Tre✨🦋
Ed è questo che voglio veramente, che tu torni da me a qualsiasi costo.
-Lily James, Cinderella-
*
Il mare era il mio secondo luogo preferito. Era stato Alex a mostrarmi tutta la sua meraviglia: quando esso era calmo, si poteva trovare la pace e la serenità che tanto si agognava; quando era in atto una tempesta, l'animo era inquieto.
Quel giorno il cielo scuro minacciava di piovere e le onde alte, provenienti dagli abissi del mare, facevano presagire l'arrivo di una tormenta. Io non mi facevo né vedere né sentire da ben nove giorni e Alex era alquanto preoccupato. Diceva a se stesso che mi aveva dato abbastanza tempo per pensare e per restare da sola. La mia lontananza lo uccideva dentro e lentamente, e negli ultimi due giorni era ricaduto nel precipizio, facendosi di cocaina con i suoi amici.
Alex era consapevole che toccare quella merda gli faceva solo del male, ma il fatto che fossi così lontana dal suo cuore, lo faceva essere così solo, da portarlo a sentirsi inutile e impotente. Se poi considerava il fatto che la madre gli faceva pressione per lasciarmi, il suo nervosismo si trasformava in rabbia repressa.
Alex aveva puntato gli occhi al cielo dalla finestra della sua camera ed era convinto che se fosse uscito in quel momento mi avrebbe trovata sulla spiaggia, seduta a gambe incrociate, ad osservare il mare muoversi con tutta la sua potenza. Non ci aveva pensato due volte e si era diretto verso la spiaggia; solo venti minuti di macchina e sarebbe arrivato.
Come previsto Alex mi aveva trovata seduta su un masso, posto sulla sabbia. I capelli rossi svolazzavano da una parte all'altra visti da dietro e, una volta arrivato dietro di me, aveva notato che avevo gli occhi chiusi. Io avevo un contatto speciale con la natura e non avevo paura di certo del temporale che sarebbe scoppiato da lì a poco.
Avevo già sentito la presenza di Alex dietro le mie spalle, ma quando lui mi aveva posato un bacio tra i capelli, mi ero rilassata visibilmente. Dopodiché, lui si era seduto dietro di me e io avevo poggiato la mia schiena al suo petto.
«Mi dispiace essere sparita», avevo sussurrato, beandomi del leggero venticello che si era alzato.
«Perché non torniamo nel mio appartamento?» aveva domandato Alex, facendo finta che la mia assenza non gli faceva male.
Alex aveva comprato casa appena compiuti i diciotto anni. Era piuttosto entusiasta all'idea di andare a vivere da solo e i suoi genitori, persone d'affari quali erano, non avevano mai avuto da dire sulla sua decisione di prendere un appartamento tutto per sé. In ogni caso, avevo acconsentito ad andarmene dalla spiaggia, per trovare rifugio a casa di Alex, in quanto piccole gocce di pioggia iniziavano a scendere dal cielo grigio.
«Senti, qualsiasi problema tu abbia, puoi parlarmene, Frà», aveva detto Alex, mentre guidava per tornare in città.
«E tu? Mi parlarai mai di ciò che ti affligge? Di cosa fai quando i fine settimana non ti fai vedere?» avevo chiesto con un velo di tristezza.
Capitava delle volte che Alex, dovendo fare alcuni lavoretti, spariva nel nulla. Io non mi ero mai permessa di chiedergli il reale motivo, l'importante che lui non mi faceva domande sulle mie sparizioni. Nell'ultimo periodo però mi stavo allontanando, anche se non mi sembrava giusto comportarmi in modo distaccato, poiché Alex era stato l'unico in grado di farmi quasi superare il periodo più brutto della mia vita.
Dopo quelle domande, nessuno dei due aveva parlato più; anzi, in auto si sentivano soltanto le dita di Alex che tamburellavano sullo sterzo. D'un tratto, Donna Ginevra aveva fatto squillare il telefono del figlio, il quale prontamente aveva risposto. Alex sapeva che, tardi o presto, Don Filippo lo avrebbe richiamato per la consegna della droga e, quando rispose al telefono, la madre gliene aveva dato conferma.
«Devo andare adesso», aveva sentenziato Alex, non appena era arrivato davanti casa mia.
«Avevi detto che saremmo andati da te».
«Cambio di programma, ma mi farò perdonare».
Ero scesa dall'auto dopo averlo salutato freddamente. Sapevo che sotto sotto Alex fosse un tipo tanto rispettabile quanto pericoloso e, ancora una volta, una sensazione strana si era fatta largo dentro di me. Avevo il timore che lui si fosse cacciato in un qualche guaio grosso, ma non pensavo minimamente che Alex poteva essere implicato in questioni mafiose. Solo chi apparteneva alla malavita sapeva la vita che conducevano gli Alessi; per la gente comune, la famiglia di Alex era solo ricca, grazie al fatto che entrambi i suoi genitori erano avvocati.
