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8) Punizione divina

Disorientata.
È così che mi sento mentre attraverso il grande salone dell'attico in cui Ethan Price mi ha portata. La luce del sole penetra dalle grandi vetrate ai due lati della stanza, e le piastre di marmo nere con sottili venature bianche sono lucide sotto ai miei piedi.
Tutto è perfettamente disposto anche qui. Come una foto tratta dal volantino di un negozio di arredamento.

«Deve essere bello», commento, rompendo il silenzio. I miei occhi vagano da un lato all'altro del grande open space, mentre lui armeggia all'angolo bar.

«Cosa?», chiede voltandosi per guardarmi con espressione corrucciata, prima di tornare a darmi le spalle per riporre una bottiglia sulla lunga mensola a parete.

Non gli rispondo, perché mi stringo ad un angolo del grande divano nero, come alla ricerca di sicurezza. Quindi vedo Ethan avvicinarsi con due bicchieri contenenti un liquido ambrato. Me ne porge uno, e dall'aromatico odore che mi sfiora le narici, capisco trattarsi di bourbon.
Con una leggera smorfia abbandono il drink sul tavolino e con gli occhi percorro ogni centimetro dello spazioso ambiente, mentre lui lo butta giù tutto d'un sorso.

«Svegliarsi in un posto del genere tutte le mattine, dico. Deve essere bello.
E anche avere delle persone disposte a farsi umiliare fingendosi i tuoi UmpaLumpa personali.», continuo con sarcasmo, lanciandogli una breve occhiataccia.
Non mi sono mai piaciute le persone maleducate e irrispettose. Per quanto si possa essere belli, ricchi o egoisti come lui, nulla ti vieta di essere gentile con chi ti sta intorno.

Lui inclina il capo, cercando di nascondere un sorriso divertito dietro il bicchiere.
Dimentichi che hai una futura reporter davanti a te, caro Signor Price.

«Immagino di sì.» concorda con me, lasciando una scia leggera del suo dolce profumo quando mi dà le spalle per bearsi della vista mozzafiato da una delle vetrate.
«Immagini?», adesso anche io mi avvicino per studiare meglio la sua espressione.

«Sì. Non vengo qui molto spesso.», replica con voce appena percettibile, come se lo stesse ammettendo più a se stesso che a me.
Studio la sua fronte aggrottata e gli occhi persi nel vuoto davanti a noi, e le miriade di dubbi che avevo su lui sembrano moltiplicarsi.
Anche Ethan ruota il capo verso di me, con la solita aura cupa ad incorniciargli i lineamenti.

E non so per quanto restiamo a fissarci senza dire niente, con la luce del giorno a sfiorarci la pelle e un silenzio pieno di domande senza risposta.
Sei così bello, Ethan.
Ma cos'è che ci tieni tanto a nascondere dietro a questa facciata di perfezione?

Quando pone fine al nostro scambio di sguardi per andare a riempire nuovamente il suo bicchiere, percepisco una sensazione di vuoto al mio fianco. Quasi come se fossi stata chiusa in una bolla con lui per un'eternità, e tutto d'un tratto lui avesse deciso di farla scoppiare.

Mi schiarisco la voce e torno a gironzolare tra le alte colonne che separano l'ingresso dal salone e lo sterile ma sobrio mobilio bianco e nero, percependo i suoi occhi come fuoco sulla mia pelle, curiosi di esaminare ogni mio piccolo movimento.
È tutto così...freddo. Come se questo posto fosse rimasto vuoto per molto, troppo tempo, quasi a conferma delle parole dell'albergatore.
A guardare il suo atteggiamento distaccato e la tensione palpabile nella stanza, devo dedurre che sia come dice lui: questa parte dell'albergo non è particolarmente frequentata.

«Dunque», parla alle mie spalle, facendomi sussultare.
«A proposito del tuo articolo...», fa una pausa per prendere un sorso dal bicchiere di cristallo, con gli occhi semichiusi puntati sulla mia figura.
Con le spalle premute contro il marmo freddo di una colonna, gli faccio cenno di continuare, concentrandomi per sostenere l'intensità delle sue iridi blu.
«Ti sono chiare le condizioni che ti ho elencato l'altra volta, giusto?», si protende in avanti appoggiando gli avambracci sulle ginocchia, con il bicchiere stretto nella mano destra.

