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Lettera.Capitolo 22.

JACK

Sono passati due giorni da quella telefonata.
Ho provato altre volte a chiamare, con la speranza che a rispondere sia Aron.
Ma niente, non squilla neanche, ho l'impressione che quella stramaledetta donna abbia staccato il telefono.

Ma non mi arrendo. Non ora che ho sentito la sua voce.
Ora so che Aron è sempre stato in casa sua e che sua madre non gli permette di parlare con me.

Quando ho sentito la sua voce non potevo crederci. Avevo sperato tante volte di poterlo risentire e ora finalmente ce l'avevo fatta.

Ma poi ho sentito un rumore, come uno strappo, ed è finito tutto.
Ero stato felice per un secondo, non lo ero da settimane. Poi è svanito tutto.
Avevo da dirgli tantissime cose, volevo scusarmi con lui, volevo dirgli della scommessa e volevo chiedergli di perdonarmi, ma niente, non è stato possibile.

A distanza di due giorni sono ancora distrutto da quel che è successo, non riesco a pensare ad altro. Non riesco a uscire di casa neanche per andare a lavorare. Sono troppo distratto.
Ho passato il tempo a pensare come contattarlo, se non con il telefono, con altri mezzi.

Ed è per questo che ora mi ritrovo con carta e penna, seduto a scrivere una lettera.
Non ad Aron però, lui non la leggerebbe mai, suppongo che sua madre la veda prima di lui, e piuttosto di dargliela la brucerebbe.
La sto scrivendo a sua madre. Voglio che sappia quanto è importante per me parlare con lui. Voglio che sappia che non gli ho fatto alcun male e che mai gliene farò.

Mentre penso alle ultime parole da scrivere nella lettera, Giuly entra in casa senza neanche bussare.

-Layla ti ha concesso tre giorni di riposo.- dice sventolando un foglio per poi posarlo nel tavolo in cui sto scrivendo.

-Oh, grazie al cielo. Cosa le hai detto?- dico mentre do un'occhiata al documento che afferma ciò che Giuly ha appena detto.

-Che non ti sentivi tanto bene. Ci ha creduto al volo, ieri sera ha visto come eri imbranato. Ha visto mentre un intero vassoio di cibo cadeva addosso a un cliente per colpa tua.
E infondo è vero che stai male. Da quando quel mormone se n'è andato sei caduto in depressione.-

Mi raddrizzo sulla sedia e la guardo con disappunto. -Non sono depresso!- dico non del tutto sicuro di quest'affermazione.

-A me sembra di sì.- sospira.
-Che cosa scrivi?-

-Una lettera. Per la madre di Aron. Non so più che altro inventarmi. Magari così mi ascolta.-

Giuly comincia a ridere.
-E cosa ti fa credere che la leggerá?-

-Questo.- dico indicando un vecchio orologio da taschino sul tavolo. -È di Aron. Volevo tenerlo come ricordo visto che è l'unica cosa che mi rimane di lui ma è meglio rispedirlo indietro. La notte che se n'è andato ha preso tutto tranne questo. Lo ha dimenticato nel suo comodino.-

-Beh se l'ha dimenticato vuol dire che non era poi così importante.- replica Giuly.

-Quest'oggetto è un cimelio di famiglia. Aron mi ha detto che prima della partenza gli è stato donato da suo padre, e prima ancora era di suo nonno. Forse per Aron non vale nulla dal momento che non nutre un grande amore per suo padre. Però sono sicuro che questo oggetto è importante per sua madre. Non scriverò chi sono, leggendo la lettera lo capirá da se. Vedrá prima l'orologio così poi vorrá leggere la lettera.-

-Sì certo, geniale. Ma cosa pensi di ottenere una volta che l'avrá letta?-

-Certo che sei proprio pessimista eh?
Spero che mi chiami. Oppure che mi risponda con un'altra lettera. Non lo so, basta che in qualche modo Aron si faccia vivo. -

-Lo spero per te Jack. Non ne posso più di vederti in questo stato. Che c'è scritto nella lettera?-

-Vuoi che te la legga?-

-Sì.-

Anche se si tratta della mia migliore amica, mi vergogno un pò, ma cerco di non darlo a vedere, sospiro e comincio a leggere :

