4 - Disavventure
Rachel era riuscita a salvarsi tenendosi stretta proprio allo scorri-mano. L'intera struttura non sembrò risentire del crollo ed era rimasta impassibilmente ancorata alle sue sedi, graziando di fatto l'impavida avventuriera.
Maledetto istinto! Non mi fiderò mai più di te! pensò Rachel per distrarsi dalla situazione in cui si era cacciata, ripensando al suo "mi sembra la cosa meno pericolosa da fare". Senza perdere il controllo di sé, si sollevò con tutte le forze, supplicando il cilindro di metallo che la stava sorreggendo di non cedere. Faticando non poco, la sfortunata avventuriera riuscì a tirarsi su e poi a sedersi sullo scalino precedente; sapeva che questo, probabilmente, non avrebbe retto ancora per molto, ma aveva bisogno di un attimo per riprendere fiato, per riportare il suo battito cardiaco ad un ritmo normale. Dopo una manciata di secondi, Rachel riprese la sua coraggiosa discesa poggiando, come poteva, i piedi sulle strette porzione di scale sopravvissuta al crollo. Procedere in quelle condizioni si rivelò più complicato del previsto e le continue vibrazioni, provenienti stavolta dall'intera struttura, non le lasciavano presagire nulla di buono. Rachel, per evitare di applicare troppa pressione su ciò che rimaneva della scala, decise di farsi scivolare lungo lo scorri-mano: sarebbe stato più veloce e, anche se molto rischioso, era preferibile a quella discesa lenta e dolorosa. Non poteva sapere quanto tempo avrebbe retto ancora la struttura; prima avrebbe raggiunto il piano inferiore e meglio sarebbe stato per la sua vita. L'idea funzionò a dovere. Prima di arrivare alla fine della rampa, Rachel si accorse che lo scorri-mano era interrotto, così rallentò la sua corsa fino a fermarsi, scese molto lentamente e poggiò i piedi sul primo gradino che vide alla sua portata. Da lì, non essendoci altro modo di procedere, decise di raggiunse il quarto piano con un salto. La distanza era minima, quindi ce l'avrebbe fatta senza alcun problema.
Un, due, tre... via!
Nel momento in cui atterrò sul pavimento del quarto piano, Rachel avvertì un'intensa fitta alla gamba sinistra. Cercando di capire a cosa fosse dovuta, la ragazza diede un'occhiata nella zona interessata e si accorse che sui pantaloni, all'altezza del polpaccio, c'era un sgarro interamente ricoperto dal sangue.
– Devo essermi ferita quando le scale hanno ceduto – ipotizzò la giovane ragazza, stringendo i denti dopo aver avvertito una nuova fitta di dolore. Durante la difficoltosa discesa non aveva avvertito alcun dolore, presumibilmente a causa dell'adrenalina rilasciata dal suo corpo in quel momento di tensione. Rachel s'infilò, zoppicando lievemente, nel primo locale che vide e iniziò a frugare tra una cosa ed un'altra alla ricerca di un panno o di qualcosa di simile con cui potersi medicare la ferita. Appena ne trovò uno che facesse al caso suo, usando una scheggia di metallo trovata in giro, lo lacerò in due parti: con la prima metà asciugò il sangue che continuava a fluire lentamente dalla ferita. Fu costretta a strappare un pezzo dalla seconda metà per ultimare la pulizia della ferita. Infine, con l'ultimo brandello di panno rimasto, ci coprì il polpaccio e lo annodò molto forte, così da rallentare l'emorragia.
Mise poi un paio di straccetti in una delle tasche laterali del suo borsone, tante volte avessero potuto rivelarsi utili, ed uscì dal locale. Ad un tratto, un gran senso di debolezza pervase il suo corpo, seguito da giramenti di testa e una forte nausea. Tenendosi in piedi come poteva, la ragazza andò a sdraiarsi sopra ad una delle panchine di legno che fiancheggiavano il parapetto del quarto piano così da poter attendere che il suo corpo recuperasse le forze. Per ingannare l'attesa scartò una delle razioni di emergenza che portava con sé e la mandò giù in un sol boccone. Ci vollero alcuni minuti prima che le vertigini e gli altri malesseri sparissero del tutto. In quel lasso di tempo, scandito da scricchiolii sinistri e dal rumore di piccoli detriti che si schiantavano al suolo, Rachel si era sentita indifesa, una preda facile per chiunque. L'oscurità che regnava all'interno di quel luogo spettrale, oltre al silenzio quasi irreale, sembrava averla isolata dal mondo intero, inghiottendo tutto quello che la circondava e lasciandola tutta sola. Senza neanche accorgersene, le era venuta la pelle d'oca. Rachel scosse più volte il capo, pensando che fosse utile a scacciare via la tensione accumulata, dopodiché iniziò ad alzarsi dalla panchina. Raggiunta una posizione eretta abbastanza stabile, fece qualche passo in avanti. La gamba non sembrava darle più tanto dolore, anche se non poteva farci lo stesso affidamento di prima. Rimettendo in spalla la borsa, Rachel riprese la sua ricerca.