Annuisco, ripercorrendo con la mente la conversazione a cui sta facendo riferimento.

«Bene. Lo spero davvero.», e si accascia contro lo schienale di pelle del divano, sbarazzandosi della giacca e allargandosi il colletto della camicia.
Mi trovo inconsapevolmente a deglutire e a distogliere lo sguardo davanti a tanta sensualità.
Sento la voce di Melanie nella mia testa che mi intima di saltargli addosso, ma mi affretto a scacciarla, concentrandomi sulle mie scarpe per nascondere il rossore delle mie guance.

«E tu? Non eri venuta a cercarmi con l'intenzione di interrogarmi, piccola Sherlock?», si lascia sfuggire una risatina, quindi prende un altro sorso del liquore.

«La puoi smettere di chiamarmi così? Il mio nome è Ginger.» puntualizzo, fulminandolo con gli occhi. Ma lui sembra non sentirmi mentre estrae una sigaretta dal pacchetto, o forse mi sta semplicemente ignorando di proposito, chi lo sa.

Ruoto gli occhi al cielo e prendo coraggio per sedermi a poca distanza da lui.
«Cos'hai a che fare tu con Rafael Riviera? Perché è qui a Las Vegas? Sei coinvolto nei suoi affari? E che genere di affari?», lo inondo di domande come un fiume in piena, pregando di riuscire una volta per tutte ad arrivare al dunque della mia presenza in questo luogo. E per quanto vorrei chiedergli della ragazza della foto, mi trattengo dal farlo.
Non sono affari che mi riguardano.

«Woah, woah, woah. Una domanda alla volta, Sherlock.», mi riprende, passandosi una mano tra i capelli neri prima di inspirare profondamente una boccata di tabacco.

Sbuffo infastidita, quindi incrocio le braccia al petto e lo inchiodo con uno sguardo deciso, imponendogli di rispondermi.

Ethan spegne e abbandona la cicca della sigaretta nel posacenere, e dopo qualche minuto di riflessione è lui a lasciarmi senza parole «Tu ti fidi di me?»

«C-come?» chiedo, attonita. Analizzo la sua espressione per capire se sia o meno serio.

«Hai sentito. Ti fidi di me?» adesso è lui a bloccare le sue iridi su di me, impedendo qualsiasi movimento da parte mia. L'intensità dei suoi occhi mi paralizza e toglie il respiro, per cui mi trovo costretta a chiudere i miei prima di rispondergli.

Lascio fuoriuscire un po' di aria dalla bocca.
«Che razza di domanda è, scusa? Hai messo qualcosa in quel drink che ti sta facendo parlare così?»

«Rispondi alla mia domanda.», ordina con fare perentorio.

«Certo che no! Cosa te lo fa pensare?» scatto in piedi, cominciano a fare avanti e indietro sotto al suo vigile sguardo.
«Tu sei il proprietario di questo albergo e io una tua ospite. Per giunta, ti conosco appena. So solo che la notte ti piace pestare a sangue le persone e la mattina maltrattare i tuoi dipendenti. E aggiungiamoci quelle poche informazioni sul tuo conto riportate sul web non proprio positive.»
Le sue sopracciglia aggrottate mi fanno capire che è ancora in attesa di una risposta definitiva da parte mia. «Quindi no, Signor Price. Non mi fido di lei.», concludo con un pizzico di soddisfazione.

Eppure, dal suo sorrisetto appena accennato, deduco che è proprio questa la risposta che si aspettasse da parte mia.
«Cosa c'è di tanto divertente?», mi fermo in mezzo alla stanza, con le dita premute sui fianchi.
«Niente.», replica immediatamente passando la lingua sulle labbra, quindi alza le mani in segno di resa e scuote la testa.
Si sta beffando di me. È evidente.

Adesso mi pianto davanti a lui con le braccia strette sotto al seno. Pretendo una risposta.
Mi sono stancata di questi suoi insulsi giochetti. Non riuscirà a sviarmi dal portare a termine il mio lavoro.

