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55 (prima parte) - Licia

Lunedì 1, Licia's pov

Esco sbattendomi la porta alle spalle come se quel rumore fosse l'eco prolungata del terremoto che ha bruscamente sconvolto il mio equilibrio interno. Una scossa di una manciata di secondi mentre Triccia mi vomitava addosso lo schifo, finalmente libera da quel groviglio di ansia e paura che l'hanno imprigionata per tutto questo tempo. Quando ha preso il secchio e ci ha vomitato dentro, ho capito che il passaggio più atroce non era ancora stata in grado di dirmelo. Non eravamo mai stati alla fine di quel tunnel. Guardando il suo viso contrarsi in preda a un vomito ansiogeno ho capito fino a che punto un dolore emotivo possa diventare fisico. Credevo ingenuamente di essere riuscita a prenderla metaforicamente per mano per condurla fuori da quella galleria buia in cui si era rifugiata, da quel suo angolino in cui si era accucciata, versando fiumi di lacrime e lottando contro se stessa per mettere a tacere una verità scomoda, una verità davanti alla quale avrebbe dovuto ammettere il suo sbaglio.

Un brivido mi percorre la schiena e penso a quanta forza, nonostante tutto, abbia dimostrato Triccia. Quanto dolore avrà provato a tenersi tutto dentro, quanto male le avranno fatto quelle lacrime versate senza che nessuno gliele asciugasse, quanto schifo le avranno tirato addosso senza che lei avesse fatto niente per meritarlo. Ha sbagliato a mandare quelle foto, è l'unica sua colpa. Quella che si sente di avere, ma per me non ha colpe. Per me, nonostante tutto, è sempre quella piccola pulce e se solo mi fossi accorta in tempo di quanto male le stessero facendo, le cose sarebbero andate diversamente.

Entro nell'ascensore e mi appoggio alla parete. Schiaccio il pulsante per scendere. La lentezza con cui arriva a piano terra si scontra con la rabbia che fa pulsare a mille il cuore e che mi attorciglia le viscere. Vorrei che l'ascensore scendesse in un lampo, anzi vorrei avere il potere di teletrasportarmi a casa di quella stronza e urlarle in faccia tutto il mio odio per aver ridotto la mia pulce uno scheletro vivente.

Marianna la deve pagare e la deve pagare cara. Come ho potuto, cazzo, fidarmi di un essere tanto malvagio! Non ho più il coraggio di definire Marianna una persona. Non posso riconoscere la dignità a una che per prima si diverte a toglierla agli altri. Non credo di aver mai visto tanta cattiveria concentrata in un'unica persona. Non pensavo potesse esistere al mondo qualcuno di così diabolico, eppure esiste. Lei. Ma come cazzo si fa a manipolare così tanto il proprio fratello al punto da convincerlo a rendere dipendente dalla droga una ragazza di quindici anni? Credo che, anche sforzandomi, non riuscirò mai a capire del tutto la sua personalità. Credo che, anche se avessi la possibilità di vedere come ragiona, non riuscirei a capirla ugualmente. Ho bisogno di credere che sia così, forse per giustificarmi, visto che non mi sono mai accorta di niente, visto che non ho mai avuto il più piccolo sospetto su di lei. Non sapevo niente della sua famiglia e ora improvvisamente mi trovo trascinata nel vortice di bugie che lei stessa ha creato attorno a sé: scopro che non ha solo una sorella, ma che ha anche un fratello. Scopro tante cose che si sommano le une alle altre e poi scopro gradualmente lo schifo che ha fatto vivere a mia sorella.

Salgo in macchina, ma non riesco a mettere in moto. Appoggio le mani al volante, ma mi manca la forza di reagire. Sono troppo agitata, devo darmi una calmata. Mi tremano così tanto le mani che non riesco a inserire le chiavi nel quadro. Mi sembra di aver bevuto trentamila caffè. Vorrei fare qualcosa, ma mi sento paralizzata. Il mio cervello non connette più, è come se si stesse arrendendo all'evidenza: sono una cogliona, cazzo, sono una cogliona.

Mi sento così stupida, così ingenua, così idiota da non aver capito subito di che pasta fosse fatta Marianna. Mi sento quasi tradita perché fino a poco tempo fa la consideravo la mia migliore amica. Mi sento ferita perché mentre io la consideravo una bella persona lei stava rovinando quello che ho di più caro al mondo: mia sorella.

Finalmente riesco a mettere in moto la macchina, ma non ho il coraggio di andare da Marianna. Ho paura, ho una maledetta paura che possa succedere qualcosa, che possa farmi del male.

Mi sfiora l'idea di telefonare ad Alvaro. Lui, con il suo irrefrenabile desiderio di vendetta, accetterebbe immediatamente la mia richiesta di aiuto.

Faccio un respiro profondo.

Voglio chiamare Alvaro, devo chiamare Alvaro. Mi ha tradito anche lui, ma lo devo chiamare. È l'unico, in questo momento, che mi capirebbe. Giorgio sta già lottando contro i suoi demoni per mettersi di nuovo nei casini con la giustizia, io in realtà non voglio fare niente di male, voglio solo affrontare quella stronza, ma voglio un testimone. Alvaro non mi tradirebbe più. Se succede qualcosa mentre affronto Marianna, a lui fa comodo la mia testimonianza e a me fa comodo la sua. Odia troppo Marianna per mettersi contro di me.

Lo chiamo, ormai sono convinta.

Accosto la macchina ed estraggo il cellulare.

Un'altra chiamata mi precede, la chiamata di una persona che non pensavo neppure avesse il mio numero.

Rispondo solo perché ho paura che gli sia successo qualcosa, invece mi accorgo subito, da quello che dice, che Triccia ha il numero di una persona che non dovrebbe avere.

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