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Capitolo Otto: una chiacchierata alla luce del sole

Corro; corro con tutto il fiato che ho in corpo, ma inciampo sulla neve candida, illuminata dai raggi lunari. Ho i piedi, scoperti, ormai blu per il freddo e non sento metà del mio rigido corpo. Non riesco più a rialzarmi. Intorno a me c'è solo che vegetazione. Il gelido e forte vento soffia violento incontrando, sulla sua strada, diversi fusti di pioppo alpino, circondati da secche piante di biancospino.
Respiro e inspiro a fatica, ansimante e stremata. Porto una mano alla gola e sento i miei polmoni bruciare per la fatica.

«Non affaticarti così tanto, mio piccolo Fiore di Loto».

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Mi sveglio di soprassalto, con respiro irregolare e grondante di sudore. Tremante, mi guardo in giro ad occhi sbarrati e cerco di riconoscere il luogo in cui mi trovo. Stringo con forza il tessuto del futon sotto di me e, con il palmo della mano, mi asciugo la fronte bagnata. Il mio petto si alza e si abbassa, e riprende, poi, il regolare ritmo. «Giusto. Sono alla Casa del Glicine», dico tra me e me. Ormai calma, passo una mano tra i capelli (Colore Capelli) e prendo, tra le dita, una ciocca. «Quello era... un sogno?».

I raggi del sole mattutino penetrano in tutta la stanza ed esaltano ogni minimo particolare che, la notte, non ho avuto occasione di conoscere. Dietro di me c'è una grande veranda - engawa - che porta direttamente al giardino dell'abitazione e alla mia sinistra un piccolo mobiletto con diversi cassetti e con uno specchio decorato sopra di esso. Con aria trasognata, occhieggio un grande, rigoglioso albero, dalle foglie verdi e in salute.

Con assoluta lentezza, scopro i piedi e li muovo in direzione circolare. «Sembrano star bene», riprendo ad alta voce.
Emetto diversi sospiri, prima di alzarmi. Raggiungo lo specchio dalle cornici in legno, con lunghe piante intagliate su di esso, che sembrano fiori di giacinto. Vedo la mia immagine riflessa: ho gli occhi gonfi per il sonno e i capelli spettinati. Poggio, così, le mani nelle guance e inizio a massaggiare. Dalla mia bocca semiaperta esce un sibilo leggero. Non riesco a svegliarmi a dovere.
Sbircio in un cassetto, aprendo e tirando verso di me. Dentro ci sono solo cianfrusaglie. Cerco qualcosa che possa aiutarmi a sistemare la mia buffa espressione, ma riesco solo a trovare una spazzola in bambù; poi, con la coda dell'occhio, scovo - nascosto tra gli oggetti -, un bianco nastro in stoffa per capelli.

Scrollo le spalle con disinteresse e pettino accuratamente i nodi, poi, con il nastrino, lego stretta la mia chioma in una bassa coda di cavallo e mi avvio verso l'uscita per cercare un bagno. Decido, però, di passare per il giardino, in modo da poter ammirare la sua natura.

Infatti, come esco, noto immediatamente diversi alberi di ciliegio, non ancora in fiore. Lungo tutta la via, sono raggruppati, un po' ovunque, fiori di crisantemi - la maggior parte non sono ancora sbocciati, altri addirittura appassiti -. In fondo non siamo nel giusto periodo dell'anno per vederli fioriti. In ogni caso, i proprietari della casa devono tenere molto a questo giardino, curato com'è.

Mentre cammino, salgo sul corridoio esterno in legno, per evitare di sporcarmi a causa del fango. Una brezza mattutina e degli schiamazzi in lontananza, mi accompagnano.

«Nezuko! Cara Nezuko!», sento squittire all'improvviso.

Nezuko?

Supero l'angolo, accelero il passo e vado avanti per qualche altro metro. Capisco che le voci provengono dalla stanza dei ragazzi. Spero non stia succedendo niente di grave.

«Zeni'tsu!», dice quella che sembra la voce di Tanjiro.

Passo oltre l'ultimo cantone e mi fermo quasi completamente quando vedo qualcuno agiatamente seduto a terra, nella parte più esterna del lungo e stretto corridoio; esattamente davanti alla camera dei ragazzi. Assottiglio gli occhi per vedere meglio e cerco di capire di chi si tratta. Non ho dubbi quando vedo la maschera da cinghiale, dal pelo irsuto, coprire la testa dell'individuo a petto nudo. Pare che Inosuke si stia godendo il calore mattutino.