Quando però anche lui si alza in piedi e mi sovrasta con la sua altezza e il respiro caldo mi sposta una ciocca di capelli, mi trovo a deglutire pesantemente e a sforzarmi di mettere insieme due sillabe di senso compiuto.
Avanti, Ginger. Non puoi farti fregare così. È solo un bel faccino. Non puoi dargliela vinta così facilmente.

Vorrei intimargli di darmi una risposta, ma rimango con la bocca socchiusa quando con un tocco delicato e quasi impercettibile riporta quella piccola ciocca sfuggita dalla mia acconciatura dietro l'orecchio. E rimango bloccata a fissare il suo sguardo vuoto mentre Ethan Price sembra perdersi per l'ennesima volta tra i suoi pensieri.

«Cosa ho detto di tanto buffo?», la voce mi esce come un sussurro appena udibile.

Lui china il capo, un gesto che gli scompiglia il ciuffo di capelli neri. È quando scoppia a ridere, mettendo in mostra i denti bianchi e perfettamente allineati che un tuffo al cuore mi fa dimenticare le brutte cose che so su di lui.
E se in questo momento mi chiedessero di classificare la risata più bella mai sentita, sarebbe senz'altro la sua. Per un breve istante, sembra una persona completamente diversa.
«Per prima cosa, chi è che usa ancora l'aggettivo "buffo"? Cosa sei, una bambina delle medie?», sorride, il petto ancora scosso dalle ultime tracce della sua risata.

Gonfio le guance, stizzita.
«Beh. Io lo uso. E con questo?», mi decido a dargli le spalle, camminando nella direzione opposta, fino a quando sono sufficientemente lontana da non sentire più il suo fiato sul mio collo e aggiungere: «E la seconda cosa? Quale sarebbe?»

«Questo.», allarga le braccia, come se così potesse aiutarmi a capire.

«Questo, cosa?», domando ormai al limite.

«Mi hai seguito qui senza nemmeno sapere dove ti stessi portando.», avanza lentamente nella mia direzione, un lieve accenno di sorriso ad accompagnarlo.

«E con questo? Non capisco dove tu voglia andare a parare.»
«Per essere un'investigatrice sei poco perspicace, piccola Sherlock.», si ferma a pochi metri da me.
«Mi chiamo Ginger. Quante volte te lo devo ancora dire? Devo farti lo spelling? E sono una giornalista.» gli punto un indice contro.

«Comunque sia, dici di non fidarti di me», muove qualche altro passo verso di me.
«Infatti», confermo.

«E allora perché ti sei fatta portare qui? Perché sei venuta a cercarmi?», indaga.

«Ma—ma che razza di pensieri ti frullano per la testa? O quei drink sono per davvero avvelenati o tu hai seriamente bisogno di farti una vacanza al manicomio», detto questo, mi convinco che è giunta l'ora di andarmene da questo attico. L'atmosfera è diventata soffocante.

«E sai bene il motivo per cui sono venuta con te. Per oggi finisce qui, perché la tua arroganza ha oltrepassato il mio livello di sopportazione. Ma giuraci che prima o poi mi dirai quello che voglio sapere. Puoi contarci.» e sto per chiudermi la porta alle spalle, abbandonandolo in piedi nel bel mezzo dell'imponente salone, quando la sua voce raggiunge le mie orecchie e mi blocco sui miei passi.
«Non hai idea a cosa stai andando in contro» sentenzia.
«Sì, invece. Eccome se ce l'ho. Altrimenti non sarei qui», mi giro per guardarlo negli occhi. L'espressione seria con cui mi parla mi provoca una fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco che decido di ignorare.

Muove la testa, dei brevi movimenti da una parte all'altra in segno di disaccordo.
«No, invece. Non ne hai la più pallida idea.»

Detto questo torna a darmi le spalle, abbassandosi a recuperare il bicchiere che avevo abbandonato sul tavolino e ingoiarne il contenuto in un solo sorso.
Deglutisco pesantemente, e nel tragitto dall'ascensore alla hall dell'hotel, mi sforzo di scacciare il brutto presentimento che si è impossessato di me.
Questo non fa che farmi sorgere ulteriori dubbi, a cui, adesso, si aggiunge anche un velato senso di inquietudine.

