III
Kih si svegliò di soprassalto quando udì dei forti colpi sullo scudo di vetro della lettigia. Non potendo strofinarsi gli occhi in quello spazio angusto, li chiuse e riaprì più volte finché non si abituarono all'oscurità e misero a fuoco il volto del maestro delle scuderie.
«Il Maestro Cadetto Kih dell'Accademia?»
«Sì»
«Ti faccio scendere»
Kih attese mentre le cinghie della lettigia venivano allentate e il lucanide che l'aveva trasportato fin iniziava a cibarsi dalla mangiatoia di granito. Era un insetto color verde acceso, molto ben addestrato a ripercorrere la tratta tra il Nucleo e l'Endoavamposto di Nugared e arrampicarsi in quei cunicoli scoscesi.
«Non ho mai visto nessuno addormentarsi, devi aver viaggiato molto» disse il maestro delle scuderie, aprendo il coperchio della lettigia. Kih fu lieto di potersi sgranchire braccia e gambe dopo tutto quel tempo nel sarcofago di vetro. I lucanidi erano il mezzo di trasporto più veloce, in grado di scalare gallerie verticali e coprire lunghe distanze in breve tempo, ma la cabina passeggeri era immensamente scomoda. Certo, era una necessità dato che quelle bestie, non dotate di spiccata intelligenza, la sballottavano avanti e indietro contro rocce aguzze durante la traversata.
«Ero solo molto stanco» mormorò.
«Il Capitano ti aspetta al quartier generale»
«Conosco la strada»
Kih afferrò i bagagli, insacchettati nelle esuvie di macrotèrmite, e senza indugi si diresse verso il familiare sentiero di ciottoli che dal limitare dell'accampamento conduceva al Pinnacolo: il torrione centrale scavato in un'immensa stalagmite che sovrastava l'orlo del precipizio. Le esalazioni di zolfo che risalivano dal fondo del Gran Camino riesumarono vecchie memorie; ricordi del maestro Lagozodj che con la seta e il fil di ferro tesseva complesse mappe tridimensionali e con entusiasmo spiegava come l'arricciarsi dei cunicoli rispecchiasse le sue teorie di geologia, come un complesso sistema di camini irregolari disperdesse i fumi tossici dell'abisso in antichissime camere magmatiche... Poi i due inalavano del Lichene e allora lui iniziava a parlare di misticismo teologico, di come l'acqua tendesse verso il basso, seguendo la sacra gravità e scavando le grotte che ospitavano tutta la vita di quel mondo Ma poi, una volta riscaldata dal fuoco, essa invece tendeva verso l'alto come se volesse fuggire verso un'esplorazione dell'ignoto con la stessa curiosità del dotto Glauco.
«Ho sognato delle sfere perfette,» diceva, il suo borbottio sempre più simile a una glossolalia man mano che la droga faceva effetto «delle sfere perfette di dimensioni inconcepibili per le nostre menti, che ruotano su se stesse nel buio»
E Kih rideva di quell'eresia, divertito dall'entusiasmo del maestro «Sfere di elovalgys?»
«Sfere di luce. Sfere di calore sospese nel vuoto» diceva lui, facendo sbellicare l'allievo. L'eco di quelle risa era quasi nostalgico per Kih, ora che la sua vita somigliava al vuoto stesso descritto dal suo maestro: eterno, gelido, asfissiante. Salì i gradini scavati nella roccia guardandosi intorno con gli occhi sgranati nel buio. L'accampamento era semideserto rispetto a come lo ricordava, con poche lucciole svolazzanti dentro ai lampioni e sopra i canali di scolo che trasportavano l'acqua alle colture sotterranee. I soldati che facevano la guardia alle abitazioni erano afflosciati al suolo o intorno a braci di elovalgys, stremati dal poco cibo e dagli incessanti combattimenti. La necessità di stare sempre all'erta li rendeva nevrotici, scavati come spettri, i loro occhi infossati che scrutavano Kih con sguardo minaccioso mentre questo saliva le scale verso il torrione. Una volta dentro, lasciò il mantello e la sciarpa appesi al muro e bussò alla porta del quartier generale.
«Avanti»
Kih entrò. Il Capitano Gapkaj era seduto alla sua scrivania, intento a redigere una qualche lista su fogli di carta di larva, e accolse l'apprendista cadetto con un cenno del capo.
«Ti vedo sciupato» disse «non hanno più provviste nemmeno al Nucleo Esterno? Sei più sottile di un nematode»
«Con il rialzo delle temperature la gente sta perdendo la testa,» rispose Kih «ci sono sempre più furti, sempre più messia che predicano l'apocalisse e venerano il fuoco e il sangue. Non esco spesso dal tempio»
Il Capitano manifestò il proprio assenso con un mugugno, continuando a scrivere sulla pergamena. Nel frattempo, Kih osservò i due soldati di scorta seduti accanto all'ufficiale. Gli occhi gli si illuminarono quando riconobbe il volto di Vilkas in uno dei due. Almeno lui era ancora vivo. Kih fu lieto di vederlo e lo salutò con un gesto amichevole, ma il soldato aveva lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione completamente apatica.