Faccio un silenzioso passo indietro e mi nascondo nell'angolo, poggiando la mia schiena alla parete. «Accidenti, non ci voleva», bisbiglio. Do un'occhiata, di nuovo, al ragazzo e batto un piede a terra con fare risentito. «Non ho intenzione di rivolgere la parola a quell'idiota! Come posso fare?», continuo parlando tra me e me. «Diamine! Non ci penso nemmeno ad avvicinarmi; non dopo quello che è successo ieri». Questa volta parlo, forse, a voce un po' più alta. Però, effettivamente... Cos'è che mi ha fatto arrabbiare così tanto?

Poggio la testa alla parete, drizzando la schiena. Non ricordo nemmeno più cosa mi abbia infastidita così tanto, ieri.

Incrocio le braccia al petto e lascio uscire dalle mie labbra un lungo sospiro. «Accidenti», dico. «E se fossi stata troppo cattiva con lui?», ragiono. Ritorno a guardare il ragazzo, questa volta con cipiglio in volto. Ma che dico... è stato lui che ha iniziato a istigare tutti. Forse dovrei andare là e far finta di nulla; semplice.

Inizio a battere, con le unghie, sul legno della parete. Mi sto facendo un sacco di problemi per niente.

Come penso a ciò, il mio corpo si muove in automatico. Con passi corti e rapidi, e con fare frettoloso, mi dirigo verso Inosuke. Rallento, pian piano, man mano che mi avvicino. «Buongiorno, Inosuke», dico a sudori freddi. Il baccano nella stanza dei ragazzi, nel mentre, sembra essersi calmato.

La maschera, che ricopre l'intera testa del ragazzo, si volta lenta in mia direzione. Un paio di occhi, azzurri come l'acquamarina, mi squadrano dalla testa ai piedi. «Uh?», esprime piatto lui; poi si gira e ritorna a guardare qualcosa che non riesco a capire, proprio a causa della stessa maschera. «Ciao, Scricciolo», dice.

Assottiglio le labbra e faccio combaciare, tra loro, le mie mani. «Va... Va tutto bene?», chiedo. Il suo tono di voce mi lascia impensierita.

Lo sento sbadigliare prima di rispondere. «Certo! Perché non dovrei star bene?», esclama.

Un sorriso sghembo si forma nel mio volto; sembra solo assonnato, per fortuna. Scuoto energicamente la testa e mi avvicino di qualche altro passo. «Posso sedermi?», domando, indicando il pavimento in legno. Ho tutta l'intenzione di scusarmi con lui per ieri.

Inosuke poggia le mani dietro di sé e incrocia le gambe. Il suo petto, ora, è ben in vista. «Fai quello che ti pare», cantilena.

Mi siedo accanto a lui e porto le ginocchia allo stomaco. Lo osservo con la coda dell'occhio e scosto un ciuffo di capelli dal mio viso, mentre penso a cosa dire.
È parecchio calmo stamattina. Sarà perché è ancora addormentato, o sarà perché vuole godersi il calore del sole qui fuori, chi lo sa; ma devo dire che, ora come ora, è quasi piacevole il suo nuovo e, spero, duraturo temperamento.

Poggio i gomiti alle ginocchia e rilasso, davanti a me, le braccia. «Allora, Inosuke», inizio. Lui si volta di quel poco necessario. «È passato, anche da voi, il medico?», chiedo.

Lui, in risposta, alza le spalle, disinteressato. «Fronte larga ha tre costole rotte; il mollaccione, invece, due».

Alzo un sopracciglio, confusa. «Stai parlando di Tanjiro e Zeni'tsu?», chiedo.

«Sì. Kanjiro e Monitsu! Di chi vuoi che stia parlando?», risponde sonoro.

Il mio viso si fa ancora più perplesso e smarrito dopo questo. «Tanjiro e Zeni'tsu, Inosuke... Non Kanjiro e Monitsu», tento di correggerlo.

«E cos'ho appena detto?!», dice, stringendo i pugni e alzandoli al cielo, agitando le braccia di qua e di là.

