Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

VIII

Kih riuscì solo a vedere un turbinio disperato di arti nell'ombra, l'ultima esalazione vitale del predatore ridotta agli spasmi di un insetto morente. La creatura continuò a contorcersi ancora per qualche attimo, i suoi latrati più assordanti che mai, prima che il suo corpo abbandonasse gli ultimi sforzi e si accasciasse esanime al suolo. Quando l'ultimo eco dei suoi ululati si disperse nell'aria frigida, Kih riuscì a compiere qualche timido passo in avanti. Qualcosa ancora pulsava lì in mezzo, tra le zampe piegate in maniera innaturale e gli artigli che gettavano ombra sull'esoscheletro. Era Vilkas, scosso da fremiti di gelo sottocutaneo, il corpo fradicio di sudore mentre cercava di estrarre la daga dal ventre della creatura.
Allarmato, Kih corse a prendere la lanterna, quasi scivolando nel tentativo, poi tornò verso l'amico per assicurarsi che stesse bene. I suoi occhi erano iniettati di sangue e il petto colto da convulsioni così forti da lasciar intravedere il profilo delle costole contro la luce bluastra.
«Kih...» mormorò. Le sue pupille si abbassarono a fissare il braccio e Kih sentì il terrore torcergli le viscere.
La proboscide della creatura, forse negli ultimi istanti di vita, si era conficcata nell'avambraccio di Vilkas ancorandosi alla pelle con il pungiglione bluastro che riluceva sulla punta. Kih dovette lottare con tutte le sue forze per rimanere lucido, le gambe già cedevoli per lo shock, e ogni pensiero s'infranse lasciando spazio solo all'incredulità.
«No...» riuscì a malapena a gracchiare, la voce strozzata dal terrore.
Corse come un ossesso, le gambe scoordinate come arti di opilionide, e si precipitò verso il compagno boccheggiando nella penombra. Cadde quindi sulle ginocchia e fissò Vilkas negli occhi lucidi prima di abbassarli sull'avambraccio. La proboscide non si era conficcata in profondità nei muscoli, ma il veleno stava già fluendo nelle vene gonfiandole del lerciume nerastro che preannunciava la necrosi. Kih armeggiò con l'esuvia che giaceva a terra dopo il lancio, slacciando la fibbia con le mani che tremavano incontrollabilmente. Rovistò con gesti bruschi e disperati, strappando la tela e raschiando la pelle finché le sue dita non si strinsero intorno a una fiala contenente del liquido. Allora la stappò e senza dire una parola afferrò la testa del compagno e gliene rovesciò il contenuto nella gola. Vilkas ingollò senza discutere, gli occhi strabuzzati e la pelle che si gonfiava dove il sangue era già guasto. La sostanza trasparente sembrò gettare un nuovo fuoco dentro di lui, perché si mise a tossire come un dannato. Si strappò la proboscide dal braccio e inspirò con forza per gonfiarsi il torace dopo che la creatura gliel'aveva schiacciato, senza smettere di tossire. Riuscì a fermarsi solo dopo diverso tempo, quando i muscoli della sua gola erano troppo fiacchi per continuare, e ruotò la mascella che sentiva indolenzita.
«Merda» gracidò, la voce più rauca del solito.
Kih non rispose, ancora troppo invaso dall'angoscia che gli paralizzava ogni muscolo.
«Mi ha colpito. Speravo non accadesse» continuò Vilkas, osservando il foro che gli era rimasto sull'avambraccio. La carne stava già marcendo, corrosa dall'acido che la creatura gli aveva iniettato insieme al veleno, e le vene si erano fatte bulbose sotto il derma.
«Tu stai bene?»
Kih dovette inspirare a fondo prima di rispondere.
«Sì, sto bene» si limitò a rispondere, la voce intrisa di sconcerto e dolore. Le pupille di entrambi i compagni istintivamente saettarono verso il basso, dove la creatura sotto il lago continuava a proiettare la sua luce spettrale verso l'alto. Dovevano andarsene subito.
«Che cosa mi hai dato? Un antidoto?» Vilkas sbatté le palpebre più volte e strabuzzò gli occhi, massaggiandosi il braccio dove il pungiglione lo aveva colpito. Lievi contrazioni muscolari gli stiravano la pelle esternando la disperata lotta chimica che stava avendo luogo all'interno del corpo.
«Precisamente» rispose Kih, rimettendosi in spalla l'esuvia in fretta e furia. Si chinò per aiutare il compagno a rialzarsi, la lucciola all'interno della lanterna che friniva e saltellava nervosa picchiettando contro le pareti di vetro.
«Allora hai riconosciuto questa bestia?»