«Il rialzo delle temperature è senza dubbio inquietante, non è l'unico fenomeno che ci sta dando problemi» ricominciò a parlare il Capitano, alzando gli occhi dalla scrivania.
«Credevo mi aveste convocato per quello»
«No, è per via di una seccatura che ha a che fare con le miniere. I minatori si rifiutano di lavorare senza che un dotto prima investighi ciò che sta succedendo lì sotto»
Kih aggrottò la fronte. Durante le sue spedizioni nella zona in compagnia del maestro aveva già esplorato le miniere del Nugaredj, ma non presentavano un particolare interesse geologico o antropologico a differenza dell'abisso e delle rovine situate in cima. Erano delle miniere piuttosto normali, situate intorno a un comune filone di elovalgys, e l'unica loro peculiarità era quella di essere tra le più profonde di tutta la Roccia.
«Puoi dirmi di più?» domandò.
«Hanno trovato un tunnel mentre scavavano verso il basso. Dicono che lì dentro la roccia brucia la carne. Che le pareti l'attimo prima sono larghe e l'attimo dopo ti si stringono attorno»
«Che significa?» Kih restò interdetto di fronte a quelle parole.
«Non chiederlo a me, mi hanno riferito così»
«Non ha alcuna logica»
Il capitano emise un lungo sospiro «Questo è ciò che mi è stato riferito. Allucinazioni da inalazione di gas? Ne dubito, da molto tempo ormai mi annoiano con questa storia. Scenderai lì e controllerai le nuove gallerie dopo esserti riposato, così potrai verificare tu stesso il fenomeno. Magari di' ai minatori che non è nulla, così si rimettono a lavorare. Ultimamente le cose non vanno bene e non è necessario peggiorarle oltre»
Kih titubò un attimo prima di rispondere.
«Sarà fatto, Capitano»
«Bene» il Capitano si chinò nuovamente sulle proprie carte «Vilkas ti accompagnerà al tuo alloggio e farà da guardia. Aspetto presto delle teorie, o meglio, delle certezze»
«Farò del mio meglio»
«Ora va', ho da fare»
Kih chinò il capo di fronte all'ufficiale e Vilkas finalmente si sradicò da quella sua posa rigida senza proferire parola. Dopodiché, i due Glauchi uscirono dal salone e si diressero verso gli alloggi degli ospiti lungo il sentiero che costeggiava la parete dell'abisso. Kih restò in silenzio, osservando con la coda dell'occhio l'espressione impietrita del suo vecchio compagno, ed esitò a lungo prima di decidersi ad aprire bocca.
«È un piacere vedere che sei vivo»
La sua voce tremolò come un accordo floscio, pavido. Era da molti cicli che non vedeva l'amico, pertanto la possibilità che ora fosse un'altra persona lo inquietava un poco. Anche Vilkas attese qualche momento prima di rispondere, la sua mente visibilmente congestionata da pensieri cupi.
«Lo stesso vale per me»
Il cuore di Kih si scaldò un poco all'udire quella voce che non sentiva da così tanto. Niente in grado di frantumare il masso di solitudine, ma forse abbastanza da scalfirlo.
«Negli ultimi tempi sembra che tutto tenda alla morte come tende alla Sfera. I ricordi dei tuoi turni di guardia, delle storie che ci raccontavamo e delle nostre risate sono tra le poche cose che mi danno la forza di andare avanti» disse Kih.
«Io invece fatico a richiamare quei ricordi alla memoria» rispose Vilkas.
«Perché mai?»
«Più trascorro il tempo appostato nell'ombra, concentrato sulle ombre e suoni della grotta, più la mia mente sembra cancellare tutto ciò che non ne faccia parte. Non ci si può distrarre, si deve restare sempre in allerta e fondersi con l'ecosistema della Roccia un agguato dopo l'altro, un'uccisione dopo l'altra, e con ciò la mente diventa parte del buio come il corpo. Questo è ciò che mi ha dato la forza di sopravvivere»
Un amaro silenzio avvolse i due Glauchi, l'eco dei loro passi che rimbalzava sulle pareti dell'abisso per poi soffocare nelle profondità. La strada verso gli alloggi era scavata nella pietra e scendeva verso il basso snodandosi in diversi tornanti. Una bassa inferriata ne costeggiava il perimetro e una serie di lampioni pieni di lucciole illuminavano il cammino. Vilkas rallentò il passo e si schiarì la gola.
«Mi piacerebbe ricreare quelle memorie, però» mormorò.
