Lei non mente
È una giornata fresca, di luce bianca.
Fuori si sta bene in maniche corte, pure di mattina, e i pallidi e timidi raggi del sole di aprile illuminano le macchie e gli aloni di sporco sul parabrezza della mia auto. Vi vedo qualche insetto spiaccicato, polvere grigia, cacca di uccello, e pure le orme delle zampe di un gatto che deve esserci salito sopra, e penso che uno di quei giorni dovrei davvero darle una ripulita – una ripulita come Dio comanda, però.
È una giornata fresca, di luce bianca, e c'è silenzio.
Charlotte, alla mia destra, se ne sta zitta zitta, in muta contemplazione del parabrezza, o forse, più semplicemente, della strada oltre esso: il suo sguardo rimane fisso lì, senza spostarsi di un centimetro, e io mi sono ritrovato più di trenta volte, nel giro di due minuti, a volgerle occhiate perplesse, senza però ricevere il benché minimo accenno di vita da parte sua.
Che stia pensando a me? Probabilmente no, ma è bello crederlo; certe volte me ne convinco pure, del fatto che quando sta in silenzio, pensi a me. So benissimo che non è così, in ogni caso, ma il dubbio mi divora vivo, dallo stomaco alle ossa: darei oro per leggerle la mente, in giorni come questo.
All'improvviso accende la radio, e quasi prendo un colpo al suo repentino spostamento; il silenzio assoluto non lo sopporta neanche lei, evidentemente.
La guardo armeggiare con i pulsanti, sintonizzandosi sulla prima stazione che riesce a prendere, ricadendo poi all'indietro sul sedile nero e inspirando a pieni polmoni. Cinque minuti dopo, però, si stanca anche di quello, quindi inserisce uno dei suoi CD nel lettore e stavolta lascia scorrere la musica che le piace.
«Charly,» mormoro. Tengo le mani sul volante e gli occhi sulla Ford Fiesta lì davanti, ma la mia tesa sta ruotando ancora attorno a lei. «Cos'hai?»
«Perché, cos'ho?» rilancia la domanda, ma ormai la conosco, questa tattica che adotta quando non vuole parlare con me. O con la gente in generale.
«Perché non dici niente, oggi?»
Fa spallucce. «Non ho niente da raccontarti».
«Hai un altro?»
«Uno solo?» il sarcasmo della sua voce mi fa sorridere leggermente. «Che cazzo di domanda è, scusa?»
«Boh, pensavo. Conoscendoti...»
«Se avessi un altro te lo direi. Non ho paura di lasciarti, lo sai».
Sospiro: «Lo so».
«Ecco,» la conversazione si spegne nuovamente, e lei alza il volume della musica.
If you wanna hang out you've got to take her out.
Cocaine.
If you wanna get down, down on the ground.
Cocaine.
Non conosco la canzone, non conosco chi la canta, e confronto a lei mi sento un bigotto ignorante in fatto di musica. Cioè, non tutta la musica, solo ignorante in fatto di rock: in macchina si ascolta solo ciò che decide Charlotte – rock 'n' roll, rock psichedelico, country rock, blues rock, punk rock, hard rock, indie rock – e a me va bene, perché so prestare attenzione solo a lei.
She don't lie, she don't lie, she don't lie;
Cocaine.
Con la coda dell'occhio, la vedo tirare fuori il pacchetto di sigarette dallo zaino nero, ai suoi piedi, e frugare poi nella tasca della sua giacca leggera, alla disperata ricerca di un accendino fra un miscuglio eterogeneo di cianfrusaglie inutili, che ricordo tiene sempre con sé.
Abbassa il finestrino e si accende la cicca. Fuma esclusivamente quando è sola col sottoscritto, ed è una delle poche cose che fa per dimostrarmi affetto: fidarsi di me. Si fida abbastanza da tenere fra le labbra una cosa che potrebbe ucciderla, e di inspirare il suo fumo con me accanto.
Mi fa sentire lusingato.
Oppure fuma quando è con me perché la faccio innervosire, ma non credo sia poi così vero: io sono la sua calma, questo è sicuro, e lei sarà la mia rovina. Non che m'importi, per ora – intanto me la scopo.