Anche quando le porte automatiche si aprono e una voce meccanica mi annuncia di essere arrivata al piano terra, questi sentimenti non mi abbandonano. E, anzi, se possibile, aumentano a dismisura.

«Ginger! Ma tu cosa ci fai qui?», la voce squillante di Jennifer mi fa sussultare, cogliendomi alla sprovvista e perforandomi i timpani, così come i suoi capelli biondi acconciati in perfetti boccoli arrotondati per poco non mi accecano.

Cosa ci fa lei, qui, piuttosto.
E perché sembra sempre essere appena uscita da una rivista di moda?
Dimmi, Universo? Ce l'hai con me, per caso?
È una sorta di punizione divina per tutti gli sbagli che continuo a commettere nella vita?

«I-io, sono qui per—» e per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva quando alle spalle di Brian, il fidanzato di mia cugina, anche lui inquietantemente impeccabile come un bambolotto Ken, vedo passare Rafael Riviera. E a pochi passi da lui, sbucato da chissà dove, Ethan Price.

«Per...?», Jennifer mi persuade a continuare, aggrottando la fronte priva del minimo cenno di rughe.
Perché deve essere così fastidiosamente perfetta?

«Beh, io sono qui per...per—», boccheggio, cercando qualcosa di sensato da dire. Ed è così che, senza pensarci troppo, butto giù la prima cosa che mi passa per la testa e di cui mi pento nell'istante immediatamente successivo.
«Sono venuta a trovare il mio fidanzato», con la coda dell'occhio vedo l'espressione accigliata di Ethan Price.
Distolgo subito lo sguardo, concentrandomi su mia cugina.
Non ti avvicinare.
Ti prego, non lo fare.

«E lui dov'è?», Jennifer si guarda intorno, appoggiando sui fianchi le mani con le unghie laccate di un rosso a regola d'arte, mentre Brian si rivolge ad un facchino per le loro valigie.

Mi guardo intorno alla ricerca di una vittima sacrificale, ma alla fine mi trovo a rispondere:
«Dietro di te», mi esce come un sussurro appena percettibile.
Lei si volta completamente e io intanto sposto il peso da un piede all'altro, cominciando a sudare freddo. Quindi provo a chiamare l'ascensore per svignarmela da qui prima che lei riesca a capire a chi io mi stia riferendo, ma quelle più vicine a me sono entrambe occupate, e le altre due sono dietro all'albergatore.

Trattengo un grugnito di frustrazione e quando riesco finalmente a richiamare l'ascensore dal decimo piano, lo incito a voce bassa ad arrivare il prima possibile.

«Ah, eccolo lì! Sta venendo nella nostra direzione.» esulta mia cugina, indicando Ethan.
Sposto frettolosamente gli occhi per leggere che il mio mezzo di fuga si trova ancora al terzo piano.
E muoviti, maledizione!
Devo andarmene prima che sia troppo tardi e questa giornata si trasformi a tutti gli effetti in una stramaledetta sitcom.

Ma quando le porte metalliche si aprono davanti a me e sto per muovere il primo passo al suo interno, una voce profonda e ormai fin troppo familiare provoca un brivido che mi percorre la schiena. «Salve. Tutto bene, qui?», si rivolge con tono tranquillo alla mia odiosa consanguinea, ignara di chi lui sia.

«Ciao! Molto piacere di conoscerti. Io sono Jennifer, la cugina di Ginger. Lei ti avrà sicuramente parlato di me», gli stringe la mano con fin troppa foga e le faccette fresche di dentista messe in mostra, cogliendolo alla sprovvista.
E va bene, ho capito. Sono in trappola.
Mi tocca affrontare anche questa assurdità, oggi. È la ciliegina sulla torta.
Però facciamolo in fretta e in modo indolore. Così posso tornarmene in camera e fiondarmi giù dal balcone come avrei dovuto fare già qualche giorno fa. O, ancora meglio, scappare verso il tramonto in sella alla moto di uno di quei motociclisti a pochi isolati da qui.