Non penso stia sbagliando di sua volontà, a questo punto. Giro completamente la parte superiore del mio corpo verso di lui. «Io come mi chiamo... ?», domando speranzosa.

Anche lui, ormai, è totalmente voltato verso di me. «Scricciolo!», risponde con sicurezza.

«È del tutto sbagliato!», alzo la voce. «Mi chiamo (Nome)!», lo correggo di nuovo. «E poi, che razza di nome sarebbe quello?», dico, quasi prendendolo in giro.

Si blocca, come attonito. Abbassa, poi, le braccia che, fino a qualche secondo prima, stava agitando. «Non è possibile. Ne sono sicuro», continua lui, convinto.

Lascio cadere la mia testa all'indietro e guardo il soffitto, scoraggiata. «Quindi si sono fatti parecchio male», cambio discorso, ritornando a quello iniziale. «Mi dispiace per loro, accidenti. Spero non abbiano troppo dolore», dico, accavallando le gambe.

Inosuke poggia le mani ai fianchi e ridacchia tra sé e sé. «Io ne ho quattro», dice orgoglioso.

«Quattro? Di cosa parli?», chiedo. Questo ragazzo è terribilmente difficile.

«Costole!», sbraita lui, tanto da lasciarmi intontita. «Ho quattro costole rotte!».

Porto il palmo della mano all'orecchio, pulsante. Appena mi rendo conto di ciò che mi è stato detto, sobbalzo. «Q-quattro?!», chiedo, sbattendo ripetutamente le palpebre. «E ti muovi così facilmente? Come se niente fosse?», trasecolo.

«Hah? Cosa intendi?», chiede lui. Si avvicina al mio viso e dalle narici della maschera dagli occhi azzurri escono due potenti fili di vapore che, come l'ultima volta, fanno muovere i miei capelli, questa volta raccolti. «Che vorresti insinuare con questo, maledetta? Pensi, forse, che sia debole?», dice. «Combatti!».

Porto le mani davanti a me e nego. «Accidenti a te! Non volevo di certo dire questo», mi giustifico. «È che, sai, di solito, quando si ha qualcosa di rotto, si fatica a muoversi per il dolore. Ma, a quanto pare, non è il tuo caso», dico. Trattengo, involontariamente, il fiato mentre aspetto la sua risposta.

Sembra pensare per un po'. «Cerchi di dirmi che sono forte? È questo che stai cercando di insinuare?», chiede, questa volta, esaltato. Solleva un braccio e lo irrigidisce, mettendo in mostra i suoi muscoli. «Sono forte, vero?», dice. «Sono forte!», ripete, come se si fosse appena risposto da solo, mentre ride allegro.

Il suo modo di fare disinvolto mi mette un po' a disagio. È davvero un idiota vanesio.
Non rispondo e sposto lo sguardo nel lato opposto al suo. «La tua continua fissazione 'sull'essere forti' e dovuta a qualcosa in particolare? Forse, perché sei nella squadra Ammazzademoni?», chiedo poi.

«Perché sono il re della montagna!», dice, dopo una buona dose di autocompiacimento.

Fisso, successivamente, gli occhi del cinghiale. Uno sbuffo silenzioso esce dalle mie labbra. «È per questo che porti questa maschera, allora?».

«La mia maschera, in tutto questo, non c'entra un bel niente», dichiara secco.

«Allora perché la indossi?». Sto perdendo, a poco a poco, la pazienza.

«Fai troppe domande!», afferma. «Sono stato allevato dai cinghiali e questo mi fa sembrare, di più, come loro!».

«Dai... cinghiali?», chiedo. Ciò che dice mi rattrista. «E i tuoi genitori?».

Espira con forza, a bocca socchiusa. «Non ho i genitori! Non li ho mai conosciuti e, onestamente, non me ne frega niente», rivela con evidente convinzione.

Lascio cadere le braccia; preferisco non continuare la conversazione. Difatti, come prevedibile, cala un profondo silenzio, che Inosuke non riesce a comprendere.

«Perdonatemi», sentiamo, all'improvviso, entrambi. Ci voltiamo, nello stesso momento, verso la fonte del suono. La bassa vecchietta dai capelli grigi, padrona dell'intera casa, si inginocchia vicino a noi. Ci guarda con espressione tenera e serena, mentre tiene, tra le mani, delle vesti color violetto; le stesse che indosso. «I suoi abiti sono davvero sporchi», dice con calma ad Inosuke. «Li restituirò dopo averli lavati. Nel mentre, potrebbe indossare questi? Sono molto confortevoli al contatto con la pelle».

