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Confronto.Capitolo 20.

ARON

Mi sento in prigione.
Vorrei tanto poter uscire di casa.
Mi piacerebbe camminare senza dover ricevere occhiatacce da parte delle persone.

Ogni tanto quando ho bisogno di prendere un pò d'aria fresca mi limito ad affacciarmi alla finestra. I vicini mi guardano con circospezione pensando chissá quali cose.

Sono qui da quattro giorni ormai e l'unica volta che sono uscito di casa è stato tre giorni fa.
È stato orribile non ricevere neanche un saluto da parte delle persone con cui sono sempre andato d'accordo.
Qualcuno faceva finta di non vedermi, altri cambiavano strada, altri ancora mi guardavano e senza troppi scrupoli facevano un commento alla persona che avevano affianco.

La cosa più dolorosa di tutte è che sono tutte persone con cui ho avuto a che fare e che hanno sempre avuto piacere di stare con me.
Ora neanche mi salutano.

E come se non bastasse, mentre ritornavo a casa amareggiato, un gruppo di ragazzini non tanto lontani da me hanno cominciato a ridere e a sghignazzare, indicandomi e urlando contro di me cose poco carine. Come se non fossi lì, come se non potessi sentirli.

Perchè la gente non vuole capire che sono sempre la stessa persona?
Non faccio del male a nessuno, non sono un mostro. Il pregiudizio che hanno di me gli acceca. Non gli permette di vedere che sono sempre io.

Ecco perchè ho deciso di non mettere più piede fuori di casa.
Sento che diventerò pazzo ma almeno qui dentro posso stare tranquillo.

Mio padre non si è fatto vivo dal giorno della mia scomunica.
Rientra tardi, va a dormire e poi va a 'lavorare' presto. Come passi il resto della giornata non si sa, visto che non rientra neanche per i pasti.
Lo fa per evitarmi. È ovvio che non ha voglia vedermi, sono la sua delusione e allo stesso tempo la sua vergogna più grande. In poche parole: mi odia.
E comincio a credere la stessa cosa anche di mia madre.

Non c'è più dialogo con lei, mi rivolge la parola solo per dirmi di andare a cenare, o a pranzare.
Per il resto della giornata non so cosa faccia. È come se vivessimo in due case separate.

Non c'è niente di più doloroso che vedere i tuoi genitori trattarti come uno sconosciuto.

Sono disteso nel letto e mentre inganno il tempo leggendo, non mi accorgo che si è fatto tardi.
Mia madre entra in camera per dirmi le uniche parole che riesce a dirmi. E stavolta le pronuncia con fare scocciato e sbrigativo.
-È pronta la cena.-

Senza neanche aspettare una risposta sparisce dalla mia visuale.

Mi alzo e mi avvio verso la tavola apparecchiata per due come di consueto.
-Tuo padre non cena con noi neanche stasera.-
Ah sì, questa è un'altra frase che le sento dire spesso.

-...aveva del lavoro da fare.- prosegue.

-So bene che mi sta evitando.- mormoro.

-Non è vero.-

Una risatina nevrotica di disappunto fuoriesce dalle mie labbra.

Mia madre mi ignora e ora sono talmente nervoso che non riesco a mangiare.
Sono lì a guardare il piatto, immobile, pensando che mangiare non è poi così importante. A che serve mantenersi in salute in una vita come la mia? Non ha più senso continuare a vivere se passo ogni giorno in una casa dove nessuno è in grado di darmi affetto.

Mentre terribili pensieri suicidi cominciano a farsi largo nella mia mente, la mia attenzione viene catturata dal suono del telefono.

Mia madre si alza di scatto e va a rispondere. E anche se è nell'altra stanza, è inevitabile non sentire cosa dice.

-Ancora tu? Ti avevo detto di non chiamare mai più. Ora sarò costretta a staccare la linea telefonica!- dice cercando di mantenere un tono più basso possibile in modo da non farmi sentire.

-Ti ha giá dimenticato. Lui non vuole più sapere niente di te, ti odia. Fattene una ragione.-

Non è da lei rivolgersi in questo modo a una persona. Chi potrebbe mai essere?
Ripenso a tutte le parole che le ho sentito pronunciare e una fitta mi colpisce improvvisamente allo stomaco quando realizzo che quella persona che ha chiamato potrebbe essere Jack.