Nel frattempo, Alex era tornato a casa dei suoi genitori. All'interno, oltre il padre e la madre, c'erano Don Filippo, colui che era a capo di tutte le organizzazioni mafiose, e Pietro, suo figlio, nonché migliore amico di Alex. Lui aveva sorriso a quella vista, poiché, quando svolgeva per loro simili lavori, l'adrenalina e l'eccitazione erano a mille. Lui amava il rischio e il pericolo e faceva sempre di tutto per intromettersi negli affari di famiglia.
«Allora, quando consegneremo la roba?» aveva domandato Alex con naturalezza.
«Domani sera, non prendete impegni», aveva detto Don Filippo indicando Alex e suo figlio.
«Siamo sempre pronti, papà», aveva risposto Pietro, «e sempre a disposizione».
Don Filippo, Claudio e Donna Ginevra avevano fatto un sorriso malizioso, che indicava tutto il loro orgoglio nei confronti dei propri figli.
«Bene, prendetevi questa ultima sera di libertà. Il colpo di domani sarà grosso e il carico che faremo entrare in città sarà enorme», aveva comunicato Claudio, «avete davvero le palle di fare il lavoro sporco da soli?»
«Ovvio, papà. Ti ho mai deluso?» aveva parlato Alex sempre più carico.
Una volta finito di organizzarsi, Don Filippo aveva promesso che si sarebbe fatto sentire il giorno dopo per comunicare loro l'ora stabilita. Nel frattempo, Alex e Pietro erano usciti di casa, con l'intento di andare un po' a divertirsi. A dir la verità, una volta fuori casa l'aria si era fatta un po' tesa. Il carico di droga corrispondeva al triplo di quanto ne maneggiavano di solito, e tutto doveva filare liscio. Se i carabinieri avessero avuto qualche soffiata, era sicuro che Alex sarebbe finito dietro le sbarre. Tutto ciò non lo poteva permettere per svariati motivi, ma quello più importante era sicuramente che io non lo avrei più visto con gli stessi occhi.
Alex e Pietro erano arrivati ad un locale del centro e avevano visto seduti ad un divano i loro amici, tra cui Peppe e Alessia, i quali venivano considerati i più crudeli del loro gruppo. I due si erano avvicinati e si erano seduti, dopo aver ordinato qualche drink. Nel frattempo, Alex mi aveva inviato un messaggio, per avvisarmi che era uscito con i suoi amici e, anche se io avevo risposto con un semplice "ok", ci ero rimasta molto male, poiché mi sentivo messa in disparte.
«Alex», lo aveva chiamato Alessia ammiccando, «resti da me stanotte?»
«No», aveva risposto lui secco.
«Diamine! Quella ti sta fottendo il cervello», aveva sentenziato Alessia in preda alla rabbia, «ma sappi che quando rimarrai solo, non sarò io di certo a consolarti».
Alex aveva alzato gli occhi al cielo. Lui non aveva nessuna intenzione di ritornare tra le braccia di Alessia, tantomeno di farsi sfuggire me, l'unica ragazza che lo manteneva in vita. Così, si era allontanato per provare a chiamarmi. Io però non avevo risposto, troppo infastidita dalla sua uscita.
Il motivo principale era che a casa c'era Stefania, come quasi ormai tutte le sere. La fidanzata di Valerio era orfana di genitori, entrambi vittime di mafia, e perlopiù restava a dormire a casa nostra quando non era dalla nonna. Si poteva dire che stavano facendo una sorta di convivenza, in quanto Cinzia e Giulio, i miei genitori, avevano adibito una stanza che avanzava in casa come una sorta di camera da letto per il Valerio e Stefania. Lei era sempre la benvenuta e sentirsi nuovamente parte di una famiglia la faceva sentire al sicuro.
«Sorellina come stai?» aveva chiesto Valerio entrando in camera.
«Bene», avevo risposto la rossa sospirando.
«A me non sembra, ne vuoi parlare?»
Avevo scosso la testa in segno di negazione, in compenso avevo chiesto dove fosse finita Stefania e Valerio mi aveva risposto che stava preparando la cena con la mamma.
«Ultimamente mi sento strana», gli avevo confessato.
«Sono giorni che sei assente», mi aveva fatto notare Valerio, «se hai qualche problema, se qualcuno ti dà fastidio, devi dirmelo».
