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25. Un Altro Amore Pt. II

Ariel scese per prima. Dopo aver chiuso lo sportello, si tenne dal tettuccio della macchina, camminando in punta di piedi fino a raggiungere la parte posteriore. L'acciottolato sotto i tendini le ricordò il dolore di quei momenti passati nei sotterranei del Lithium.

Gocce trasparenti scendevano timide sul suo corpo, mescolandosi con quelle che stavano solcando le sue guance. Proseguì a passo lento e trascinato, fino a quando non arrivò a toccare il cancello grigio con una mano.

Filadelfia...

Poggiò la fronte sul materiale freddo e attese il cigolio che ne precedeva l'apertura.

Ogni lacrima, una cascata di rimorsi.

Aperta la via d'ingresso, il cortile di cemento appariva di un grigio scuro a causa della pioggia.

Singhiozzava e, guardandosi intorno, si sentì schiacciata da un peso troppo grande da poter sopportare. Tutto in quel luogo sembrava rimproverarla; tranne quella figura che si dirigeva a passo spedito verso di lei.

Simon le corse incontro e, nella stretta del suo abbraccio, Ariel sentì venir meno tutte le forze. Si abbandonò a quelle braccia.

«Guardami Ariel... » le mani le stringevano il viso, fissando gli occhi nocciola in quelli arrossati di lei. «Non è colpa tua.»

Lo sguardo di Ariel barcamenava in cerca di una risposta sensata a quell'affermazione, perché in cuor suo si era convinta di essere stata lei - il Leone di Dio -la causa di tutto.

Simon le baciò la fronte, come a sigillare quel pensiero nella sua mente, stringendola di più a sé.

Ariel si guardò intorno e le sembrò che gli unici presenti nel Centro fossero loro. Niente volontari, né macchine parcheggiate come al solito. Oltre la porta d'ingresso alla sala mensa, Lucia, come pietrificata, attendeva con Heliu, impassibile. 

Ariel non poteva sapere della visione che Lucia aveva avuto un mese prima, e non conosceva nemmeno il motivo per cui erano entrambi fermi lì, senza alcun cenno di bentornato.

Gli occhi di Heliu fissavano torvi l'essere che ancora non si era deciso di scendere dal veicolo in sosta. Entrambi sentivano montare il risentimento, l'astio e l'odio verso chi aveva provocato la perdita del loro amato fratello.

Heliu rivide nei ricordi il volto di un Joshua quindicenne che entrava nel Centro di Smirne accompagnato da Simon. Quel Centro-in cui i volontari di una delle Sette Chiese si dedicavano a giovani tossicodipendenti e alcolizzati per aiutarli a superare la dipendenza-li aveva visti crescere insieme.

Così simili nelle debolezze, così uniti nella lotta contro quella Setta che - nonostante gli specialisti di Smirne- aveva la capacità di far tornare nelle ombre quei giovani strappati alla morte.
Joshua gli parlava sempre di Simon, di quanto fosse importante per lui, di quando l'aveva salvato. Grazie a lui, al suo incoraggiamento, era riuscito a vincere "il mostro" che i Lucifer propinavano ai ragazzini che si avvicinavano al Pub Lithium: una pastiglia violacea; un mix, di droghe che i ragazzi bevevano inconsapevolmente al bancone del bar. Quello che accadeva successivamente quasi nessuno viveva tanto a lungo per raccontarlo.

Quella Setta aveva anche sedotto la madre di Heliu, che lo lasciò solo e abbandonato a un oscuro avvenire, se non fosse stato per la mano di Simon.

Insieme a Joshua aveva corso, scherzato, litigato e amato in quel cortile diventato così buio, così vuoto, senza di lui.

Non posso amare chi ha ucciso mio fratello.

Lucia stringeva i pugni ai fianchi, nascondendo le mani dentro la stoffa del maglioncino di ciniglia. Si accorse con timore di stare recalcitrando alle parole che Simon le aveva rivolto, subito dopo aver appreso di quella visione che le aveva mostrato con tremenda chiarezza quel che, di lì a poco, sarebbe successo.

"Lucia, quella visione non è stata mandata da Dio, lo sai questo, vero?"

Non aveva risposto, limitandosi ad abbassare gli occhi alle ginocchia.

"Non voglio che tu stia male, che tu ti faccia del male. Non provare odio. Per nessuno. L'odio e la paura sono un lasciapassare  per i demoni, i nemici delle anime."

Aveva abbassato più volte il capo, e quando Simon le aveva alzato il mento per far sì che lo guardasse, deglutì di fronte alla verità che lui rappresentava. "Ama. Non stancarti mai di amare. Ama il tuo nemico e prega per chi ci perseguita."