Una nuova serie di ampi e bui corridoi si apriva di fronte a lei, desiderosi di essere esplorati dopo tanto tempo passato nel silenzio e la solitudine più totale. Mentre esaminava, con l'ausilio della torcia, un vetrina dietro l'altra alla disperata ricerca di un locale nel quale fosse rimasto del cibo, un brivido freddo le percorse la schiena. La sua mente cominciava a prendere in considerazione l'eventualità che il quarto piano potesse essere sprovvisto di ciò che stava cercando proprio come lo era stato il precedente. Ciò implicava che sarebbe dovuta scendere al piano inferiore e che, purtroppo per lei, avrebbe dovuto affrontare una nuova rampa di scale. Rachel inveì contro il suo cervello che, invece di incoraggiarla, si stava divertendo a farla tribolare. Conciata in quel modo non poteva di certo affrontare un'avventura simile, insidie annesse; riversò quindi le sue ultime speranze su quel piano: se non avesse trovato nulla, si sarebbe messa alla ricerca di un'uscita e sarebbe andata a cercare il cibo altrove. Non poteva rischiare di farsi male o, peggio ancora, di perdere la vita solo per mettere sotto ai denti qualcosa di diverso dalle solite razioni, sapendo, oltretutto, che avrebbe potuto trovarle in posti meno pericolosi. Qualcuno, però, sembrò aver ascoltato ed esaudito il suo desiderio. Attraversati alcuni corridoi, la giovane esploratrice trovò finalmente quello che stava cercando, anzi, riuscì a trovare qualcosa di meglio. Con la fioca luce della sua torcia illuminò l'insegna del locale e, con suo grande piacere, scoprì trattarsi di un tipico ristorante Emiano, luogo che le avrebbe dato modo di riempire il suo borsone con prelibatezze di ogni genere, rinomate in tutta Eden, e non con le solite razioni che, per quanto potessero avere un sapore discreto, non potevano competere con piatti di quel calibro. Senza indugiare, la ragazza entrò nel piccolo locale. Un puzzo di rancido invase il suo canale olfattivo, provocandole un conato di vomito. Qualcosa al suo interno sembrava in avanzato stato di decomposizione, o lo era stato per lungo tempo e l'odore non aveva avuto modo di lasciare quelle quattro mura. Tavoli e sedie erano buttati a terra in maniera disordinata, alcuni ancora intatti e altri meno, insieme a cocci di piatti e bicchieri. Lunghe strisce di sangue verniciavano il tappeto che ricopriva la pavimentazione del locale, mentre alcuni vermicelli bianchi banchettavano beati sui resti di cibo sparsi a terra. Al suono della sirena, quel posto doveva essersi tramutato in una bolgia infernale. Rachel si tappò il naso con la mano, poi superò il bancone e raggiunse le cucine. Non fu affatto felice nello scoprire che le tante prelibatezze presenti lì, senza un'adeguata fonte di energia che alimentasse le grandi celle frigorifere nelle quali venivano mantenute, si erano deperite tutte, dalla prima all'ultima. In preda allo sconforto, Rachel stava per abbandonare l'"Emas' Gourmet" quando vide una serie di confezioni impilate all'interno di una dispensa affissa al muro. Si trattava di alimenti a lunga conservazione che potevano essere cucinati con una semplice fiamma, conditi con altri ingredienti a proprio gusto e consumati senza nient'altro. Aveva trovato la sua miniera d'oro.
Rachel uscì dal locale con un sorriso stampato in faccia. Aveva riempito così tanto il suo borsone che, se ci avesse aggiunto altra roba, sarebbe potuto saltare in aria. Con le provviste recuperate dal piccolo alimentare, da lei ribattezzato "luogo divino", ci avrebbero potuto mangiare per più di una settimana se, naturalmente, non avesse esagerato con le porzioni. A rendere la ragazza ancor più felice era il fatto che non si trattasse delle solite razioni, ormai arrivatele fino alla cima dei capelli, ma di veri e propri primi piatti saporiti, elaborati e personalizzabili con una serie di condimenti che aveva preso da un'altra dispensa.