«No,» Kih sollevò di peso Vilkas e levò di torno gli artigli della creatura per permettergli di restare saldamente in piedi «non so che cosa ci ha attaccato. Gli accademici non mettono piede in queste terre. Quello che ti ho dato è un antidoto universale. È un distillato rarissimo, prodotto da ambre millenarie del ghermulo dei Meaponidi. Una sola fiala costa come centoventi cicli di paga al Nucleo ed è in grado di combattere ogni tipo di veleno»
Vilkas barcollò sulle sue gambe, la schiena a un tratto piegata come se le ossa gli si fossero sciolte. Strizzava gli occhi in continuazione e il braccio colpito continuava a tremare piegato verso il petto, sempre più tumido. Kih lo resse delicatamente sotto le spalle e lo aiutò a fare qualche passo in avanti. Il panico amplificava ogni rumore attorno a lui, rendendo il brulicare dei muschi un ringhio mostruoso e lo scricchiolio del ghiaccio una minaccia stridente.
«Quindi...» balbettò Vilkas «mi salverà la vita?»
Kih lo fissò con sguardo livido. Non riusciva a mentire al suo amico, nemmeno in quello stato, vedendolo ingobbito e dilaniato dal veleno.
«Forse,» rispose a denti stretti «non posso promettertelo. Potrebbe sconfiggere l'infezione oppure tenerti in vita un altro po'. Nessuno sa come funzioni»
Dopo quelle parole, Kih avvertì la schiena del compagno irrigidirsi. L'adrenalina che il sangue aveva accumulato durante il combattimento stava iniziando a scemare, sostituita da una sensazione di livida lucidità. Finora era rimasto in sé, ma anche i soldati più preparati non erano immuni dal delirio che sopraggiungeva sentendo il corpo abbandonarsi a un'infezione come quella. Kih gli carezzò la pelle, facendolo sussultare, e si morse la lingua prima di mormorargli qualche parola di conforto all'orecchio.
«Te la caverai, non preoccuparti. Ho altre due fiale di antidoto nell'esuvia, e l'ho visto curare mali impossibili. Ce la faremo»
Uno strano risolino nervoso sfuggì di labbra a Vilkas «Senza di me saresti perduto» disse. Aveva ragione.
Kih aiutò Vilkas a procedere lungo la superficie del lago un passo alla volta, sostenendolo con il braccio avvolto intorno al collo. Si voltò per guardare un'ultima volta la carcassa della bestia che li aveva attaccati e giurò di aver intravisto informi creature sbucare dall'ombra e avventarsi sulla carne con mandibole acuminate. L'alone di luce blu continuava a seguirli, ma Kih cercava di non pensarci. Guardò davanti a sé, dove la brezza di grotta trasportava i suoi odori nauseabondi, e procedette con passo deciso. Camminava adoperando un ritmo ben definito per aiutare Vilkas, ora nuovamente silenzioso con l'eccezione di boccheggi che assomigliavano sempre più a rantoli. Ogniqualvolta egli stava per scivolare sul ghiaccio, Kih lo sosteneva e gli raddrizzava le spalle, poi accelerava il passo. Presto il profilo di una parete di roccia emerse dall'oscurità e il bagliore bluastro sotto di loro iniziò a diminuire d'intensità. L'apparizione infuse nuova speranza nel cuore martellante del geologo, che si caricò sulle spalle tutto il peso del compagno e lo trascinò verso l'orizzonte con un'energia che non sapeva di possedere. Man mano che procedevano lungo il lago, la parete si fece sempre più vicina e Kih riuscì a scorgere la cappa d'ombra che segnalava l'imboccatura di una grotta. Il vento soffiava proprio in quella direzione, più forte che mai, e il cicaleccio organico delle radici dei muschi sembrò echeggiare come un dolce richiamo dall'oscurità. Il paesaggio si fece meno desolato, con enormi stalagmiti che fuoriuscivano dal ghiaccio e polveri di basalto precipitate dal soffitto a formare una sottile ghiaia su cui i calzari facevano più presa. La luce azzurra che li aveva seguiti fino ad ora si affievolì fino a sparire una volta per tutte, come se la creatura avesse trovato un impedimento al suo percorso e fosse tornata a inabissarsi nelle profondità del lago. Ora solo la luce della lanterna illuminava la via. Ed erano quasi arrivati. Il ghiaccio divenne sempre più rado, il respiro dei due compagni sempre più pesante e il familiare odore di zolfo sempre più vicino a strapparli da quell'incubo di buio e gelo. Un rivolo di saliva colava dall'angolo della bocca di Vilkas, il suo viso contratto in un'espressione di timore allucinato e indefinito. Kih lo raddrizzò un'ultima volta prima di imboccare la galleria scavata nella parete di roccia e abbandonare definitivamente la vastità del Bacino per tornare alle strettoie di grotta carsica. Dopodiché, tirò un sospiro di sollievo.
I due compagni procedettero ancora un po' lungo la grotta, dove la temperatura si fece a un tratto molto più elevata e l'aria carica di pulviscolo vulcanico. Era meglio fare qualche altro passo per assicurarsi di essere al sicuro e che nessuna creatura li avesse seguiti lì dentro. La grotta aveva una forma piuttosto irregolare, perciò Kih non poté continuare a lungo prima che Vilkas si scrollasse di dosso il compagno e si accasciasse a terra.
