Piano di fuga.Capitolo 25.
ARON
Sono giá tre giorni.
Sono pochi, ma a me sono sembrati un'eternitá.
Disteso sul mio letto non posso far altro che pensare o aspettare la prossima terapia o soffrire per le ferite.
Tra tutte le sofferenze, avere ancora la facoltá di pensare è quella peggiore.
Pensare significa rendersi conto della situazione in cui sei, ed essere quindi consapevole che è impossibile uscirne.
Pensare significa fare ragionamenti propri; ma qui dentro non è così.
Qui dentro ti fanno il lavaggio del cervello. Ti raccontano storielle riguardo la creazione del mondo, dell'uomo e della donna, e di quanto sia abominevolmente sbagliato amare il nostro stesso sesso.
Ci leggono la bibbia, ci fanno capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ci fanno ripetere le parole di Dio come se fossimo suoi discepoli.
Ieri ho sentito un ragazzo dire "Io sono un errore. E gli errori possono essere corretti."
L'arma più potente di questo posto per farci convertire non è la violenza fisica. È quella psicologica.
Ci fanno credere che siamo rotti, e che col tempo ci aggiusteremo, ma questo non accadrá mai.
La natura non può essere cambiata.
Il lavaggio del cervello funziona con tutti, ma non con me.
Ho passato una vita intera a recitare ciò che c'è scritto in quel stramaledetto libro, e ora ho capito che l'unico errore che esiste è proprio la bibbia stessa. Rappresenta una natura ideale, non reale.
Ecco, sto delirando di nuovo.
Non ho dormito stanotte, forse per il dolore lancinante al prepuzio e ai polsi dovuto alle scosse, o per il raffreddore dovuto al bagno col ghiaccio, non lo so. Sta di fatto che non sono riuscito a chiudere occhio.
Non ho dimenticato il mio piano di evadere da questa specie di prigione.
In questi tre giorni ne ho approfittato per guardare un pò in giro. Qui dentro è difficile orientarsi visto che i corridoi sono tutti uguali. Ma grazie alle dritte di Derek sono riuscito a tracciare una mappa mentalmente.
Ieri mattina ho finto di stare male, o meglio, mi sono fatto del male di proposito. Mi sono riaperto le ferite dei polsi, così sono a venuti a prendermi e mi hanno portato in infermeria.
Lì ci sono le finestre a dispetto del resto dell'edificio in cui ci tengono, così ho potuto sbirciare.
A giudicare dall'altezza, questo sará il terzo piano. La finestra si affaccia su un ampio piazzale. Anzi, tutte le ale di quest'edificio si affacciano in quel piazzale.
Sono riuscito a vedere l'ingresso, posto nella parte centrale, e di fronte alla finestra dell'infermeria, c'è un'altra ala, quella dove sono le lesbiche, suppongo.
Non sono riuscito a vedere altro perchè l'infermiera mi teneva sotto sorveglianza e raramente abbandonava la stanza.
Ci ho riflettuto parecchio, e insieme a Derek siamo arrivati a una conclusione: questa non è una prigione. Non c'è il filo spinato a circondarci ma solo delle mura neanche troppo alte.
Del resto, questo posto deve dare l'idea di un normalissimo ospedale. Se fuori avesse l'aspetto di una prigione le forze dell'ordine capirebbero che questo è un centro di conversione e arresterebbero tutti i responsabili.
Quindi, una volta fuori sarà facile scappare. Il vero problema è dentro.
L'interno, a differenza dell'esterno pullula di uomini in arancione, sia di giorno che di notte.
Sto aspettando che Elliot e Robert vengano a prendermi per la terapia. E oggi ho più paura del solito. Dovrò provare a scappare per riuscire a ricavare qualche altra informazione. Devo riuscire a trovare delle scale. Ne io ne Derek le abbiamo mai viste da quando siamo qui, eppure ci sono, è ovvio, altrimenti come sono arrivato qui su? Ero svenuto quando mi hanno portato qui, perciò non ho potuto vedere niente. Ma Derek? Lui è stato preso di forza e per non mostrargli la strada mentre lo portavano su lo hanno addormentato in qualche modo. Sono furbi oltre che maledettamente sadici.
Quando sento la porta aprirsi con uno scatto, capisco che è arrivata l'ora di alzarsi.
Sono sollevato quando vedo che Elliot è da solo. Questo renderà le cose più facili.
Elliot mi trascina fuori dalla stanza con ben poca gentilezza, e mi scorta fino alla solita stanza.
-Robert è dentro a prepare gli attrezzi, oggi ti conviene collaborare McGrow.- mi dice con aria altezzosa e arrogante.
Non rispondo. Il cuore comincia a battere forsennatamente, mi manca quasi il respiro. Non credo di aver mai provato ansia simile in vita mia. Poco prima di arrivare alla porta mi guardo in giro: nessun movimento.
Devo cogliere l'attimo giusto.
Appena Elliot molla la presa dal mio braccio momentaneamente per aprire la porta, scatto.
Comincio a correre come mai ho fatto prima, senza una direzione ben precisa. Il mio intento è quello di trovare le scale, o un ascensore o qualsiasi cosa porti giù di qui.
Mentre corro rischio di urtare contro un carrellino per il cibo, lo evito ma vado a finire contro l'infermiera che lo trasportava. Questa cerca di acciuffarmi e con un gesto goffo allunga le mani verso di me. Fortunatamente riesco a scansarmi e proseguo a correre nel lungo corridoio bianco.
Alle urla di Elliot che mi ordinano di fermarmi si aggiungono quelle di Robert, dietro di lui.
Comincia a venirmi un bel fiatone e le gambe sembrano volermi abbandonare, da quando sono qui non sono in gran forma. Come potrei esserlo?
Dietro di me sento Elliot chiamare i rinforzi a gran voce.
Sta avvenendo tutto così in fretta. Come è possibile che io abbia trovato il coraggio di farlo?
Mi giro a destra e vedo stanze, mi giro a sinistra e vedo ancora stanze, tutte uguali alla mia. Con la coda dell'occhio posso scorgere sguardi increduli da parte di altri che sicuramente stanno pensando che sono pazzo.
Arrivo finalmente alla fine di questo infinito corridoio, di fronte a me c'è una porta socchiusa.
Questa medesima porta si spalanca ed escono tre grossi uomini in tuta arancione. Questi devono essere i rinforzi di Elliot.
Ma il mio sguardo non cade su di loro, bensì dietro di loro.
Oltre quella porta posso vedere delle scale, e ora altri due uomini le stanno salendo.
Un sorrisino inquietante viene a delinearsi sul mio viso.
Il mio è un sorriso del tutto fuori luogo, da psicopatico.
Ce l'ho fatta, le ho trovate. Ma a che prezzo? Che mi faranno ora?
Mentre una decina di uomini si accalca attorno a me, strattonandomi e urlandomi contro, il sorriso scompare del tutto.
Mi pare tutto confuso, come se non stessi davvero vivendo questo momento, come se il tempo stesse scorrendo più lentamente.
Non ci vuole molto prima che mi rinchiudano in una cella d'isolamento.
Solo adesso penso: 'Ma cosa mi è saltato in mente?'
Sto davvero diventando pazzo.
E mentre mi accascio in un angolo della stanza buia ad attendere che mi colga il sonno, ripeto una sola parola: Jack.
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