"Ama il tuo nemico"... No! Non ci riesco e non voglio!

Gli arti tesi di Lucia ebbero un leggero fremito che Heliu notò con preoccupazione. Le strinse la mano e con lo sguardo assecondò i suoi pensieri.

   La pioggia andava via via affievolendosi, ma l'agitazione e il dolore nel petto di Nathan non accennavano a diminuire. Il battito pulsava nei pensieri e nella gola.
Gli bastò uno sguardo e un cenno del capo per far sprofondare Simon nella disperazione. 

Il Padre avvertì un tormento che feroce attraversava le sue membra, una lama affilata che recideva una parte del suo corpo. Una parte di sé che non era lì e che non ci sarebbe stata.

Gli occhi lucidi si spostarono verso l'interno della vettura per dare conferma al suo sconforto: nel sedile posteriore dell'auto vide solo un ragazzo dai lunghi capelli corvini, impegnato a fissare un punto imprecisato nel vuoto. Simon strinse i capelli tra le dita, martoriando le labbra coperte di barba per evitare di versare lacrime acide. Si girò verso la struttura alle sue spalle, gli occhi al cielo, le mani sui fianchi, il respiro concitato.

Non riuscì a trattenersi: portò il palmo della mano destra alla bocca, mentre il mento cominciava a tremare. L'urlo sembrò squarciare anche il cielo. Le ginocchia al suolo umido...

Quanto era passato? Quanti anni erano passati da quella notte in cui, come in quel momento, si era ritrovato fradicio, a terra, in quel cortile e con un peso sulle spalle? Un peso che adesso era vuoto. Un buco nero che risucchiava il respiro.

Lucia, dopo aver assistito al comportamento di Simon, iniziò a camminare verso il cancello grigio.

Fu così scorretto e vile il ricordo della sera piovosa in cui dovette scendere in pantofole per accogliere Joshua, che faceva ingresso nella sua vita, sulle spalle di Simon.

A quel pensiero si sentì attraversare il cuore da un dardo infuocato. Portò la mano al centro del petto quasi a fermare un battito talmente irregolare da farle male; stringendo la maglia tra le dita, continuò a passo insicuro. Avvertì sulla pelle lo scrosciare leggero dell'acqua del cielo e, quel ticchettio occupò tutti i suoi sensi. Per un attimo pensò di essere dentro una bolla di vetro: Come avrebbe potuto abbracciare Ariel senza poterlo fare con il fratello che l'aveva vista crescere in quello stesso cortile e che in quel momento la vedeva crollare carponi, tra i singhiozzi e fradicia di lacrime?

Acab aveva visto tutto e, di sicuro, non sarebbe sceso dalla vettura se Nathan, con gli occhi bassi, non gli avesse aperto lo sportello per farlo scendere. Il collega posto alla guida avrebbe potuto finire il turno di lavoro altrove.

Il ragazzo rimase lì, ad osservare, in silenzio, sotto la pioggia. I capelli incollati al viso spigoloso non gli impedirono di bearsi di ciò che lui non avrebbe mai avuto: l'amore di chi ti ama per quello che sei e non per quello che dovresti essere; l'amore di chi ti accoglie e non solo di chi ti genera.
Un altro amore, come quello di Ariel stretta tra le braccia di Simon.

Un'altra cosa che Acab notò, fu che nel sorriso di Simon c'era qualcosa che non aveva nulla di naturale, visto il momento in cui si stava celebrando la perdita di un ragazzo, che aveva dato la vita per quella stessa giovane dai grandi occhi marroni.

Non osò spostarsi verso l'interno della struttura, che, secondo i capi della sua Setta, rappresentava un'ambasciata del Regno dei Cieli.

Nel migliore dei casi, gliel'avrebbero fatta pagare in qualche modo.
A conferma della sua deduzione, spostando lo sguardo verso l'interno della struttura, vide che un giovane, dai capelli scuri e occhi intrisi d'odio, si dirigeva verso di lui con passo veloce.

Per un istante. ebbe l'impulso di indietreggiare, ma subito dopo comprese quanto sarebbe stato inutile darsi alla fuga di fronte all'inevitabile.

Acab si bloccò sul posto e prese un profondo respiro, mostrando i palmi.

Il colpo al volto fu così violento da farlo cadere al suolo e fargli assaporare il gusto terroso del fango.

Un calcio all'addome.

«Bastardo!»

Un altro.

«Assassino!»

Un colpo alla schiena.

«Lurido verme! Ci doveva essere lui qui! Non tu! LUI!»

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