«Dammi un secondo» mormorò. Kih annuì e si accucciò, posando a terra la lanterna dove la lucciola ancora scalpitava. Vilkas si sdraiò al suolo e respirò a fondo, gli occhi completamente sgranati e i muscoli irrigiditi. Stava lottando con tutte le sue forze, Kih poteva vederlo dal modo in cui stringeva i pugni e aspirava l'aria tra i denti digrignati.
«Come ti senti?» domandò.
«Come una preda d'aracnide che viene digerita viva,» rispose Vilkas, aprendo e chiudendo le dita della mano «dev'essere così che si è sentito Hallang prima di morire»
Kih tacque, il suo silenzio colmo di rimorsi.
«Se fossi stato con noi durante l'imboscata avresti potuto salvare anche lui»
«Avrei fatto di tutto per te,» mormorò il geologo «avrei salvato tutti i tuoi compagni dal veleno, se avessi potuto»
Vilkas mugugnò in segno affermativo e chiese un po' d'acqua al compagno. Dopo aver bevuto, si stiracchiò le membra e si resse in piedi sulle gambe scosse da fremiti.
«Coraggio, non perdiamo tempo» disse, volgendo lo sguardo verso il soffitto «riesco a vedere il profilo del vuoto; ci siamo già avvicinati molto»
Kih restò interdetto. Era sorprendente che Vilkas avesse ancora qualche energia in corpo dopo la somministrazione dell'antidoto.
«Porto il tuo zaino» disse. Il compagno acconsentì e i due si rimisero in marcia.
Questa volta nessun eco di fauna accompagnò la loro traversata. Il silenzio era totale, senza l'ombra di un sussurro tettonico o di un ruscello sotterraneo. Vilkas incespicava nei suoi passi, ma procedeva lungo la salita con un'espressione stoica e risoluta dipinta sul volto. Forse quella determinazione era uno dei sintomi del delirio pre-morte temuto da Kih, che camminava consumato dall'amarezza. Quella partenza era stata una liberazione solo per pochi sonni, una temporanea maschera di serenità che già si era irrimediabilmente dissolta nell'aria. Certo, Kih non era uno sprovveduto e si aspettava che prima o poi sarebbe successo qualcosa di simile. Eppure si era crogiolato in quella volatile sensazione di libertà senza immaginare quanto sarebbe stato duro il colpo. In quel momento rimpiangeva con tutto il cuore che la bestia non avesse infilzato lui al posto di Vilkas. Sarebbe stato molto più facile. Invece ora gli toccava vederlo soffrire e arrancare con quella disperata bramosia negli occhi, con quel desiderio figlio della paura della morte. Forse aveva ragione lui; forse il suo individualismo era solo un capriccio infantile più che uno slancio verso la libertà. Per essere un soldato, Vilkas era sempre stato molto saggio. E a quanto pare, per essere un accademico, Kih era sempre stato molto stupido.
Non si scambiarono molte parole mentre la strada si faceva più ripida, l'uno corroso dal veleno e l'altro dai sensi di colpa, ma i loro respiri si fecero più pesanti. Da molti sonni l'aria aveva un odore guasto, come se la composizione chimica fosse cambiata con l'altitudine e con i fumi che, salendo verso l'alto, ristagnavano nei vicoli ciechi e nelle camere magmatiche più elevate. Una delle prime domande che i Glauchi rivolgevano ai genitori era questa: se l'elovalgys era una risorsa così rara e preziosa, perché non si accontentavano del fuoco per riscaldare le case? Ebbene, il fuoco generava molto calore, era vero, ma tramutava i respiri in un fumo che poi s'intrappolava nei soffitti, negl'incavi e nei pozzi e non si dissolveva mai. Cercava invece una direzione verso cui fuggire verso l'alto, percorrendo gallerie e cunicoli antichi fino ad accumularsi in questi e pian piano riempirne lo spazio. E prima o poi, temevano i sacerdoti, sarebbe giunto il momento in cui ogni camera, galleria o grotta sopraelevata sarebbe stata riempita fino all'orlo. E un'apocalisse ne sarebbe seguita: un gran vuoto d'aria come punizione per i peccati di chi aveva ripudiato la pietra della vita. Il fuoco era impuro: le sue lingue guizzando si levavano in direzione opposta alla gravità. Esse facevano morire le colture rapendone l'aria invece di alimentarne la crescita come faceva l'elovalgys. Per questo il fuoco veniva utilizzato il meno possibile e vi si gettavano i Glauchi colpevoli di reati innominabili. Kih poteva immaginare il loro dolore man mano che l'aria assumeva sempre di più il rancido odore del fumo e la temperatura cresceva riscaldando le rocce intorno a loro. Fece cenno a Vilkas di fermarsi.
«Meglio indossare i filtri» disse, aprendo l'esuvia. Ne estrasse due maschere da minatore e aiutò il compagno a indossarne una. L'infezione sul braccio aveva rallentato il suo corso, ma non si era ancora fermata, e Vilkas teneva l'arto irrigidito contro il fianco invece di utilizzarlo per agevolare l'arrampicata. Trasse un sospiro di gratitudine mentre testava la maschera assaporando l'aria più pura. Dopodiché ricominciò subito a camminare.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro