Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

27 - Giorgio

Sabato 22, Giorgio's pov

Non ho voglia di andare a Milano da Marianna, vorrei solo rimanere in camera mia, da solo, isolato dal mondo, a pensare a quello che è successo, ma ormai le ho detto che ci sarei andato e non ho voglia di litigare anche con lei. Poi Marianna mi ha scritto che aveva pensato di andare a pranzo da Nico perciò la prendo come un'occasione per rivederlo e passare del tempo anche con lui. Marianna è un'amica, ma a volte è troppo invadente. O almeno questa è l'impressione che ho io. Non dico che fra me e Licia si sia mai messa in mezzo molto anche perché non ne avrebbe avuto motivo. Io e Licia non siamo mai stati niente al di fuori di due amici. Abbiamo convinto il mondo di essere solo amici, ma non siamo riusciti a convincere altrettanto bene noi stessi. Io, perlomeno, non ci sono riuscito. Lei, invece, con Alvaro ci è riuscita benissimo. Sono persino andati a letto insieme. Avrei preferito che Licia avesse avuto il coraggio di dirmelo a voce, ma evidentemente è una vigliacca come è vigliacco Alvaro. E io invece sono lo stupido che gli ha passato il numero di Licia.

Arrivo in stazione a Ravenna, parcheggio l'auto, raggiungo i binari. Il treno è in ritardo. Mi siedo su una panchina.

Chissà perché ma non mi dispiace arrivare dopo a Milano. Forse perché sinceramente non me ne frega niente di Marianna. Se sapessi invece che c'è Licia ad aspettarmi in stazione a Milano avrei già iniziato a sudare freddo, sarei corso dal bigliettaio a chiedergli l'elenco degli altri treni disponibili, insomma avrei fatto qualcosa. Perché di Licia m'importa, non posso più mentire a me stesso, noi non siamo mai stati solo amici, siamo sempre stati diversamenti estroversi, ma semplicemente noi. Adesso so che farei di tutto per averla al mio fianco perché lei sarebbe il mio angolo di paradiso dopo anni di inferno. Ma non voglio fare l'egoista, lo so qual è il mio posto, io non potrò mai averla. Perché quello che ha scelto non sono io.

Quando arriva il treno, salgo ed è come se mi lasciassi Ravenna alle spalle, come quando sono partito per l'università quattro anni fa, senza sapere chi avrei incontrato, cosa avrei fatto, cosa avrei visto, come avrei vissuto. Ancora non sapevo niente di Licia, ancora non sapevo che le nostre vite si sarebbero incrociate per sbaglio, per uno degli sbagli più belli che siano mai esistiti.

Ricordo ancora la prima volta che ci siamo visti. Tutti a lezione dalla Roger, la temutissima prof. di inglese. Io, Nico, Licia, Marianna, Gigliola. Ci siamo conosciuti per gradi. Marianna e Gigliola avevano fatto il liceo insieme, poi io ho conosciuto Nico, Licia ha conosciuto Marianna e poi io ho conosciuto Licia. Mi ricordo come se fosse ieri quel giorno in cui, uscendo da lezione, vidi che stava per prendere l'autobus per tornare a casa. La raggiunsi saltando come un pazzo prima che si chiudessero le porte.

- Vieni a lezione dalla Roger, vero? - mi chiese, sorridendo - mi sembra di averti già visto in giro.

Il suo sorriso. Contagioso, spontaneo, sincero. Mi colpì subito. Era la prima ragazza della mia età con cui parlavo dopo cinque anni rinchiuso in una comunità di recupero.

- Sì, dalla Roger - risposi, ricambiando il sorriso.

Rimanemmo in piedi per tutto il tragitto che l'autobus impiegò ad arrivare in stazione. Entrambi da lì prendevamo un altro autobus per raggiungere le nostre rispettive case. Lei, la casa dove era nata, io un appartamento condiviso con altri studenti universitari. Continuammo a parlare per tutto il tempo, sembrava che l'autobus non dovesse mai arrivare a destinazione, sembrava che qualcuno avesse fermato il tempo solo per noi.

- Comunque è questo il libro che devi comprare per la Roger - le dissi, mostrandole il mio.

Mi sorrise. Non l'aveva ancora comprato.

- Grazie, mi segno il codice - rispose, prendendo un foglietto.

Quando l'autobus arrivò in stazione, scendemmo insieme e poi ognuno tornò alla propria vita, per quella sera.

- Biglietto.

Il controllore. Lo estraggo per farglielo vedere, lo guarda, me lo ridà. Tutto a posto. Passa oltre.

