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Taci.

La vita era un castello di carte. Un soffio di vento, e finiva tutto.
Era buio, le luci dei lampioni la sola cosa ad illuminargli il cammino. Nella via deserta risuonava solo il suono dei suoi passi cadenzati che, al ritmo del suo cuore, echeggiavano come a sottolineare la sua solitudine.
Delle ore prima aveva visto qualcosa che non avrebbe voluto vedere.
Avrebbe voluto dimenticare. Avrebbe voluto continuare a vivere nella sua ignoranza. Ma non si poteva, non era così che funzionava. Vedevi una cosa, e la tua vita poteva cambiare radicalmente, solo perché eri stato nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato.
Era su questo che rifletteva, mentre oltrepassava l'Hydor Bridge, l'unico abbastanza importante da avere un nome in quella cittadina dimenticata da Dio. Quando posò gli occhi sul fiume, le rapide sembrarono invitarlo a lasciarsi trasportare dall'acqua gelida. Chiuse gli occhi, e gli tornò in mente di nuovo lei.
Era stata una lunga notte. Era stata una notte insonne. Si allargò ancora il colletto della camicia, fradicia di sudore. Non conosceva quella ragazza, non l'aveva mai vista prima. Solo a pensarci risentiva ancora l'umidità di quella notte, l'umidità del suo sguardo su di lui. Le lacrime non avevano fatto che pietrificarlo: ora ne pagava le conseguenze.
C'era stato un urlo, quello l'aveva distolto dal suo whisky. Solo lui sembrava averlo sentito, in quel bar deserto. Qualche passo all'esterno, e si era ritrovato in un vicolo buio.
Una ragazza che piangeva, aveva sentito, delle suppliche soffocate dai singhiozzi. Quando aveva avanzato ancora e la luce dei lampioni non aveva più potuto accecarlo, aveva visto.
Rabbrividì al ricordo, e il vento gelido che si scagliava contro di lui fu solo parte della causa.
I suoi occhi erano terrorizzati.
Le immagini erano vivide e gli attaccavano la mente come arpie pronte a tormentarlo. Sentì il suo urlo, a ripetizione, senza che potesse fare nulla. Gli venne voglia di tapparsi le orecchie e, senza nemmeno rendersene conto, lo fece.
Il suo volto era deformato dalle lacrime.
Lui era una persona comune. Era cresciuto con il suo migliore amico, che era sempre stato il più spaccone, mentre lui preferiva studiare e coprirgli le spalle. Quando aveva visto quel ragazzo diventare un uomo senza uno scopo ed entrare in brutti giri, si era sentito come se avesse perso una parte di sé.
I vestiti erano strappati, le clavicole sporche di sangue.
Non aveva voluto crederci. Non aveva voluto vedere.

Il soffio del vento era sempre più freddo, e portava con sé le parole che lei aveva provato ad imprimergli nella mente, riuscendoci.
Aiutami.
Una volta in quel vicolo, era riuscito a vedere chi davvero fosse la persona che lui aveva imparato a chiamare "migliore amico". Non aveva capito subito cosa lui stesse facendo a quella ragazza, non aveva voluto capirlo.
Era stato pietrificato.
Non era un uomo cattivo, era solo codardo. E quella parola si mischiò alle altre, mentre si prendeva la testa tra le mani e faceva il verso di un animale in gabbia.

Aiutami.
Non era stato capace, non aveva saputo cosa fare.
Aiutami.
Le proprie spalle che si giravano, i propri piedi che correvano via da qualcosa che non voleva.
AIUTAMI!

«Perdonami... Perdonami.» sussurrò.

Al suo orecchio sentì ancora la voce di lei, sentì ancora il respiro accelerato. Sentì le lacrime di lei scorrere sul proprio volto, così seppe che stava piangendo.
Codardo, gli sussurrò.
Codardo.
CODARDO!

Guardò le rapide che correvano all'inseguimento di chissà cosa, come se stessero perdendo lo stesso tempo che lui voleva mandare indietro.
Si sporse di più dal ponte. Certo che sarebbe stato facile far finire i ricordi.

Quando mai nella sua vita aveva avuto qualcosa da rimpiangere? Quando mai si era sentito così, come se il mondo fosse stato ribaltato?
Il suo migliore amico.
Le mani rozze che le prendevano le spalle esili, la sbattevano contro il muro di duri mattoni. Gli occhi di lui, iniettati di sangue, l'odore di alcol che si sentiva da metri di distanza nel suo fiato. Che fosse stata una delle sue clienti? Non aveva mai voluto sapere troppo di quegli affari.
Doveva pensare... Doveva riflettere.

Cosa c'é da riflettere? Mi hai lasciata a morire.
Ancora la sua voce gli perforò le orecchie, con una nuova sfumatura crudele.
Meriti questo dolore.
Fece un paio di respiri, che uscirono fuori in nuvolette bianche, mischiandosi al buio e creando un contrasto affascinante. La luce e l'ombra, era forse questo il punto? Quando tutto era chiaro e illuminato, qualcosa riusciva sempre a spegnere la luce.
Perché hai voltato le spalle?

«Mi dispiace.»

Una risata gli giunse all'orecchio. Una risata isterica, triste.
Taci. Sta' zitto.
Rabbrividì.
Hai freddo? Anche io l'avevo.
Aveva gli occhi azzurri. Lo sapeva perché al suo amico erano sempre piaciuti. Poi l'aveva visti, e aveva pensato che fossero meravigliosi... così in contrasto col dolore che vi si leggeva.
Il dolore é per chi non lo sa gestire.

AIUTAMI!

Stava impazzendo. Le frasi si mischiavano alle immagini, nella sua mente. Tutto era un turbinio di bianco e nero, di suoni, lamenti, silenzi, urla. Voleva un po' di pace... Solo un po' di pace. Aveva bisogno di aria: il colletto della camicia sembrava volerlo strangolare, e per un momento si vide intorno al collo un paio di mani forti che stringevano, e stringevano.
Guardò ancora il fiume. Era nero, non aveva nemmeno un colore... E ai suoi occhi sembrò così semplice, quell'assenza di sfumature, così ordinata, rispetto alla sua testa.
Si passò una mano tra i capelli, era esausto. Tutto quel tempo a sentirsi in colpa... Avrebbe voluto solo dormire e non svegliarsi più.
La sua mente era affollata, e ad un tratto non volle più nemmeno scegliere.
Il sussurro di una voce, il ricordo di una supplica. Cadde in mezzo al buio, poi tutto ciò che riuscì a sentire furono due cose: la voce di lei... e solo tanto, tanto freddo.

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