Stava uscendo fuori il fratello protettivo quale era. A Valerio si poteva dire di tutto, ma se qualcuno toccava la propria famiglia poteva considerarsi una persona morta.
«Non rispondi al telefono?» mi aveva chiesto poi accigliandosi, dopo aver visto lampeggiare sullo schermo il nome "Alex".
«No, può aspettare».
Avevo deciso di rifiutare tutte le chiamate di Alex, ben consapevole che lui si sarebbe arrabbiato e preoccupato allo stesso tempo, e che sicuramente l'indomani mattina se lo sarebbe ritrovato fuori casa.
«È stato Alex? Ti ha fatto qualcosa?» aveva ringhiato Valerio.
Anche in questo caso, mi ero persa nei miei pensieri, mentre Valerio aveva stretto talmente tanto le coperte del letto, da fare diventare le nocche bianche. La paura che sentivo era tanta e la pioggia che si era messa a battere forte alla finestra tutto d'un tratto mi aveva fatta sussultare. Tra le gocce e i fulmini però avevo notato che sul tronco dell'albero, che si vedeva dalla sua camera, si era posata una farfalla bianca. Io ero rimasta sbalordita da quel filo di luce che cercava di ricoprire tutta l'oscurità e presa da un impeto di coraggio, avevo ripreso a parlare, cercando di tirar fuori ogni sentimento che mi attanagliava dentro.
«L'altro pomeriggio mi ha chiamata Carlo», avevo confessato a mio fratello.
«Carlo? Quel Carlo?» aveva chiesto Valerio scioccato, «quel ragazzino che abitava nel nostro quartiere tanti anni fa?»
«Sì, proprio lui».
«Come ha fatto ad avere il nostro numero di casa? E perché ti ha cercata?»
«Non lo so sinceramente», avevo sospirato, «so solo che mi ha fatto un certo effetto».
«Cosa ti ha detto?» Valerio stava cercando di farmi aprire, ma neanche io sapevo come rispondere a quelle domande.
«Nulla, perché ha messo giù subito. L'ho riconosciuto soltanto perché mi ha chiamata come faceva una volta, piccola farfalla, e lui...» avevo risposto con le lacrime agli occhi.
«Lui ti manca», aveva finito la frase Valerio.
«Lui mi manca», avevo affermato tristemente.
Da quando Carlo se n'era andato, per ne nulla era stato più lo stesso. Seppure piccola, stavo iniziando a nutrire nei suoi confronti un sentimento profondo. Nonostante i nostri quattordici anni, ogni volta che Carlo mi si avvicinava, sentivo una serie di brividi invaderle tutto il corpo.
Allora ancora non riuscivo a capire il reale motivo di questa sensazione. Poi, quando Carlo era sparito, avevo preso consapevolezza del fatto che sentivo per lui una sensazione che andava al di là di ogni possibile forma d'amore; ero legata a Carlo da quel famoso filo invisibile ed ero sicura che qualunque cosa fosse successa, io avrei sentito ogni cosa. Per questo motivo, ogni volta che avevo un malessere interno, il mio pensiero si rivolgeva immediatamente a Carlo.
Non riuscivo neanche io a spiegarmelo, sapevo soltanto che era come se Carlo mi chiedesse aiuto, ma io mi sentivo angosciata, perché impotente di poter fare qualsiasi cosa, dal momento in cui non sapevo dove fosse finito il mio migliore amico.
Nel frattempo che Stefania era entrata in camera intenta a chiamare i due per cenare, il rumore di una macchina ci aveva fatto sobbalzare. Mi ero affacciata alla finestra, notando che la vecchia casa vicina stava per essere di nuovo abitata.
Il quartiere era illuminato soltanto dai lampioni e il buio della notte impediva di avere una visuale completa del quartiere. Si potevano scorgere però benissimo due figure scendere dall'auto: due uomini, probabilmente padre e figlio, vista la differenza di età evidente, stavano per portare le valigie all'interno.
D'un tratto un terzo ragazzo aveva messo piede fuori dall'automobile: alto, vestito completamente di nero e bello, bello da togliere il fiato.
Ero rimasta con il viso incollato alla finestra per capire chi fosse quel ragazzo misterioso. Ma, all'improvviso, una scarica elettrica era arrivata fin dentro la mia pelle. Non ci era stato bisogno neanche che lui mi rivolgesse l'attenzione, poiché sapevo bene di chi si trattava, nonostante negli anni fosse cambiato notevolmente.
Per questo motivo mi si era mozzato il fiato e lacrime avevano iniziato a rigarmi il viso. I singhiozzi avevano rimbombato per tutta la stanza e Valerio si era avvicinato, capendo immediatamente la mia sofferenza.
Era lui.
Era sempre stato lui.
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