"-Cara signora McGrow;
lei non sa chi sono, ma forse l'avrà intuito vedendo l'orologio allegato a questa lettera. Probabilmente avrá notato che suo figlio l'ha dimenticato a Los Angeles, mi è sembrato corretto rispedirlo indietro.
Senza più preamboli, vengo al punto, e
le voglio fare una domanda: Lei ama suo figlio?
Glielo chiedo perchè Aron ama lei. Mi ha sempre parlato bene di lei, mi diceva che sentiva la sua mancanza, che avrebbe voluto riabbracciarla.
Mi diceva che lei è l'unica persona che l'abbia veramente amato, e che non gli avrebbe mai voltato le spalle.
Voltare le spalle ad Aron: non è forse quello che sta facendo signora McGrow? Lei non sta amando suo figlio, mi permetto invece di dire che lo sta rinnegando.
Voglio solo dimostrare che non sono il mostro che crede io sia. Sono una persona che prova sentimenti, proprio come lei. Voglio solo avere la possibilitá di parlare con Aron un'ultimissima volta. Poi lascerò in pace lei e suo figlio.

Ci pensi bene prima di bruciare, gettare o fare a pezzi questa lettera."

-Breve ma efficace.- commenta Giuly.

-Dici che funzionerá?-

-Se sei ottimista sì, può darsi che funzioni.-
Come al solito, Giuly non è mai di conforto.

-Almeno augurami buona fortuna.-

-Buona fortuna Jack.- dice dandomi un bacio sulla guancia.

Tre giorni dopo...

Mi sento fuori di testa. Sto sempre col telefono appresso. Esco ogni cinque minuti a controllare la cassetta della posta oppure sto affacciato alla finestra sperando che arrivi qualcosa, o qualcuno. Non so nemmeno cosa sto aspettando ma sono tremendamente agitato.
Ho passato ben tre giorni così. Oggi riprendo a lavorare e non so se sono in grado.

Sará arrivata la lettera a destinazione? O è ancora in viaggio?
Questo pensiero è il mio chiodo fisso.

Anche oggi ho aspettato invano.
Controvoglia mi preparo per andare a lavoro.
Per la prima volta dopo tre giorni mi stacco il telefono di dosso e vado a cercare la divisa.

Mentre mi infilo i pantaloni sento qualcosa provenire dalla cucina, dove ho lasciato il telefono.
-Oh mio dio, sta squillando!- urlo.
Cerco di correre senza aver terminato di mettere i pantaloni, così cado, sbattendo il viso violentemente sul pavimento. Cerco di ignorare il dolore e mi rimetto impiedi, tiro velocemente su i pantaloni e scatto verso la cucina.
Mi getto sul telefono e rispondo senza pensarci due volte.

-Pronto?- riesco a dire ansimando per la corsa.

-Salve, sono la signora McGrow.-

-Oh, grazie al cielo, ha letto la mia lettera?-

-Sì.
Per colpa tua mio figlio si è tagliato le vene. E adesso vieni a dirmi che io lo rinnego? Quindi è colpa mia se mio figlio ha deciso di togliersi la vita? - comincia a piangere.

Rimango senza parole per un istante. Ha davvero fatto una cosa del genere?

-Come sta Aron? Dov'è adesso?-

-Io amo mio figlio.- Sembra non aver sentito le mie domande, e prosegue lamentosamente -Ci credo a quello che hai scritto. Lo so che sono sempre stata l'unica persona che abbia veramente voluto bene. Per questo ora sono così spaventata che ami qualcun'altro. E hai ragione, gli ho voltato le spalle, non avrei mai dovuto farlo. Ma che scelta avevo? Mio figlio è omosessuale! È un abominio per la nostra famiglia! Ma lo ammetto: non è giusto che Aron debba passare tutto questo. E se penso che solo per onore della nostra famiglia anche io più di tutti ho contribuito a rendergli la vita impossibile, mi sento morire.
Lo ammetto!- singhiozza per il pianto. -Ho reso impossibile la vita a mio figlio e me ne accorgo solo ora che l'ho perso!-

Perso? Come sarebbe a dire "perso"?

Mi trovo nuovamente senza parole. Esito prima di rispondere.
-Signora, sapevo che avrebbe capito. Ma che significa che ha perso Aron? Non posso parlare con lui?-

-No, è impossibile. Ora lui è in un altro posto, dove lo trattano meglio di come l'ho trattato io.- afferma con voce rotta. -Non merito mio figlio per quello che gli ho fatto.-
Seguirono delle urla strazianti, e poi uno strappo, lo stesso che avevo sentito giorni fa, e tutto finisce.

Con gli occhi persi nel vuoto, lascio cadere il telefono e rimango immobile.

Sembrava pentita, sembrava avesse buone intenzioni, poi ha chiuso. Non vuole che sappia dov'è Aron. Perchè?

Mi lascio cadere con le mani tra i capelli nel divano a me sottostante e penso "Cosa diavolo è successo ad Aron?".

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