If you got bad news, you wanna kick them blues.
Cocaine.
When your day is done and you wanna run.
Cocaine.
«Che schifo,» borbotta, dopo un attimo, smettendo momentaneamente di far ciondolare il capo a ritmo della chitarra, osservando attentamente il mozzicone di sigaretta che tiene stretto fra le dita.
«Cosa?» domando. «Quella?» indico la cicca.
Mi scocca un'occhiataccia. «La scuola. Una merda».
«Vai pure bene, cosa ti lamenti-»
«Non mi sto lamentando,» scuote la testa, fermandomi a metà frase. «Sto solo dicendo i fatti per come stanno. La scuola è una merda, e non negarlo».
«Beh, devi andarci».
«Devo? Davvero? Perché?» riduce gli occhi a due fessure.
«Per imparare quelle quattro cazzate che devi imparare per fare la maturità e finire l'anno, cogliona».
«E poi? Andare all'Università, lavorare per pagarmi gli studi, dipendere dai miei fino ai trent'anni, trasferirmi, lavorare per pagarmi un appartamento, buttare le mie conoscenze nel cesso, tirare l'acqua, sposarmi, fare figli e lavorare fino a quando non crepo di noia?»
If your thing is gone and you wanna ride on.
Cocaine.
Don't forget this fact, you can't get it back.
Cocaine.
«Boh, sì,» sbuffo. «O puoi fare la scrittrice, ma non butti giù una riga da quanto? Nove, dieci mesi?»
«Stronzate, Rick,» dice lei. «Sono solo un mucchio di stronzate. E smettila con la storia della scrittrice. M'incazzo».
Sbuffo ancora. «A scuola devi andarci, Charlotte. Mi dispiace».
Aspira l'ultimo millimetro di tabacco, riducendolo a cenere, prima di gettare la sigaretta consumata dal finestrino e richiuderlo subito dopo. «Non è vero che ti dispiace».
«Non puoi saperlo,» scrollo le spalle. «Fossi a casa, potremmo scopare tutto il giorno. Quindi sì, mi dispiace che tu debba passare sei ore seduta dietro un banco, e non sotto le coperte con me».
«Pensi sempre al sesso, tu,» bofonchia lei, ma non riesce a nascondere quel lieve sorriso che le incurva gli angoli della bocca, che la rende la piccola, dolce ragazzina diciottenne per la quale sto rinunciando ad un mucchio di cose, tipo la mia musica nella mia macchina.
«Tu no?» ribatto.
«Certo che no,» e mente. So che ha mentito: lei, al sesso, ci pensa in continuazione. Lei pensa al sesso e alla scrittura, e so bene quanto ci stia male, per quest'ultima. Mi sento pure in colpa, perché è da quando mi ha conosciuto che non scrive una sola parola, anche se non vuole ammettere sia a causa mia. E non vuole neanche ammettere che mi ama, o che per lo meno mi vuole bene – immagino sia il prezzo da pagare per stare con una come lei, che deve per forza scrivere di tutto.
If your thing is gone and you wanna ride on.
Cocaine.
Don't forget this fact, you can't get it back.
Cocaine.
Non appena il brano finisce, arriviamo a scuola. Charlotte si sporge verso di me, mi lascia un bacio sulla guancia, scende dalla mia auto, e io la scarico lì nel parcheggio, allontanandomi dalla sua aura di negatività con una schiacciata di acceleratore e un'occhiata nostalgica alla sua figura che si rimpicciolisce sempre più.
Mentre lei studia, in quella mattinata fresca, di luce bianca, io riaccendo la radio, rimettendo il pezzo che tanto le piace giusto per non sentire troppo la sua mancanza.
Me la immagino nel sedile di fianco al mio, con la cicca fra le labbra, mentre fa dondolare la testa seguendo la musica e canticchiando la melodia, senza parlarmi, come se sia io a non essere veramente lì, come se non riesca a vedermi, per poi girarsi e dirmi: «Ti amo!»
Una bella bugia, ma che vorrei sentire più di ogni altra cosa. Chissà se era quello a cui stava pensando, prima.
She don't lie, she don't lie, she don't lie;
Cocaine.
E la canzone la imparo a memoria.
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