Kih restò impressionato dalla malinconia che affossava la sua voce; «Lo vorrei anch'io» fu tutto ciò che riuscì a dire.
I due si fermarono di fronte a uno degli usci scavati nella pietra. Kih scostò la tenda di seta che fungeva da porta e posò a terra i bagagli. Era un cubicolo accogliente, con una finestra dalla cornice finemente intagliata affacciata sull'abisso, tappeti blu ricamati al suolo e un canale di pietra che trasportava acqua corrente. Kih ne bevve un po', poi si tolse le scarpe, aprì una delle esuvie e ne estrasse subito della polvere di Lichene.
«Devi scusarmi» disse, intiepidendola vicino alle braci di elovalgys sullo scaldaletto «tornare in questo luogo mi ha messo più malinconia di quanto mi aspettassi»
Vilkas non disse niente, limitandosi a osservare il compagno in silenzio. Kih inalò la polvere con le braccia che tremavano, gli occhi lucidi di triste consapevolezza per la sua condizione.
«È morto anche Okos, me n'è giunta notizia due sonni fa. Era l'ultimo dei miei fratelli rimasto in vita» disse, inalando con forza.
Vilkas abbassò il capo «Mi dispiace molto», rispose, «anch'io ho perso un caro amico nell'ultima battaglia»
Kih succhiò la saliva tra i denti, la schiena che pulsava nella penombra. L'unica fonte di luce della stanza era il tiepido bagliore dell'elovalgys che, filtrato attraverso i buchi ricamati nel rame dello scaldaletto, dipingeva sul muro figure di antichi miti e mandala di cerchi concentrici che confluivano in un foro di luce perfetto.
«Parlavi sul serio, prima?» gracchiò il geologo, gettandosi sul letto in attesa che il Lichene facesse effetto.
«Riguardo a cosa?»
«Al ricostruire le nostre memorie»
Vilkas sembrò lievemente disorientato da quella domanda così diretta.
«Non lo so»
«Perché? È troppo chiedere un po' di conforto?» Kih alzò le mani e osservò i giochi di luce proiettati sulla pelle che mutavano forma e disegnavano linee differenti a ogni movimento «Per quanto mi riguarda non condivido l'opinione del Tempio nel considerare blasfemo il desiderio individuale. So di sembrare egoista, ma conosco alcuni dei dotti più rispettati del Nucleo, e a porte chiuse anche il sacerdote più pio si rotola nelle proprie melme d'ipocrisia»
«Il Nucleo conta sui nostri sforzi»
«Il Nucleo respira, forse? Ha dei polpastrelli per sentire le soffici infiorescenze del muschio di caverna? Ha un paio d'occhi per vedere un fiore che cresce nell'argilla?»
«No, ma le madri e i figli che raccoglie sotto il suo tetto sì» rispose Vilkas, senza scomporsi «e c'è solo un filo di seta a impedire che tutto crolli sotto il peso della guerra e delle carestie. Noi ne siamo le fibre, e resistiamo solo con la forza della collettività»
«All'inferno la collettività» Kih si grattò una narice «tu sei vivo adesso, in questo momento. La tua nascita non è stata un miracolo, né un sacrificio. Semplicemente È, come la Sfera. È unica e distinta dalla culla di roccia che la circonda. Domani la terra potrebbe scuotersi e tutto finirebbe. Il cibo smettere di crescere. Il buio inghiottire la luce. Non farebbe nessuna differenza per noi, perché siamo morti il momento in cui siamo nati. E perlomeno vorrei morire con un amico a fianco quando capiterà. Collettività... collettività... certo, eppure non siamo mai stati così soli»
«Stai delirando» lo apostrofò Vilkas «come il tuo vecchio maestro»
«È la mia anima che parla. Non anela il raggiungere la Sfera, il riunirsi nel grande Gestalt di luce e vita, vuole la libertà che si cela oltre la prigione della gravità»
«È il Lichene che parla. Inizi a darmi sui nervi» il soldato scostò le tende e fece per uscire dall'alloggio, gli occhi fissi sul compagno accasciato sul letto. «Ti aspetto di fronte al sentiero per le miniere quando ti sarai ripreso»
«Mi sei mancato così tanto...» singhiozzò Kih. E mentre il compagno lo lasciava, ruotò lo scaldaletto perché le figure di luce vorticassero attorno a lui, avvolgendolo in un caleidoscopio di forme e sensazioni che il Lichene trasformava in sogni di vite mai vissute e geometrie perfette che s'intersecavano nel vuoto. La fuga in quel mondo che scolpiva i suoi pensieri in volumi che poteva osservare e tastare, e assaggiare... e finalmente uno stimolo diverso dal freddo e dal buio poteva consolarlo accompagnandolo nel sonno, amplificando la gioia di ritrovare un compagno che non vedeva da molto tempo e che come lui era scampato alla morte.
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