Fu verso aprile del primo anno che iniziammo ad uscire tutti insieme cercando di conoscerci meglio e di diventare buoni amici. Ma per me era tutto così difficile. Più passava il tempo, più mi innamoravo lentamente di Licia. Nico forse sospettava qualcosa, ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. E poi Alvaro, che avrebbe sempre voluto conoscere i miei amici dell'università, ma non ho mai avuto il tempo di presentarglieli. Forse si sarebbe trovato bene con Nico, con Marianna, con Gigliola, ma sapevo già che si sarebbe trovato troppo bene con Licia. Per questo non glieli ho mai voluti presentare. Licia, in particolare. Forse perché sapevo come sarebbe andata a finire. Sapevo che lui le avrebbe fatto fare tutto quello che voleva, perché ha sempre fatto così con tutte.

- Posso?

È una signora anziana. Sta indicando il posto vuoto di fronte a me. Mi alzo per farla sedere meglio poi mi risiedo anch'io. Guardo fuori dal finestrino. C'è il sole, anche se è inverno. Mi stringo nel cappotto. Ho freddo.

Credevo che non sarei mai riuscito a dire a Licia quello che provavo per lei, invece ieri sera gliel'ho detto, vinto dall'esasperazione. Ora mi sento strano. Vorrei parlarle a voce, ma non ho appuntamento con lei oggi e mi manca il coraggio di telefonarle di nuovo. Le ho detto che mi piace e lei mi ha detto che se gliel'avessi detto prima mi avrebbe ricambiato, ma il problema è che adesso lei si è innamorata di un altro. Di lui, di Alvaro, sempre di lui e di quel suo fantastico sorriso. Credevo che fosse mio amico e che la smettesse di andare a letto con le ragazze che piacciono a me, ma evidentemente sono destinato a non essere la scelta di nessuno. Non sono bravo con le parole, non sono bravo con i gesti, non sono bravo con niente, ma d'altronde io non mi merito niente. Come posso pensare di avere accesso alla felicità se sono stato il primo ad averla tolta a un altro?

- Fa freddo, oggi, eh?

È la vecchietta di prima, forse vorrebbe fare conversazione, ma in questo momento ho in mente solo una persona: Licia.

Riuscirò mai a dirle del mio passato? Sarò mai in grado di guardarla negli occhi e di dirle che sono un assassino? Che sono un maledetto assassino che involontariamente, per un incidente a un poligono di tiro, ha tolto la vita al suo migliore amico? Riuscirò mai a dirle tutto senza piangere, senza chiederle di perdonarmi come se quel ragazzino che non ha mai potuto diventare grande fosse suo fratello, come se con il suo perdono riuscissi a perdonarmi un po' anch'io o a cercare di andare avanti e di vivere anche un po' per Renato? Ci riuscirò? Ho passato la mia adolescenza in una comunità di recupero a tormentarmi la coscienza, ad annegare nel rimorso di aver accettato quell'invito del papà del mio amico, ad aver preso in mano quell'arma che ha tolto la vita a suo figlio. Mia madre ha smosso il mondo per non farmi finire in galera, ma io, in qualsiasi luogo mi trovi, mi sento fuori posto. Mi sento in colpa per essere ancora vivo. Mi chiedo perché quel colpo sia finito addosso a Renato e non a me. Mi chiedo perché e non trovo risposte, accumulo solo domande. Domande a cui non riuscirò mai a dare risposte che riescano a dirmi: "Perdonati". Sono cresciuto con l'inferno dentro, con quegli occhi sbarrati che mi hanno perseguitato e continuano a perseguitarmi nei miei incubi, vado avanti con quella consapevolezza addosso di non meritarmi che questa vita. Incolore, insapore, inodore. Non merito niente di più, non merito di essere felice. Non merito un cazzo di niente perché nessuna ragazza riuscirà mai a condividere con me un peso simile.

- Ti piacciono i succhi di frutta?

La vecchietta apre la sua sporta e ne tira fuori una confezione.

- Li ho presi per mio nipote. Lui ne va matto. Ne vuoi uno? Io ho sete.

- No, grazie.

Avere avuto il permesso di uscire da quella comunità e andare all'università è stato come ritornare a respirare dopo cinque anni in apnea perché a Milano nessuno mi conosce. A Ravenna, invece, ogni volta che incrocio qualcuno che sa, vedo l'odio nei suoi occhi e mi sembra di sentire ancora le urla isteriche del papà di Renato davanti a me, a quel bambino impaurito che non aveva mai preso in mano un'arma, davanti a quel bambino che non sapeva sparare.

Mi alzo. Vado in bagno. Mi guardo allo specchio e scoppio a piangere. Nei miei occhi vedo ancora quel bambino. Quel bambino che corre, che corre a chiedere aiuto, sapendo che per quanto potesse mai correre veloce, sarebbe stato tutto inutile. Sarebbe stato troppo tardi.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro