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Introduzione e 1 - Triccia

Premessa

Le vicende inerenti il cyberbullismo e propinate in sequenza dai vari canali di informazione non sono mai state confortanti. La maggior parte delle storie finisce in tragedia e a rimetterci sono sempre le vittime, perlopiù minorenni, che decidono di uscire di scena dal palcoscenico della vita per stoppare un incubo perpetratosi nel tempo fra violenze fisiche e psicologiche non indifferenti.

Il cyberbullismo è una piaga dilagante che contiene, etimologicamente parlando, un rimando alla tecnologia di un mondo che vuole essere al passo coi tempi. Non è altro, infatti, che un tipo di bullismo che si svolge soprattutto online e che coinvolge una larga fetta della popolazione giovanile. Insulti e minacce, corredati dalla pubblicazione non autorizzata di foto e video delle vittime in atteggiamenti disinibiti sui principali social network, sono diventati il pane quotidiano dei giornalisti di cronaca nera.

A tal proposito si organizzano sempre più incontri, dibattiti, conferenze in cui esperti del settore cercano di istruire insegnanti, genitori e adulti in generale a riconoscere questo fenomeno e ad avere il coraggio di denunciarne i soprusi.

Nonostante ciò, appena circola la notizia di un suicidio o di una morte legata al cyberbullismo, la reazione dei genitori è negare che un fatto del genere possa accadere al proprio figlio o alla propria figlia. Ed è questo l'errore o meglio il comportamento da cambiare. Non si deve mai pensare che una vicenda non ci possa toccare da vicino perché gli adolescenti sono bravissimi a indossare una maschera per cercare di proteggersi per paura di essere sgridati dai genitori. Sfidare la vita a tavolino con un dado in mano e la convinzione che non uscirà mai la faccia del cyberbullismo nella vita dei propri figli è davvero rischioso, perché questi genitori hanno un 50% di probabilità di sbagliarsi e l'altro 50% di perdere per sempre i propri figli.

Se succede, dunque, se la vita ci pone davanti questa difficoltà quali strumenti abbiamo in mano per fare in modo che i nostri figli ce ne parlino senza vergogna o senza timore di essere giudicati? Come possiamo aiutarli?

Me lo chiedo da sempre, anche se non sono mamma e faccio ancora parte di quella generazione che ha visto nascere il cellulare, ma sa cosa sono le cabine del telefono e ha vissuto dieci anni senza Internet. La tecnologia ha fatto da passi da gigante e, come ogni cosa, ha mostrato i suoi lati positivi e negativi. Dipende ovviamente dall'uso che se ne fa. Non mi scaglio contro i social network, perché senza quelli i nostri rapporti sociali non esisterebbero vista la piega che abbiamo preso, ma forse sarebbero migliori. Senza i social network il cyberbullismo non esisterebbe, ma ci sarebbero state comunque altre forme di bullismo. Dunque, non facciamo paragoni con i nostri tempi, le persone (non solo i ragazzi o i bambini!) trovano sempre il modo di prendere in giro più o meno pesantemente un proprio coetaneo, di qualsiasi età, razza, religione, colore della pelle...

Vi chiederete perché abbia deciso di scrivere questa storia su una piattaforma come Wattpad che è un social network. Non è un controsenso? Sì, forse lo è, ma è anche una piattaforma giovane, popolata da persone che forse almeno una volta nella vita sono state vittime di cyberbullismo.

Non condanno niente e nessuno, scrivo semplicemente la storia di Triccia, che non è vera, ma che potrebbe essere la storia di ognuna di noi, di nostra sorella, cugina o di nostra figlia. Triccia ha 15 anni e mezzo e la sua "colpa" o meglio ciò per cui si sente in colpa è aver mandato al suo ragazzo Michele delle sue foto nuda, dopo che lui stesso gliele aveva chieste. Questo non è cyberbullismo, questo è mandare foto private al proprio ragazzo. Il problema è se il ragazzo in questione decide di renderle pubbliche e se i compagni di scuola iniziano a insultare con appellativi volgari, sfruttando spesso l'anonimato sbandierato e offerto gratuitamente dalla Rete.

Questo è il problema. Questo è cyberbullismo. Questa è la storia di Triccia. Premetto che le tematiche affrontate in questa storia sono molto delicate. Scrivo con l'intento di stimolare le vostre coscienze, farvi rendere conto di quanto stiano crescendo troppo in fretta i vostri figli.

Lo schifo non ha limiti se la coscienza è omertosa.

Qualsiasi forma di cyberbullismo è un reato.

Denunciare il cyberbullismo è un dovere.

Clockie_24

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Dedica

A tutti i ragazzi e le ragazze coinvolti in vicende di cyberbullismo.

A chi ne è uscito vincitore e ha avuto il coraggio di parlare e di denunciare i suoi aggressori.

A chi è stato schiacciato da questo peso e non ce l'ha fatta a sopportarlo.

A chi ha urlato in silenzio senza che nessuno riuscisse ad ascoltarlo in tempo.

A chi pensa di non farcela e ha la tentazione di mollare.

A chi non sa con chi parlarne perché ha paura di non essere creduto.

A chi subisce quotidianamente insulti online e nasconde il dolore dietro a una maschera.

A chi è stato vittima di cyberbullismo e ora ha una famiglia che probabilmente non sa nulla.

A chi si nasconde per non essere giudicato e rinuncia a essere se stesso per paura.

A chi ha figli, cugini, amici che ne sono o ne sono state vittime.

A chi non ha paura di cercare la verità scavando a mani nude nel fango che viene scagliato contro le persone.

A chi vuole lavare via il dolore dalla vita delle persone.

A chi capisce, conforta, consola e ridona il sorriso.

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1 - Triccia

4 novembre 2014

Basta, cazzo. Smettetela. Apro la bocca per dirlo, ma non esce niente. Non un misero filo di voce. L'urlo rimane dentro e mi lacera il cuore in uno strazio infinito. Non riesco neanche a piangere perché non so più dove cazzo pescarle, le lacrime. La vita non fa sconti, diceva sempre mio nonno, e io le sono debitrice di una cazzata. Una. Sola. Cazzata. Ci sta, ho 15 anni, di cazzate se ne fanno tante, ma questa mi sta schiacciando con tutto il suo peso e io non so come reagire, non so che fare. L'unica cosa che so è che vorrei tornare indietro per non commettere quello sbaglio e per non doverne affrontare ogni giorno le conseguenze. Mio nonno diceva anche che nessuno al mondo ha il potere di tornare indietro, ma tutti si sentono in dovere di rivangare nelle vite degli altri e qualcuno sta davvero sconquassando la mia.

Non so quanto possa essere divertente insultare gli altri, ma tanto tutti seguono chi pensa che lo sia mentre urlo in silenzio, affogando i miei dispiaceri nel cibo, convinta che arriverà il giorno in cui dovrò chiedere aiuto e confessare a qualcuno quello che ho fatto, sperando di essere capita.

Se non l'ho ancora detto a nessuno, però, è perché la mia paura più grande è proprio essere giudicata o etichettata, ancora una volta, senza che possa spiegare le mie ragioni. Perché di ragioni ne avrei anche: sono stata una stupida, lo ammetto, ho fatto una cosa che mai avrei pensato di fare, ma l'ho fatta per amore, l'ho fatta perché mi fidavo e l'ho fatta perché aveva minacciato di lasciarmi. Era il mio ragazzo, cazzo. Mi aveva chiesto di mandarmi delle foto mie, perché fossi sempre con lui e mi sembrava una cosa tenera se non fosse per il fatto che in quelle foto avrei dovuto essere nuda. Ricordo di aver sospirato quel giorno, di aver ripensato a tutti i miei disagi e al fatto che odio il mio corpo, ma l'idea di vedermi nuda in una fotografia mi faceva un effetto strano. Mi sembrava una cosa da grandi e in un certo senso ero anche onorata che lo avesse chiesto proprio a me. Le mie compagne di classe l'avevano già fatto in prima, ma una cosa del genere i loro ragazzi non l'avevano chiesta o almeno credo. Da me Michele voleva delle foto dettagliate, non ho pensato cosa volesse farsene. Non ho pensato che automaticamente si sarebbe sentito il proprietario di quelle foto, come forse considerava me dopo che io stessa avevo deciso di dargli la mia verginità.

