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22. La Forza Dell'Amore Pt. II


«Continua» gli intimò Judas.

Lo sguardo di Acab mutò, come se non avesse più niente da perdere; come se tutto, in quel momento, dipendesse da quel nome: la sua vita e la sua morte.

Il cuore palpitante non ebbe la meglio sulla sua decisione. Con capo chino e respiro irregolare, obbedì: «Ariel ha cantato e... pregato...» inspirando profondamente, rivolse gli occhi verso l'invisibile soffitto. Serrò le palpebre e continuò: «Nel nome di Gesù Cristo».

Un urlo stridulo e acuto gli inondò la mente e i timpani parvero rompersi. Il luogo sembrò tremare. L'oscuro Signore lanciò il pugnale nella sua direzione, mancandolo.
Non riuscì a scorgerlo oltre l'altare di marmo, ma vide le falangi ossee muoversi ai bordi della lastra marmorea, convulsamente, quasi come se si trovasse in ginocchio.

I pugni chiusi e le catene ai polsi, Acab strinse i denti per un dolore che ferocemente pulsava nelle tempie.
Tuttavia, una curva comparve sul suo viso prima di essere gettato al suolo dalle mani della sorella. Gli aveva stretto i capelli; lo aveva costretto a saggiare con le labbra quel liquido che colava fino a lui dalla donna che lo aveva messo al mondo.
Quel sapore ferroso gli arrivò al palato provocandogli un conato di vomito, mentre le forze parvero abbandonarlo sotto il peso del ginocchio della sorella che gli premeva le vertebre, spezzandogli il respiro.

«Basta così, Lilith.»
Il tono grave di Judas riempì la sala circolare. Gli occhi rossi della giovane puntarono il padre in un espressione confusa.
Lui le ordinò di andarsene con un cenno del capo e lei, digrignando, scattò in piedi, permettendo ad Acab di rimettersi in ginocchio.

«Sai cosa vuol dire questo, Acab?»
Lui si scostò una ciocca di capelli dagli occhi con un movimento del viso e fissò il padre con sguardo torvo. «Mi ucciderete.»
La risata silenziosa di Judas accompagnò quell'affermazione. «Oh no, non proprio.» ghignò, curvandosi verso di lui. «Sarai tu stesso ad ucciderti, dopo aver ucciso il Leone».

Il volto di Acab divenne pallido e il cuore gelò.
«Sì. Adesso sì che puoi tremare, figliolo.» quella pacca sulla spalla destra lo avvelenò più di quanto non avesse fatto il liquido inalato qualche istante prima.

La sua unica speranza era che Ariel fosse già al sicuro, lontano da lui.

Lei, invece, era ancora lì.

L'urlo del ragazzo le aveva lacerato le viscere, pietrificandola e mentre il respiro spezzato scandiva i momenti che la dividevano dalla presunta libertà alla morte certa, un movimento nel corpo di Joshua la fece sussultare. Un gemito seguì il fremito delle gambe del ragazzo che si trovava in posizione prona.
Solo le gambe erano semicoperte da brandelli di pantaloni, strappati sicuramente a causa delle frustrate.

Poi la schiena si inarcò e ad Ariel si bloccò il respiro. Le era sembrato tutto inutile fino a quel momento.

Il sangue che ricopriva ogni angolo di quella cella, come un ampio tappeto scarlatto, l'aveva portata ad una erronea, se pur ovvia conclusione: tutto quel liquido sgorgato fuori da una persona comune non avrebbe permesso a nessuno di rialzarsi.
Se non era morto, non si sarebbe potuto alzare da solo, né tanto meno permettersi di camminare.

Ma lui era Joshua e non un semplice umano qualunque.

"Si dia il caso che io non sia come i ragazzi di questo mondo"
I ricordi presero forme definite restituendole il momento in cui quel misterioso ragazzo era entrato nella sua vita.

Poi lo vide puntellare i gomiti al suolo, inspirando ed espirando a fatica. Dei riccioli castani ricadevano sulla fronte, coprendogli gli occhi.

Joshua tossì, sputando sangue e gemendo.

Ancora non poteva vederlo in viso, ma un particolare, in quel volto martoriato, colpì la sua attenzione: i capelli erano leggermente allungati sul davanti, ma la barba non era affatto cresciuta in sette mesi, ma circondava le labbra e la mandibola quasi accarezzandone il profilo.

Lei rimase lì, incapace di proferire suono, immobile e in ginocchio, osservandolo come si fa con un fulmine che colpisce un albero e lo incendia fin alle radici, mentre lui era riuscito a poggiare i palmi al suolo, posizionandosi a carponi.

Rimase in quella posizione per qualche minuto, respirando a fatica, come se fosse riuscito a risalire dall'oscurità degli abissi.
Un mezzo sorriso comparve sul suo viso, mostrandole la fossetta, e alzando lo sguardo per incrociare le iridi brune della giovane pronunciò: «Pace a te, Ariel...»

