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8. Testa vascia, senza scrusciu

Dalla lavagna bianca dietro la mia scrivania cancello i dati del caso di spionaggio industriale, resterà a memoria solo il resoconto su carta e una fattura.

Provo a fare un po' di ricerche sulla rete su Tina, ma evidentemente sa come cancellare le proprie tracce; nel biglietto da visita c'è solo il nome di quattro lettere e un numero di cellulare. Sono quasi sicuro sul perché mi abbia contattato direttamente fingendo di farmi un favore: vorrà che faccia il lavoro di ricerca per conto loro, gratis peraltro.

Lascio perdere, cerco invece informazioni sul palazzo Liberty zona Palestro e trovo i dati dei proprietari e la presenza sul jet set del rampollo di famiglia. Scopro con piacere che di mestiere fa il finanziatore di Startup tecnologiche, a quanto sembra finora con scarso successo. Raccolgo tutte le info per passarle all'azienda che mi ha dato l'incarico: magari lo denunceranno, più probabilmente immagino che tratteranno e al più si accorderanno per un finanziamento o una joint venture.

Riempite le carte, esco subito e vado verso piazzale Maciachini, dove credo passi i pomeriggi la sposina fresca di matrimonio.

Compro un quotidiano e faccio un giro della piazza, fermandomi su qualche panchina o appoggiato a una fermata di bus dove si formano a cadenza capannelli di persone che poi spariscono su un pullman dell'ATM.

Niente di nuovo, come ho già detto la paziente attesa fa parte del mestiere. Un'attesa vigile, perché in pochi istanti si potrebbe dover reagire alla rincorsa di un indizio o magari evitare una randellata di sorpresa. Quando ero a Palermo qualche volta la sberla sulla nuca arrivava dai compagni, perché dicevano che serviva a tenere l'attenzione sempre viva. E non sempre potevi far finta di niente, per non apparire un debole: dovevi rispondere e scambiare spintoni e ceffoni, sperando che qualcuno intorno alla fine ti trattenesse per poterla buttare in risata.

Mi sono appoggiato con il giornale aperto quando vedo dietro di me arrivare una mazza da baseball. Mi sposto rapidamente dietro il palo a cui mi stavo appoggiando mentre la mazza arriva cattiva, tanto da farlo risuonare.
- Ohi - Dico mettendo una mano in tasca sulla mia piccola S&W persa e poi recuperata.
- Chi sei? Che vuoi? - Mi fanno il bullo con la mazza e un suo compare, entrambi slavi e con un brutto cipiglio. Si avvicinano, ma fortunatamente sono più alto di entrambi, tengo la posizione e non mi ritiro.

- Non sono della polizia - credo di aver capito perché sono aggressivi.
- Sono passati tre bus e non ne hai preso uno, che cosa fai qua?

- Aspetto un'amica. Ma deve aver fatto tardi. - Tolgo la mano dalla tasca lasciando il calcio della pistola e la faccio vedere bene.
- Non mi piace che stai qua a ficcanasare - Fa il primo.
- Oppure paga l'affitto del posto e ti lasciamo stare.

Tiro fuori due biglietti da venti e li do solo a quello che aveva proposto l'affare. Se non fossero stati dei compagni avrebbero discusso, dei due li do al capo e vedo come reagisce. Lui passa uno dei due biglietti al suo secondo e si sposta indietro ad appoggiarsi a un furgone a qualche metro dietro le mie spalle.

Non è aria e non voglio litigare, oggi. Piuttosto vado al bar all'angolo, chiedo il solito Cuba Libre che mi porto su un tavolino libero vicino alla vetrina. Finché non mi cacciano, penso.

***

La sera torno nel mio condominio alveare, l'ascensore è di solito occupato, ma oggi supera ogni record.

Mi appoggio alla ringhiera quando il mio disgraziato mal di testa mi aggredisce e per qualche minuto mi lascia senza fiato. Quando riapro gli occhi vedo Agnese che mi tiene la porte aperte:
- Stai bene, è passato? - mi fa.
- Bene, sì - dico non credendoci neanch'io.

In ascensore resto zitto, in casa entro, afferro una bottiglia di Ron agricolo non tanto costoso, ma non è sera di degustazione. Mi siedo a letto e mi addormento dopo aver bevuto qualche bicchiere ambrato.

Sento il suo profumo, ma non riesco ad aprire gli occhi. Sono indeciso se sono in dormiveglia, o forse sto proprio sognando, sento qualcuno scartabellare sulla mia scrivania e ogni tanto mi arriva una zaffata di profumo.
Me la immagino di spalle con l'abito lungo che aveva nel locale delle Furie; con lo spacco che lascia scorrere una gamba perfetta dove si intravede una giarrettiera merlettata.

Mi immagino di avvicinarmi alle sue spalle e di afferrarla sui fianchi, con una presa delicata ma sicura, parlandole con sussurri alle orecchie, sfiorandole il lobo con le labbra e respirando il suo profumo direttamente dal collo tornito... di farla girare su se stessa e di trovarmi a pochi centimetri da quei denti perfetti in quella bocca perfetta con quelle labbra... i suoi occhi sono due buchi neri che mi risucchiano, poi mi riscuoto, tiro un sospiro profondo, resto in dormiveglia.