La ragazza portava il borsone con la spalla destra in modo da evitare che troppo peso si caricasse dalla stessa parte della gamba infortunata. Camminò per alcuni minuti poi, per non peggiorare le condizioni della ferita, che aveva ripreso a farle male, si fermò e si mise seduta a terra per riposare. Approfittò della pausa per controllare in che stato fosse la ferita. Tolto il brandello di stoffa, che nel frattempo si era tinto di un rosso acceso, dalla gamba, scoprì che questa aveva quasi del tutto smesso di sanguinare. A guardarla bene, non sembrava neanche grave come aveva immaginato, ma preferiva lo stesso tenerla coperta fino al suo ritorno nel rifugio, dove poi avrebbe potuto disinfettarla a dovere. Dopo aver frugato un po' in una delle tasche laterali, Rachel estrasse uno degli straccetti messi via poco prima e lo strinse intorno al polpaccio malandato, proprio come aveva fatto la prima volta. Rimase seduta a terra a riposarsi e a contemplare la vasta oscurità che regnava nel centro, non più tetra come l'aveva percepita prima, ma quiete e naturale. Non si vedeva quasi nulla, se non le ampie vetrine di alcuni locali che riflettevano timidamente i fiochi raggi filtrati dalle crepe sulle pareti e una serie di esili linee luminose sul pavimento, ognuna di un colore diverso. Avevano tutta l'aria di essere delle precise guide per quei visitatori che non conoscevano il centro commerciale. Alla ragazza non era parso di averle viste prima o non ci aveva fatto caso per via della miriade di pensieri che le affollavano la mente. Tuttavia non diede molta importanza a tale scoperta poiché l'obiettivo di giornata era stato appena raggiunto e quindi il suo unico pensiero era di tornare al rifugio il prima possibile.
Quale rifugio?
La domanda fece capolino nella testa di Rachel. Non ne aveva più uno, di rifugio. Quello dove aveva passato gli ultimi giorni, che aveva reputato "il rifugio migliore di tutta Olvak", era stato scoperto dalle creature inumane ricoperte di sangue. Lei non poteva più stare lì o passarci la notte. Loro ormai conoscevano la sua posizione. Rachel alzò lo sguardo e si mise ad osservare le attività commerciali che la circondavano.
Chissà come doveva essere prima dell'attacco. Un centro commerciale di tali dimensioni doveva sicuramente attirare un gran numero di visitatori... Guardarlo adesso, ridotto in questo stato e senza più alcuna utilità, è così triste...
Poteva essere un rifugio ideale per lei? Ci poteva essere cibo a sufficienza per mantenerla fino alla fine dei suoi giorni, essendo un centro commerciale potenzialmente pieno di ristoranti e mercati misti, poteva accaparrarsi abiti sempre nuovi senza doverli sottrarre ai corpi morti che trovava sotto alle macerie, poteva trovarsi un letto vero, con cuscini e coperte altrettanto veri. Sembrava un luogo nel quale quei mostri non avevano messo mai piede e, nonostante il suo aspetto cupo e spettrale, poteva essere adatto a ricoprire il ruolo di "rifugio". I pensieri della ragazza vennero improvvisamente interrotti dall'ennesimo rumore sinistro proveniente dal pian terreno. Nonostante si trovasse nel complesso già da alcune ore, non si era ancora abituata a tutti quei rumori di sottofondo, agli scricchiolii e alle correnti gelide che le accarezzavano il collo, facendole prendere sempre dei grandi spaventi.
Forse non è il luogo più adatto.
Stanca, ferita e soddisfatta, Rachel non doveva far altro che mettersi alla ricerca di una qualsiasi uscita collocata su quel piano, essendo impossibilitata a scendere o a salire una nuova rampa di scale. Non che fosse sua intenzione farlo, considerato lo spiacevole trascorso dei prima. Durante la perlustrazione del piano era riuscita a trovare un paio di uscite di servizio, ma come aveva già ipotizzato in precedenza, entrambe erano bloccate da spesse macerie, impossibili da spostare con le mani. Non poteva trattarsi delle uniche uscite; ce ne dovevano essere anche altre. Rachel riprese così le sue ricerche, questa volta per un motivo del tutto differente da quello che l'aveva spinta all'interno della tetra costruzione: quello di andarsene di lì.
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