22. LA FORZA DELL'AMORE
«Un collega di mio padre mi ha dato un indizio» prese un lungo sospiro, colto da un improvviso senso di colpa «ma io non ci ho creduto fino a quando non ho verificato di persona».
«Quindi?» lo incitò Lucia.
Nathan si guardò intorno e abbassò la voce, sporgendosi verso i due.
«Lui mi ha detto di essere un cliente abituale del Pub Lithium e che negli ultimi mesi ha avuto la sensazione di sentire urla provenire dai sotterranei del locale. Ma nessuno osa dire nulla. Nessuno osa chiedere. La musica aumenta e non resta che andar via, o fare la fine di coloro che urlano.»
«Oh Dio...» commentò Lucia, ponendo una mano sulle labbra nel sentire la bile bruciarle lo sterno e il cuore accartocciarsi.
«Quando hai verificato?» domandò Simon, con il sudore che gli imperlava le tempie.
«Un paio di settimane fa, prima che Judas venisse a trovarci, sono entrato nel locale e ho osservato attentamente le mosse dei suoi dipendenti, ma solo Lilith andava e veniva dai sotterranei. Acab non l'ho mai visto.»
«Non mi stai dicendo nulla di nuovo, Nathan.» ringhiò Simon, con l'angoscia che permeava l'animo.
Il ministro deglutì, ammettendo la sua negligenza annuendo un paio di volte.
«Però» aggiunse poi «ho sentito la figlia di Judas parlare ad uno dei suoi di un prigioniero dal nome quasi impronunciabile...»
Gli occhi di Lucia si spalancarono fino all'inverosimile e un fremito attraversò le mani. Aprì la bocca per pronunciare parole, ma dovette rinunciare per dedicarsi alle condizioni di Simon.
La stanchezza del Padre rese pesanti le palpebre e la testa, già provata dal colpo di Judas, iniziò a vorticare.
«Non capisco Nathan, ma adesso andiamo. Mi spiegherai tutto al Centro».
Continuarono a scendere le scale e una volta arrivati al piano inferiore si accorsero di un innaturale silenzio che rendeva i loro passi rumorosi.
Sembrava che i tre fossero gli unici presenti in tutta la struttura. I medici e i pazienti del pronto soccorso sembravano essersi dileguati.
«Tutto questo è molto strano.» commentò Nathan.
«No, è tutto regolare.» intervenne Simon, con voce roca «Vedi quelle auto nere nei parcheggi? Mi stanno aspettando.»
Rimasero fermi lì, a un metro dalle porte scorrevoli dell'ospedale. Nathan mosse il capo a destra e sinistra, cercando una via di fuga alternativa, poi il suono del motore di un veicolo a due ruote gli bloccò il respiro. Quel suono lo conosceva fin troppo bene e d'un tratto sentirono lo stridio di una brusca frenata.
Heliu era arrivato poco oltre l'ingresso, alla guida della moto di Nathan; le porte si aprirono sfiorate dalla ruota posteriore.
«Andiamo!» gli urlò il ragazzo.
Non c'era il tempo di fare molte valutazioni, e, mentre gli adepti si preparavano a scendere dalle vetture, Lucia e Nathan aiutarono il Padre a salire sulla moto.
«Vai! Vai!» furono le ultime parole di Nathan prima di osservarlo superare le automobili in una pericolosa sgommata.
Il ragazzo sparì oltre il cancello dell'Ospedale seguito dalle auto nere dei Lucifer.
«Quel grandissimo...»
«Nathan!» Lucia lo redarguì con lo sguardo e il ministro rispose prontamente:
«Come ha fatto ad arrivare qui con la mia moto?!»
«Sono stata io appena ho avvertito che quel medico voleva rapire Simon...» Lucia abbassò lo sguardo all'asfalto che iniziò ad annebbiarsi.
«Cosa facciamo, adesso?!» gli urlò la ragazza in preda al panico, strattonandolo.
Nathan le prese il viso tra le mani. «Stai in pace. Adesso andiamo. La nostra fede muoverà le montagne!» rispose con sguardo fiero.
Così, i due si diressero verso l'auto e una volta chiusi gli sportelli, il ministro attivò la sirena e partì premendo tutto il piede sull'acceleratore.
Era stata l'auto del padre di Nathan, ex comandante della Polizia di Filadelfia, a permettergli un rapido ingresso in ospedale e ora sperava di servirsene per percorrere le strade senza ostacoli.
***
Intanto, il luogo della riunione solenne, in cui doveva recarsi Acab, si trovava nei sotterranei oltre le prigioni.
Scese gli scalini di pietra della scala a chiocciola, seguendo i passi di Judas, in silenzio e a testa bassa.
Nella bocca ormai priva di saliva, i denti si serravano evidenziando la mascella e i muscoli, a causa di movimenti convulsi, venivano resi visibili nelle braccia nude.
Ombre lo attraversavano e sussurravano parole di morti e di anime lacerate, mentre il tremore divenne parte integrante del suo essere e la mancanza di ossigeno si faceva sempre più pressante.
Arrivati alla fine della scalinata, proseguirono lungo un tunnel stretto e angusto, irrigato da liquami maleodoranti, provenienti dall'unica porta presente.
