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Capitolo 2. Notte

«Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevan gli occhi così subito che neppure potevo dire a me stesso: "M'addormento".»


Alla ricerca del tempo perduto. La strada di Swann
, traduzione di Natalia Ginzburg

La prima notte in una nuova casa, addormentarsi è strano.

Nella mia vecchia casa mi erano familiari anche i rumori esterni che arrivavano fino al mio letto, come il percorso di qualcuno che rientra (il suono dell'apertura del cancello automatico, poi la porta di un garage, il portoncino, quindi ascensore, chiavi, ingresso, interruttore della luce, passi, acqua che scorre in bagno, tubature); mi sembra di averli memorizzati tutti in sequenza, con la stessa precisione musicale con cui si ricorda una vecchia canzone ascoltata per anni. Persino certi scricchiolii di mobili o porte, per quanto rari e quindi verosimilmente causa di inquietudine, mi risultavano in qualche modo rassicuranti. «Scusa se ci stiracchiamo a quest'ora, mentre tu cerchi di dormire», sembravano sussurrare i piani della mia libreria, «è che di giorno arriva troppo rumore da fuori: se non riusciamo a sentire le nostre fibre distendersi per bene, non siamo certi di aver fatto l'esercizio nel modo giusto.» In questa casa le stesse librerie, rimontate nella stanza accanto, hanno una voce nuova.

Presumo ci voglia un po' per abituarsi a un nuovo silenzio notturno, lo sapevo già prima di trasferirmi, è una cosa che ho provato in tutti i posti in cui ho dormito nella mia vita. La prima volta in cui capita apri gli occhi, magari accendi la luce, ti guardi intorno, scruti la penombra, in allerta; ma già dalla successiva, inizi a familiarizzare con quel suono, ti sforzi di indovinarne la fonte, lo associ, poi impari a riconoscerlo, infine lo memorizzi. Con il tempo ti abitui anche ai suoni animali. Il canto degli uccellini sull'albero davanti alla finestra della cucina, il cane nella casa dall'altra parte della strada che trascina la ciotola sul portico, il gallo della cascina in fondo alla via; ma non sei minimamente preparato allo squittire di un topo. In quel caso non solo apri gli occhi, ma scatti dal letto e ti metti a sedere sul materasso, poi in piedi, come se piuttosto che un roditore ti trovassi in casa dei coccodrilli, sul pavimento, pronti ad azzannarti alle caviglie. Almeno, questa è stata la mia reazione.

A ridosso di uno dei muri della sala, il vecchio proprietario aveva fatto costruire una contro-parete, fatta rimuovere con ogni probabilità poco prima di mettere in vendita la casa; la conferma è ben rappresentata dai segni a terra e da quel mucchietto, in un angolo, di macerie, pezzi di intonaco, polvere, ciottoli del muro rimasti sul pavimento dopo la pulizia della parte più consistente del lavoro, del quale i dettagli di rifinitura sono stati rimandati a un poi indefinito. Forse anche lui aveva un padre come il mio. Mi è sembrato allora poetico quanto adesso mi sembra stupido, assegnare a quel mucchietto di spazzatura l'ultima voce nella mia lista di cose da fare, il fantomatico "pezzetto lasciato indietro". Non ho alcun dubbio che il topolino sia venuto da lì e che occupandomene prima avrei potuto risparmiare a me stesso questo spaventoso risveglio nel cuore della notte. Ma ora il vero problema è un altro: farlo andare via. 

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