La sua voce aveva diradato le tenebre come un'alba di speranza; lei sorrise, inumidendo le labbra di lacrime.

Tra i singhiozzi, strisciò con le ginocchia fino a lui.

Quale pace ci poteva essere in un cuore fatto a pezzi e ricucito malamente in quattro parole?

Le bastò vedere un occhio semi aperto e l'altro gonfio e viola per capire che solo un miracolo l'aveva riportato in vita.

Sì fermò ad osservarlo da vicino per togliere una ciocca di capelli dagli occhi e, timidamente, sfiorargli le guance, trattenendo ulteriori lacrime nello scorgere solo un luccichio nell'iride sinistro e tutto il volto coperto da sangue rappreso.

Poi un fuoco di rabbia risalì le viscere, incendiandole i pensieri.

«Pa... Pace?!» urlò.
Lui si sporse subito verso di lei, ponendo una mano sulle labbra umide per farla tacere.

Lei inarcò le sopracciglia e poi, fissandolo con un'espressione di furia cieca, iniziò a colpirlo con le mani chiuse in pugni.

Lui la lasciò fare, fin quando, tra le lacrime, quei pugni rallentano la loro corsa, fino a fremere sul petto lacerato di Joshua.

Li accostò sulle labbra, mordendosi le nocche per non urlare e strofinò la fronte sulla clavicola del giovane.
«Non...» tentò Ariel. «Non dovrebbe essere così...»

«Shh» soffiò lui mentre le labbra si posarono sul capo e lei si aggrappava a quel calore, cingendo il collo con le braccia e stringere i suoi capelli tra le dita.

Erano rimasti lì, uniti in quell'abbraccio, lasciando che il tempo si fermasse.

Joshua la stringeva a sé percependo una gioia dal sapore agrodolce.
Così piegò la testa e nascose il naso tra la spalla e il collo di Ariel, inspirando profondamente l'odore di olio di oliva che ungeva i capelli scuri, prima di allontanarsi da lei.

«Dobbiamo andare ora...» la incitò.

Tra le sue braccia aveva lasciato una parte di sé e guardandola negli occhi ancora gonfi e rossi, si morse il labbro interno, inspirando l'odore acre dei liquami del luogo.

Ariel perplessa, gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma, come accadeva in passato, ci pensò lui a rispondere ai suoi silenziosi perché.
«Io ce la farò!» le sorrise, in una smorfia di dolore.

Lo sguardo limpido e il celeste sorriso erano come svaniti, celati all'interno di un viso dai contorni gonfi e arrossati.
Nel poggiare la pianta del piede al suolo, il ragazzo ebbe un sussulto e dovette tenersi dalla parete rocciosa per alzarsi definitivamente. Ogni movimento sembrava provocargli scariche di dolore in ogni parte del corpo e Ariel sembrava sentire ogni cosa.
Riuscì a rimanere in piedi e, aiutandosi dalle fessure delle rocce, camminò fino alle inferriate che Lilith aveva lasciato aperte.

Per tutto il tempo, Ariel lo osservò dal basso, a labbra schiuse, in ginocchio.
Lui si appoggiò alle sbarre con la spalla sinistra; con una mano si tenne a uno dei ferri e con l'altra incitò Ariel ad alzarsi, mentre il suo sguardo vagava preoccupato in ogni direzione.

Lei strinse le dita alle sue, posizionandosi dietro di lui.

In quel momento, rifletté su quel che aveva fatto Acab per lei - per loro - e sperò ardentemente che non gli fosse successo nulla. Tuttavia, il ricordo di quell'urlo pesò sull'anima, tant'è che mentre Joshua muoveva i primi passi oltre la prigione, si premette la mano sul petto avvertendo il gelo della morte trafiggerle il cuore.

Percorsero un paio di passi, poi Joshua si bloccò di colpo, tendendo i muscoli delle braccia, stringendole la mano in una morsa, senza muovere più un passo.

Ariel si scostò da lui giusto un po' per scorgere cosa fosse successo oltre le spalle di Joshua: il loro percorso era bloccato da un ragazzo dagli occhi azzurri, velati da una patina biancastra.




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Salve a tutti, lettori silenziosi!

Sì, avete ragione, non mi sono mai fatta sentire. Ma, che dire, volevo lasciar parlare loro, i personaggi. Adesso voglio rimediare e farmi sentire e, chi volesse, può visitare la pagina Instagram in cui posto immagini relative alla storia, come quelle che vedete in fondo. Mi trovate come SkysCadett e sono curiosa di avere le vostre impressioni in questo social in cui passo molto tempo.

Per quanto riguarda la storia: vi aspettavate questi risvolti? Arrivati fin qui, cosa potrebbe succedere?

Fatemi sapere!

Grazie a tutti. Pax.

.Skys

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