con quello che sarebbe piaciuto davvero a lui.
Suo padre piangeva, suo fratello Richard stava con il capo chino in un dolore raccolto. A fianco, lo sguardo nascosto dietro i suoi Persol, in cappotto grigio, c'era lui: sembrava immune a tutto, rigido, impassibile e il suo sguardo era rivolto verso di lei.

Sostenuta dal fratello Christopher, Charlotte aveva fatto appello a tutte le sue forze per esserci e donare un saluto dignitoso a quello che era stato il suo ragazzo nei cinque, intensi, drammatici, anni precedenti.
Avevano gettato una manciata di terra ciascuno e la bara era scesa con qualche strattone in una misera buca nel cimitero di Cedar Grove, nel Queens. Subito dopo, lui si era avvicinato e le aveva stretto la mano.
«Mi dispiace - le aveva detto - so che stai soffrendo molto» si era tolto gli occhiali da sole e lei aveva potuto finalmente guardarlo negli occhi.
«Vai a farti fottere!» gli aveva gridato. Chris l'aveva portata via a forza scusandosi, e da quel momento non ricordava più nulla.

Non sapeva perché adesso stava andando ad incontrarlo, forse era arrivato il momento di avere le risposte che le aveva promesso. L'aveva chiamata qualche giorno prima e l'aveva costretta ad ascoltarlo, usando quelle fini tecniche da avvocato che aveva imparato proprio da suo padre. Lei, per far piacere a Charles, si era fatta finalmente irretire e ora eccola lì, che seguiva Neri in quella giornata ventosa per raggiungere il bar dove avevano un appuntamento.

Charlotte non sapeva cosa gli avrebbe detto, sperava che lui parlasse spontaneamente, ma era pronta ad andarsene se la conversazione avesse preso una brutta piega.

Scrutava la porta di vetro del bar dall'altra parte della strada e si sentiva bloccata. Lo intravedeva bere il suo espresso, e ogni tanto sbirciare il pesante orologio che aveva al polso, controllando quanto lei fosse in ritardo.
La posizione sicura, la seduta impegnata, le sopracciglia aggrottate. Lei lo spiava da dietro i passanti che attraversavano e non si decideva.

Finalmente lui alzò lo sguardo e i loro occhi si incontrarono.

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