Mi sento accaldato da quelle immagini, ma sono fantasie perché sono certo che nella realtà in una situazione simile la Tina mi sparerebbe senza tirare un sospiro.
Mi forzo di svegliarmi del tutto, mi alzo tentennando, guardo alla mia scrivania ma in realtà non c'è nessuno. Assonnato mi avvicino a controllare: il resoconto scritto stamattina adesso è fuori posto, sotto la fattura invece che sopra.

***

Il giorno dopo al mercato coperto, al piccolo banchetto prima della pescheria faccio un po' di fila per parlare con Agnese; quando è il mio turno mi tolgo il Borsalino e le chiedo:
- Come va?
- Non ci possiamo lamentare.
- Tu sai in zona Maciachini chi c'è?
- Slavi, albanesi sono.
- Che giro hanno?
- Portano gente negli alberghi zona fiera: iniziano nel primo pomeriggio.
- Ragazze? costrette?
Agnese tirò su gli occhi al cielo, come se mi dovesse sempre spiegare tutto.
- Mica lo fanno per divertimento: alcune per farsi restituire il passaporto, altre per pagare l'affitto, e non sono solo ragazze, ci sono anche i ragazzi.
- Ah... va bene.
- No, non va bene, perché trattano anche minorenni.

Non so come risponderle, non sono un poliziotto e quindi cambio discorso:
- C'è stata qualche novità dalle solite parti?
- Non si sa nenti. Nessuno ha ancora preso il posto delle Furie o della Capa.
- No? Non c'è nessuno di nuovo? - Non vorrei fare il nome di Santino, quasi rischiassi di evocarlo.
- No, no, i capi bastone tengono i ragazzi tranquilli, ci sono ancora un paio di donne i cui mariti in carciri contano che dicono di tenere testa vascia, bassa, senza scrusciu, di non fare rumore.

Chissà perché una finta calma mi mette ansia, mi dico mentre vado a fare un giro in un bar di viale Montenero. Ogni tanto capita di incontrare qualcuno che tiene la bancarella lì vicino, in Viale Lazio, e magari qualche parola la sbottona se gli offri un paio di sambuca. Soprattutto a stomaco vuoto il liquore apre la mente e sblocca le remore.

Mi ricordo quando mi mandarono con Tano e le due belle della banda in un nuovo centro commerciale che aveva appena aperto vicino al mare. Loro a far compere, noi a fare sopralluogo per vedere se c'era già qualcuno a prendere il pizzo.
Una era la sorella di Santino, gran bella ragazza, ma completamente devota a fare strada, costasse quel che costasse. L'altra era una cugina di qualcuno, arrivata da un paesino in centro al mezzo di niente e che secondo me non aveva capito ancora di che tipo di compagnia fossimo. Però sapevano che io e Tano avevamo le tasche piene di mazzette da spendere e loro erano libere di farlo.
Dovevamo trovarci a pranzare nel ristorante al terzo piano, sulla terrazza con gli ombrelloni, dove arrivammo a mezzogiorno pur sapendo che le ragazze ci avrebbero messo ancora ore a farsi vedere. Nella calma della calura di mezzogiorno Tano si versò più volte il pinot frizzantino che era sul tavolo. Eravamo venuti a fare domande, ma lui dopo mezz'ora era pronto a rispondere a qualsiasi cosa senza manco alzargli le mani.

Verso l'una ancora non si vedevano arrivare; quando il cameriere venne a cambiarci la bottiglia di vino Tano non era più attivo, guardava lontano verso il nulla. Fermai il ragazzo afferrandolo per la mano e infilandogli una banconota nel pugno gli chiesi:
- Ce l'avete l'assicurazione?
- Ntzu - fece tirando su il mento, ma dallo sguardo sembrava aver capito anche i sottintesi.

- No? Ma è pericoloso - buttai lì, come se fosse una constatazione lecita.
- Qua dicono che siamo lontani da Palermo - lo guardai come se dubitassi della lontananza e quindi lui s'affrettò ad aggiungere - e poi il costruttore è amico dell'assessore ai lavori pubblici.

- A me questi politici non mi piacciono - Intervenne Tano, mentre lasciavo andare il cameriere.
- Già - dissi io, esortandolo a continuare col mio silenzio.

- Il capo non lo dice, ma ogni tanto prende ordini da uno di loro - fece lui sempre brillo; quell'affermazione in compagnia degli altri gli avrebbe fatto saltare la testa. Cercai di capire qualcosa di più, mi avvicinai:
- Ma chi?

- Arrivano i pizzini che dicono "questo lascialo stare", "quello non diamogli fastidio"... - Ma proprio in quel momento che si stava sbottonando si videro da lontano le due tipe.
- A Rosalìa, la sorella di Santino, piace 'u Fanciullu - che era il soprannome del figlio del capo.
- Buon per lei, ma mi dicevi del politico...
- Ma devi sapere che 'u Fanciullu ha detto che quando si sarà stancato, la manda a fare la escort. Io mi metto già in coda.

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