«Ehm...no. In realtà no.», ribatte lui, visibilmente confuso. Sposta l'attenzione su di me per cercare di comprendere cosa stia succedendo, ma io lo ignoro e mi concentro su Jennifer che adesso mi fulmina con i suoi occhi di un azzurro glaciale. «Ma davvero?», sibila tra i denti, con un sorriso forzato e le mani strette in due pugni lungo il suo corpo minuto.

«No, Jennifer. Scusa, sono...cioè, siamo stati troppo impegnati ultimamente. Infatti ora devo, o meglio, dobbiamo andare.» ridacchio nervosamente parole senza senso.

«Vero, tesoro?» mi stringo al braccio di Ethan come fosse la cosa più naturale al mondo, ma percepisco il modo in cui questo mio gesto lo abbia fatto irrigidire. Tuttavia non dice niente e anche quando stiamo per entrare in ascensore,
mi tiene il gioco.

«Allora potremmo incontrarci domani a pranzo al ristorante dell'hotel, che ne dite? È da un po' che non ci aggiorniamo sulle nostre vite, in effetti. E io ho delle importanti novità!Che te ne pare, Ginger?» mia cugina indica se stessa e Brian, che nel frattempo è tornato al suo fianco per annuire d'accordo con lei.
Esisterà mai coppia più insopportabile di loro?

La sua proposta per poco non mi fa venire voglia di scappare da uno dei motociclisti, e
il Signor Price, probabilmente notando la mia ultima briciola di pazienza abbandonarmi, replica al mio posto.
«Certo. Ne discuteremo senz'altro—»,
«Jennifer», conclude per lui mia cugina, non riuscendo a nascondere il suo tic nervoso all'occhio.

Saluto con un frivolo gesto della mano Barbie e Ken, e Ethan rivolge loro un cenno con il capo.

Quando le porte si chiudono e l'ascensore comincia a salire, chiudo gli occhi e lascio fuoriuscire un respiro di sollievo dalle labbra.

«Puoi lasciarmi andare, adesso», la voce del mio accompagnatore mi riporta alla realtà, accennando alla mia mano ancora stretta attorno a lui.
Mi allontano come scottata, acquattandomi alla parete opposta e mordo l'interno della guancia. Un crescente imbarazzo e senso di vergogna mi pervadono mentre spero che non mi chieda niente di quanto appena successo. Almeno per oggi.

Ma lui è Ethan Price. L'uomo più detestabile sulla faccia di questo pianeta, quindi non può resistere alla tentazione di costringermi a mettermi in ridicolo.
«Cosa è appena successo?». Il tono pungente con cui me lo chiede mi costringe a portarmi una mano sugli occhi, esasperata.
Ma quest'ascensore si decide a darsi una mossa?
Vedendo che non ho intenzione di rispondere lo sento sbuffare e imprecare qualcosa di incomprensibile a bassa voce, anche lui evidentemente spazientito.

Finalmente giungo al mio piano e senza mai girarmi, ma percependo il suo sguardo sconvolto e furibondo sulla mia nuca, rispondo alla sua domanda.
«Era mia cugina con il suo fidanzato. Le ho detto che io e te stiamo insieme.», lo butto fuori come un soffio, quindi mi volto per osservare la sua reazione.
Quel che invece intravedo attraverso lo spazio che separa le porte dell'ascensore un attimo prima che si chiudano, è l'occhiata omicida che mi rivolge.

Arrivata nella mia stanza, mi getto a capofitto sul materasso, con le uniche speranze di riuscire ad addormentarmi al più presto, e che quando domani aprirò gli occhi, potrò felicemente constatare che questa tremenda giornata, in realtà, è stata nient'altro che un semplice e raccapricciante incubo.

•••
Okay, non c'è dubbio. Questo è senz'altro il capitolo più lungo che io abbia mai scritto 🤔

Quel che posso dirvi, è che quelli che seguiranno saranno senza dubbio i capitoli più travolgenti.
Preparatevi ad una bella montagna russa, perché si comincia a vederne delle belle 🤣

Mi auguro anche oggi di essere riuscita a strapparvi un sorriso e ringrazio tutti voi che mi leggete. Anche i lettori silenziosi.

Un bacio e buonanotte ❤️

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