Sento mia madre riattaccare il telefono con violenza per poi ritornare a tavola in totale disinvoltura.

-Chi era?- chiedo per verificare la mia teoria.

-Uno che aveva sbagliato numero.-

In quel momento la guardo attentamente per capire se sta dicendo la veritá, ma per l'ennesima volta evita il mio sguardo.

-Ho sentito tutto. Era Jack vero?-

-Jack? Chi è Jack?- dice fingendo di non sapere. Ma non è brava a mentire.

-Lo sai bene chi è!- mi alzo in piedi con uno scatto improvviso facendo tremare il tavolo e alzo il tono della voce senza neanche rendermene conto.

Mia madre sembra intimorirsi.
Sospira e rassegnandosi decide di dire la veritá.
-Aron, io non so cosa voglia ancora da te ma io lo sto facendo per il tuo bene.-

-Cosa stai facendo esattamente?- cerco di mantenere i nervi saldi.

-Di tenerlo lontano dalla tua vita. Anzi dalla vita della nostra famiglia!-

-Cosa? Che vuoi che c'entri la famiglia?-

Anche mia madre si alza di colpo.
-Possibile che tu non te ne accorga? Quel mostro ha rovinato la tua vita, da quando sei tornato non sei più lo stesso di prima!- le lacrime cominciano a scendere copiosamente sul suo viso e con voce rotta prosegue -Per colpa di quel ragazzo anche la mia vita è rovinata!
Non vedo più tuo padre perchè si rifiuta di guardarti in faccia! Nessuno vuole più parlare con me perchè ormai sono diventata la zimbella della cittá! Ho litigato con i tuoi zii, mi hanno detto che sono stata una pessima madre, che non sono riuscita a insegnarti ciò che è giusto! Ho litigato anche con i vicini e con le mie amiche! Non vogliono più vedermi.
Non posso permettere che si levi in giro la voce che mio figlio si sente con lo stesso ragazzo che ci ha mandato in rovina! Non lo sentirai mai più, neanche al telefono!
Mentre pronuncia le ultime parole afferra un piatto e, accecata dalla rabbia, lo scaraventa a terra gridando forsennatamente.

Paura, rabbia, ansia e altre mille emozioni si scatenano in me in quel momento.
Ma l'unica cosa che mi viene da dire spontaneamente è :-Quindi la storia della scommessa non era vera?-

Mia madre sgrana gli occhi sorpresa dalla risposta toltalmente impertinente.
-Non lo so! E non mi interessa neanche! Devi solo stargli lontano!- si getta a terra in lacrime mentre raccoglie i cocci uno per uno.

La osservo dall'alto e le lacrime ora bagnano il mio viso.
-Mamma, hai sempre voluto la mia felicitá. Perchè ora me la neghi?- singhiozzo tra una parola e l'altra.

Lei non risponde e comincia a piangere più forte.

-Rispondimi!- comincio a diventare quasi aggressivo.

Ma ancora niente.

-Alza la tesa, guardami negli occhi è dimmi perchè.-

Ora sembra finalmente darmi retta, si alza e mi guarda dritto negli occhi.
-È proprio perchè voglio la tua felicitá che lo sto facendo.-

-No, non è vero. Tu mi odi!- mi sento scoppiare mentre pronuncio quelle parole in preda all'ira.
-Se davvero vuoi la mia felicitá, lasciami andare.-

-Per lasciarti infangare ancora il nome di questa famiglia? Mai!-

Comincio a piangere più di prima.
Con voce interrotta dalle lacrime e con il viso arrossato dalla rabbia dico l'unica cosa che mi viene in mente. -Io lo amo, perfavore.-

Mia madre si avvicina rapidamente e mi da uno schiaffo così forte da farmi roteare la testa.

La guardo stupito.

Mia madre sembra cambiare totalmente espressione quando si rende conto di ciò che ha fatto. Mi abbraccia, stringendomi con forza.
-Tutto questo mi spezza il cuore figlio mio. Non avrei mai voluto arrivare a tanto.-

Vorrei allontanarla con una spinta, vorrei insultarla, vorrei odiarla.
Ma non ci riesco.
La abbraccio a mia volta e piango con lei essendo consapevole che per quanto la stia odiando, questo è l'unico gesto di affetto che ricevo da lei in tutti questi giorni.

Anzi, è il primo gesto d'affetto che ricevo da qualcuno in tutti questi giorni.

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