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23. LA POSSIBILITÀ DELL'IMPOSSIBILE

Un caldo afoso sembrò soffocare le vie aeree di Simon; le palpebre erano incollate e serrate per il lungo sonno. Mosse le dita delle mani e sentì la frescura di un lenzuolo di cotone.

Aprì gli occhi e alla luce tiepida del mattino riconobbe la sua camera: la scrivania ben ordinata alla sua sinistra e in corrispondenza dell'ampia finestra, la libreria su cui si alternavano libri e studi biblici, in cui svettava la foto di Padre Peter. L'uomo dell'immagine sorrideva in un'espressione pacifica e eterea; pochi capelli bianchi contornavano il capo e gli occhiali erano poggiati sul naso importante.

L'immagine di colui che per primo gli aveva mostrato il Regno di Dio-attuabile in una famiglia dove il padre cura ogni anima come figlia unigenita-gli trasmise un senso di pace e rilassamento; si mise seduto, strofinandosi gli occhi con tre dita, cercando di riprendere il controllo degli arti indolenziti muovendo dapprima i piedi nudi, poi roteando le caviglie, stirando le braccia verso il soffitto.

Un brusco colpo alla porta interruppe quella pratica rinvigorente.

«Un attimo!» esclamò, dando una fugace occhiata alla ricerca della sua vestaglia di cotone: aveva dormito con canottiera e bermuda da quando aveva memoria.

«Simon, sono io. Nathan.»

In un sospiro, afferrò una maglia bianca a maniche corte. «Entra pure!»

Non era strano per Simon ricevere visite nel suo studio, dove un lettino singolo posto in fondo alla stanza, con un comodino e una cassettiera, lo dotava di tutto ciò di cui aveva bisogno. Spesso si era trovato nella condizione di doversi vestire in fretta per risolvere i problemi quotidiani a cui una comunità come la sua doveva far fronte.

In quel caso, viste le condizioni del Padre della Chiesa di Filadelfia, Nathan aveva preso il comando, risolvendo dal più piccolo litigio, alle problematiche delicate, forte del suo spirito di iniziativa e dell'autorevolezza ereditata dal padre, ex commissario di polizia.

La porta si aprì con estrema lentezza, facendo apparire la testa riccioluta di Nathan che si apprestava ad entrare nella stanza di spalle. Aveva dovuto piegare la maniglia con il gomito, perché le mani erano impegnate nella stretta di un vassoio d'argento in cui oscillava una tazza fumante di latte e miele e tre fette biscottate.

A piccoli passi si era diretto verso la scrivania e, poggiando il vassoio, prese la tazza e la posò sul comodino accanto a Simon, facendo attenzione a non scottarsi.

«Come ti senti?» gli chiese, rimanendo in piedi, con le mani ai fianchi, rivolgendogli uno sguardo preoccupato.

«Confuso.» sospirò.

«Lo credo bene...» disse, muovendosi verso la poltrona posta innanzi alla scrivania per girarla verso la sua direzione e sedersi.

«Ho pensato di vedere il Padre...»

Nathan ispirò profondamente e quasi come rivivendo l'esperienza che li aveva visti coinvolti, si lasciò andare con tutto il peso nello schienale.

In quegli istanti di silenzio si udirono le voci indistinte dei giovani e dei bambini che iniziavano a riempire il cortile; arrivarono come un eco nella stanza, attraverso l'apertura dell'ampia finestra. Poi, Simon alzò lo sguardo illuminato di speranza nella direzione di Nathan. «Li hai trovati?» Pronunciò, colto da uno strano sentimento di ansietà.

L'altro si piegò in avanti, avvicinando la poltrona al letto.

«È stata dura qui, una settimana senza di te.» confessò, strofinandosi gli occhi con i palmi e i gomiti puntati sulle ginocchia.

«Ho dormito così tanto?» corrugò la fronte, Simon.

«No, ma quasi.»

«Non ricordo nulla...»

«Gilbert ti ha tenuto sotto controllo per tutto il tempo. Pare sia normale il tuo bisogno di riposo.» Si schiarì la voce «Comunque... andrò stamattina al Pub Lithium.» e si alzò diretto verso l'uscita.

Dopo qualche passo, però, con fare dubbioso, tamburellò le dita sulla scrivania. «Avrei voluto parlarti di una cosa.» tossì, destando la curiosità di Simon, che si era appena alzato. «In merito alle elezioni comunali di novembre, dopo quello che è successo, sei proprio sicuro di voler continuare in questa missione?»

Avrebbe voluto aggiungere "suicida", ma si morse la lingua.

Sicuramente, quella domanda avrebbe ricevuto una risposta affermativa, ma volle tentare ugualmente, quasi come un amico cerca di consigliare al compagno d'opera ciò che è giusto, con le migliori intenzioni, ma, in fondo, lo sapeva bene, il loro non era un rapporto di amicizia: un figlio può solo comunicare le proprie preoccupazioni, ma le decisioni da prendere spettano al padre.