Per osservarla interamente fu necessario alzare il capo fino al soffitto: alta e ampia ritraeva immagini e bassorilievi di figure demoniache che avevano pervaso i suoi sogni negli ultimi anni.
L'ampio portone di legno scuro, illuminato dalle torce poste ai lati degli stipiti, si aprì non appena il padre mostrò la mano sinistra alzata.
Lo sguardo di Acab vagò oltre l'apertura; osservò l'ampia sala circolare alle cui pareti erano poste armi e utensili utilizzati per le torture, ancora gocciolanti.
Al centro si ergeva un cubo di marmo su cui giaceva una donna, nuda, incappucciata di nero, incatenata mani e piedi, esangue; dal cappuccio uscivano ciocche di capelli scuri che percorrevano le braccia innaturalmente bianche e rigate da ferite sanguinanti.
Il suono del sangue che picchiettava sul pavimento di marmo chiaro, lo intontì come un carillon spettrale; il suo respiro divenne pesante quasi fosse in un'ampolla di vetro.
Nell'oscurità tetra e impenetrabile del luogo, i sacerdoti erano posizionati lungo tutto il perimetro della sala, vestiti di una lunga tunica rossa e con il cappuccio che copriva per metà il loro viso pallido; erano loro che portavano una flebile luce nel palmo della mano come fiamme di fuoco.
Al centro, dietro l'altare, una mano fuoriusciva dall'ombra più fitta, impugnando un coltello pronto a lacerare la carne nuda della donna che ancora non aveva un volto.
Fu in quel momento che il padre di Acab fece un paio di passi per raggiungere l'Oscuro Signore e obbedire alle sue richieste incanalate silenziosamente nella sua psiche; Judas prese un calice posto ai piedi della donna, si piegò sulle ginocchia e lo pose in direzione del liquido vitale che colava dalle braccia.
Aspettò che la coppa di vetro si riempisse fino all'orlo e osservandone il contenuto con sguardo indagatore lo porse alla figlia Lilith. Lei era la sacerdotessa più giovane e, a lei, spettava il primo sorso.
Acab aveva più volte assistito a quei riti, ma mai aveva bevuto il sangue di qualche vittima; egli, infatti, non aveva mai scalato l'ultimo gradino di quella orrenda piramide; ma quando vide la sorella dirigersi a passo lento verso di lui, capì che era giunto quel momento.
La osservò, come si guarda una rosa appassita piena di spine: i passi erano felpati e i piedi scalzi si tingevano del rosso dei fiumi che colavano dall'altare. Completamente coperta da quel manto violaceo, ad Acab non rimase che guardare il soffitto tentando di mandar giù il terrore che continuava a provocargli fremiti incontrollati imperlando il viso di gocce trasparenti.
«I demoni non tremano, Acab.» la voce calda e dai toni sensuali della sorella gli provocarono un espressione di disgusto; serrò la mascella e roteò il capo nella direzione opposta a quella del calice.
Lilith lo schiaffeggiò, impregnando la sua canottiera del liquido contenuto nel bicchiere.
Quell'atto di ribellione provocò l'ira del suo Signore che urlò nella sua mente parole d'odio e vendetta, seguite da minacce di morte per lui e per colei che stava sciogliendo il ghiaccio del suo cuore.
Quella voce gli fece digrignare i denti e indirizzare lo sguardo verso l'Ombra, le cui mani scheletriche si muovevano nell'oscurità.
Il torace di Acab sembrò ripiegarsi verso l'interno per farne uscire l'ossigeno e svuotare le sacche dei polmoni: il suo Signore voleva la sua anima, in quel momento.
Furono secondi interminabili, ma poi qualcosa mutò.
D'un tratto, Judas si sporse verso l'oscurità del suo padrone per ascoltare la sua richiesta.
Acab crollò a terra, con le mani al suolo per inalare quanta più aria poteva.
«Il nostro Signore chiede cosa sia successo nella cella, prima che arrivassi io. Precisamente dopo che Lilith ha punito il figlio del mandato di Filadelfia.»
Acab prese un profondo respiro, inalando l'odore pressante di zolfo che aleggiava in quel luogo.
Col respiro concitato, prima che potesse rispondere, la mano di Judas levò il cappuccio alla donna posta come sacrificio.
Quel muscolo nel petto, che aveva cominciato a vivere dopo aver conosciuto il sapore di una semilibertà, sembrò frantumarsi in scaglie di ghiaccio acuminato; stallatiti che trafissero i polmoni facendolo smettere di respirare.
Gli occhi sbarrati osservarono il corpo di Regina, sua madre.
L'urlo che si levò da quel luogo arrivò fino ad Ariel, che mise le mani alle orecchie, pietrificata.
Gli ultimi brandelli di speranza volarono via, come foglie d'inverno.
Con il viso rigato da lacrime amare, Acab tentò di articolare una frase: «Il Leone di Dio ha iniziato a...»
Era chiaro che ogni sua parola sarebbe stata utilizzata contro di lui e al pensiero che anche Ariel avrebbe fatto quella fine, sentì di fermarsi e pesare le parole.
Poi un flash.
Due parole l'avevano gettato in ginocchio.
Due parole.
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