Il ragazzo, evidentemente, non si aspettava di trovarsi, davanti agli occhi, la silenziosa nonnina. Sembra senza parole e piacevolmente contento della benevolenza della donna. Per l'appunto, accetta il cambio proposto.

Per la prima volta osservo, un po', la scena affascinata, fin quando lui non si cambia e la vecchia signora non se ne va.

«Sono comode queste vesti?», chiedo ad Inosuke, che le guarda con un certo appagamento.

«Sì», risponde solo, continuando a vagare nel suo modo.

Lo guardo, poi, pensierosa. Ora che ci penso, comunque, non si sente più volare una mosca. Sono venuta qui per gli schiamazzi e me ne sono completamente dimenticata.

«A ogni modo, Inosuke», tento di attirare la sua attenzione, con relativo successo. «Poco fa ho sentito un forte baccano provenire dalla vostra stanza. Ne sai qualcosa?», chiedo.

«Eh?», dice. «Ah, era solo il mollaccione che rincorreva il demone». Dal suo tono di voce, non sembra particolarmente allarmato.

Scatto in piedi, agitata. «Demone?!», domando. «C-cosa ci fa qui un demone?», continuo. Non ho nemmeno con me la spada nichirin.
Senza attendere risposta, faccio qualche veloce passo e raggiungo la porta della loro camera. La apro con forza, in preda all'ansia. Ma ciò che mi trovo davanti è totalmente il contrario di quello che mi aspettavo di trovare: Tanjiro e Zeni'tsu sono comodamente sdraiati nei loro futon a parlare, ridenti, di chissà che.

Batto due o tre volte le palpebre. È tutto tranquillo. Che Inosuke mi abbia mentito?

«Buongiorno, (Nome) cara!», gridacchia felice Zeni'tsu, alzandosi con un po' di fatica.

Anche Tanjiro saluta sorridente, alzando la mano. «Hai dormito bene?», chiede poi.

Lascio andare la porta, che tengo con forza, e mi rilasso. «Sì, certo... State bene?».

«Ovviamente», canticchia Zeni'tsu e si avvicina a me. Tanjiro, intanto, si alza e raggiunge me e il biondo. «Piuttosto, come mai sei entrata così in agitazione?», domanda il rosso.

Nel mio volto si formano delle pieghe e le mie labbra puntano verso il basso. «È colpa di Inosuke», dico arrabbiata. «Spiegami perché mi hai mentito!», riprendo, rivolgendomi al ragazzo dalla maschera da cinghiale.

Lui non aspetta attimo e balza in piedi. «Non ti ho raccontato niente di falso, dannata! Il demone è proprio lì!», indica, con il dito indice, la grande scatola in legno di proprietà di Tanjiro e che, ieri, Zeni'tsu ha protetto con impegno.

«Aspettate!», dice Tanjiro, mettendosi in mezzo, prima che possa nascere un'altra litigata. «Che sta succedendo?»

Respiro profondamente e tento di calmarmi. Mi dirigo, successivamente, verso la scatola. «Tanjiro, cosa c'è al suo interno?». Ora che ci ragiono, è per questo motivo che Inosuke ha picchiato il povero Zeni'tsu.

I ragazzi osservano il mio volto incupirsi, man mano che i secondi passano.

«Un demone», dice il rosso, abbassando la testa e stringendo i pungi.

Ammetto che non mi sarei mai aspettata una confessione del genere. Normalmente, credo avrei provato a uccidere all'istante la creatura, con ogni mezzo possibile, ma la reazione dell'amico, davanti a me, mi fa tentennare; e soprattutto, gli altri sono assurdamente tranquilli.
«Tanjiro?», lo chiamo.

«Quel demone è mia sorella. Non è cattiva, ti prego di credermi!», pronuncia.

Sento il mio cuore andare in frantumi, tanto da far male. Prima che possa rispondere, però, Tanjiro continua a parlare. «Se non mi credi, te lo dimostrerò, come ho fatto con loro!», dice teso e indica gli altri due. «Stasera! Dopo il tramonto!».

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