Simon analizzò la sua espressione contrita e lo osservò mordersi il labbro; gli si avvicinò con la tazza semivuota in una mano, mentre l'altra gliela appoggiò sulla spalla destra, stringendo con vigore, come a volergli trasmettere coraggio. Così, mentre nel suo volto si dipingeva un sorriso divertito per l'intento non riuscito del suo primo ministro, gli rispose: «Più di prima.»

Nathan ispirò e gettando rumorosamente aria dalle narici continuò imperterrito: «E non ti spaventa il pensiero che Judas abbia dalla sua parte cinque delle Sette Chiese della Confraternita, insieme a tutte le Lobby economiche e sanitarie del Paese?»

Parlò con voce quasi alterata, mentre Simon negava col capo quelle parole prive di senso, ma Nathan non si fermò. «...Per non parlare della tv e delle testate giornalistiche: i Lucifer possono controllare il quinto potere. Forse non ricordi le parole di quel dottore prima della nostra fuga dall'ospedale!»

Simon posò rumorosamente la tazza sul vassoio.

«E allora?» Si indignò. «Noi non possiamo contare su nessuno?» Aprì le braccia, per poi farle ricadere lungo i fianchi. «Mi meraviglio della tua poca fede.» Lo fissò con un cipiglio prima che l'altro potesse rispondere.

«Ho avuto paura, Simon. Ho avuto paura di perdere te, Heliu, Lucia... Di perdere tutto. Filadelfia è la mia casa, la mia ragione di vita.» Appoggiò il palmo sul cuore e pronunciò quelle parole stringendosi l'abbottonatura della camicia bianca le cui maniche erano arrotolate fin all'avambraccio.

A quelle parole, il Padre sentì che l'animo di Nathan era stato sfregiato da una situazione che, forse, era risultata più grande di lui. Lo sguardo del ministro fu poi rivolto al parquet, nel vano tentativo di ingoiare un nodo di incertezze.

«Nathan, questa vita è un Suo dono. Non capisci?» cercò il suo sguardo, stringendogli le spalle. «Noi possiamo scegliere di non essere parte del piano dei Lucifer, come invece non lo è il resto del mondo. Dobbiamo dare un'alternativa alla morte con la nostra vita.»

L'altro guardò in alto, cercando di cacciare indietro lacrime e, sospirando, gli disse: «Padre, sembra tutto così impossibile.»

Simon rise di gusto, dandogli una pacca su un braccio: «Caro Nathan, pensavo ti ricordassi il motto della nostra Chiesa...» L'altro, con sguardo interrogativo lo fissò in attesa della risposta. «Noi possiamo fare l'impossibile!»

Era ciò che alimentava le agonie della giovane Ariel: l'aver visto tutto ciò che reputava impossibile. Nei suoi piani, avrebbe dovuto salire quei gradini con Joshua e non tra le braccia di Acab.

Durante la salita, le sembrò che qualcuno parlasse con Joshua; nessuno di ostile, bensì un uomo con una voce limpida e musicale.

Scosse la testa: forse era stato lo stress, forse la mente le faceva brutti scherzi imponendole una pace impossibile da raggiungere. Il cuore accelerato in una violenta tachicardia, sembrava aver preso il posto di tutti i suoi organi interni; quella tensione derivava dall'impossibilità di comprendere gli intenti e azioni del suo salvatore, che aveva ritrovato e perso subito dopo.

Che senso ha?
Si domandò strofinando la fronte sulla spalla di Acab.

La fragilità fisica, la fame e l'aggrovigliamento di dubbi, la resero facile preda di forti dolori alla testa. Chiuse gli occhi, serrandoli in una smorfia, per poi abbandonarsi ad un sonno disturbato; l'unico conforto era la possibilità di poter rivedere la luce del sole. Anelava un calore che non riusciva a ricordare, fino a quando, si rese conto, con stupore, che la sua mano, posta al lato destro del collo di Acab, avvertiva il calore della pelle e le pulsazioni di un cuore accelerato. Non riuscì a rimanere indifferente a quella sorpresa e, d'istinto, si strinse di più a lui, nascondendo il viso nell'incavo tra mandibola e la spalla; poi, quasi fosse inevitabile, spostò il palmo sinistro fino a poggiarlo in corrispondenza dei suoi polmoni che si gonfiavano per aspirare e soffiare aria dalla bocca: azioni vive, umane.

Lui seguì quei gesti e il suo cuore implose nel desiderio di non trovarsi in quel luogo; poi, in modo naturale, si ritrovò a corrispondere quei gesti stringendola con più forza al suo petto e a piegare il capo, posando le labbra sui suoi capelli umidi.

Nella sua mente corsero i ricordi di rapporti gelidi e insignificanti, portati a termine nella violenza e nell'indifferenza; in quel momento, invece, capì di non aver mai gustato la dolce sensazione di un tenero avvicinarsi.

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