Un pomeriggio mi sono chiusa a chiave in camera mia, mi sono svestita davanti allo specchio e ho provato una sensazione di disagio che non avevo mai provato prima. Io e Michele l'avevamo fatto da poco e l'idea che mi vedesse ancora nuda mi faceva stare male, ma ormai non ero più la bambina di una volta, ero una quindicenne che aveva una relazione con un ragazzo ed era normale che il proprio ragazzo la vedesse nuda, sia dal vivo che in foto. Avevo saputo convincermi bene e alla fine, preso un po' di coraggio, mi ero anche divertita a farmi selfie in pose disinibite.

Gliele avevo mandate su WhatsApp la sera stessa. Mi ero talmente morsicata il labbro per l'ansia di sapere cosa ne pensasse che quando rispose mi toccai d'istinto la bocca e avvertii la presenza di un leggero taglio. Mi rispose dopo due ore dicendo che avevo fatto un buon lavoro. Mi ero fatta solo delle foto - pensai - non dovevo trovarci nulla di male. Eppure me la facevo sotto all'idea che mamma o Licia scoprissero quelle foto. Non sapevo come avrei potuto reagire e ancora adesso non lo so perché il codice di blocco finora mi ha salvato il culo.

Ripensandoci, credo che davvero Michele si sia sempre considerato il proprietario di quelle foto, ancora prima che gliele mandassi. Doveva essere un fottuto gioco. Doveva mandarmele anche lui, poi. Nessuno doveva vederle. Invece. Parole al vento. Quello stronzo ha iniziato a ricattarmi, a dirmi che se non facevo tutto quello che voleva lui le avrebbe messe online. Lo amavo e mi sono fidata, anche perché l'idea che tutta la scuola mi vedesse nuda mi avrebbe uccisa. Aveva capito subito che avrei fatto di tutto per impedirgli di rendere pubbliche quelle foto, ma ovviamente quello che facevo non era mai abbastanza e alla fine le ha sbattute su Instagram. Michele ha un migliaio di follower su quel social, tutta la scuola le ha viste e anche gente del quartiere.

Mi sono sentita morire dentro. Gente che conosco, ma soprattutto sconosciuti mi hanno visto nuda e hanno iniziato a giudicarmi. È passato un mese e io li vorrei denunciare tutti, ma dovrei ammettere davanti al mondo di aver fatto una cazzata simile. E ho paura. Ho una maledetta paura. Ora come ora vorrei solo che qualcuno mi salvasse da questo inferno perché io non so più dove cazzo sbattere la testa.

- Triccia, scusa, hai visto il mio pigiama, quello con i gatti? L'avevo appoggiato sulla vasca, in bagno, ma non lo trovo più...

Licia apre la porta della mia camera all'improvviso e mi trova seduta per terra. Tremo come una foglia e stringo forte a me le ginocchia nella speranza che anche questo ennesimo attacco di panico passi.

- Triccia... che succede?

Si avvicina, cambia tono di voce, si inginocchia di fronte a me, mi fa una carezza su una guancia.

- Niente - rispondo, con un filo di voce.

- Ma come... niente? - non se la beve - stai tremando e hai gli occhi lucidi...

- Ho mal di pancia....

Per un attimo mi sfiora l'idea di vomitarle addosso tutto quello che sto vivendo, ma non mi capirebbe. Nessuno mi capirebbe.

- Vieni, se ti sdrai sul letto è meglio - mi dice, aiutandomi a rialzarmi - ti preparo una camomilla? Almeno stanotte ti aiuterà a dormire meglio...

- No, non mi va... - rispondo.

- Perché non vai in bagno a cambiarti e a metterti il pigiama? Se non stai bene, forse conviene che ti riposi e vedrai che domattina ti sarà già passato tutto...

- Ok, fra un po' vado - le dico, appoggiandomi alla testiera del letto.

- Io invece vado a vedere se rintraccio il pigiama - mi dice, alzandosi - se non stai bene, stanotte, mi chiami, ok?

- Ok.

Arriva sulla soglia della porta, si ferma un attimo e si volta di nuovo verso di me.

- Lo sai che ti voglio bene, vero?

Era da un sacco che non me lo diceva e non so perché me lo dica proprio adesso. Forse perché mi ha visto in quello stato, forse perché mi ha visto fragile, forse perché la storia del mal di pancia non se l'è bevuta del tutto e pensa che stia passando un brutto periodo.

- Lo so, però mi fa piacere se me lo dici...

Torna indietro, si siede sul letto e mi abbraccia. Mi aggrappo con tutte le mie forze a lei. Vorrei tornare bambina, senza pensieri per la testa, libera.

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