1 - Il primo compito dell'anno
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She's walking over to me
This must be fake
My lip starts to shake
How does she know who I am?
And why does she give a damn about me?
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Mia madre, dal corridoio, mi urla di svegliarmi. Perché si agita tanto? La scuola non può mica scappare.
Mi volto a guardare la sveglia. Sono soltanto le otto del mattino.
Un momento.
Impreco, mi alzo di scatto dal letto e corro in bagno a prepararmi prima di scendere giù in cucina dove, una volta arrivata, vengo accolta dal sorriso smagliante di mio padre. «Devo fare colazione. Adesso. C'è un po' di latte?» , domando, agitata.
Non posso permettermi di arrivare in ritardo. Mi diplomerò qui; i professori non devono farsi una brutta idea di me.
«Te l'ho già riscaldato io, tesoro. Calmati» , cerca di tranquillizzarmi mia madre, porgendomi la tazza bollente.
Bevo tutto velocemente e mi brucio la lingua.
Non importa, Connie. Sei forte. Resisti e non lamentarti.
Mio padre, sconvolto tanto quanto mamma, fa per dirmi qualcosa, ma lo interrompo. «Sto bene, sul serio. Non preoccupatevi. Ora, però, devo andare. Ci vediamo più tardi.»
Li saluto e, dopo aver preso lo zaino, esco di casa. Inizio a correre, presa dal panico. Arrivo a scuola stremata. Ho il fiatone.
Entro e, dopo essermi guardata intorno, mi accorgo che i corridoi sono deserti. Fantastico, sono tutti in classe.
Sono le otto e quaranta e sono già disperata e stanca di questa giornata del cavolo. Devo trovare subito la mia aula.
«Sai che in Inghilterra la scuola inizia alle nove, vero?» Mi volto di scatto. Harry, il ragazzo di ieri, è appoggiato a un armadietto. Regge fra le mani un libro e mi osserva, divertito.
Sgrano le palpebre. Ha ragione. Come ho potuto dimenticarlo? A quanto pare, la mia mente è ancora ferma agli anni passati negli Stati Uniti.
«Certo» , mento per non fare una figuraccia. «Mi andava di arrivare in anticipo. Tu, invece, perché sei qui?»
«Vengo sempre presto a scuola; il silenzio mi aiuta a ripassare meglio» , mi risponde.
«Ma le lezioni sono iniziate soltanto ieri» , gli faccio notare. «Che cosa dovresti ripetere? Il programma di qualche corso dell'anno scorso?»
Riesco a strappargli una risata, anche se non era mia intenzione farlo. Volevo soltanto togliermi una curiosità. «In realtà, nulla» , risponde. «Ma non riuscivo più a dormire e sono uscito presto di casa» , mi confessa. Si volta per lasciare il manuale nel suo armadietto.
«326. Me lo ricorderò, così saprò sempre dove trovarti.»
Il riccio rivolge un'occhiata al cartellino incollato all'anta di metallo e sorride. «Chiederò alla bidella di cambiarlo; non vorrei averti sempre fra i piedi.» Si allontana senza aggiungere altro.
«Se non ci fossi io, a quest'ora saresti solo» , gli dico, ferita.
«Lo so, vengo apposta presto.»
«Hai detto che non piaci a nessuno. Se non ti rivolgessi la parola, chiacchiereresti con le pareti» , mi spiego meglio. Si limita a rispondermi con una scrollata di spalle. «Ieri eri gentile» , gli ricordo.
«Questo liceo fa schifo; volevo soltanto renderti sopportabile il primo giorno di lezioni.»
«Ridi alle mie battute e mi prendi in giro. Davvero non ti vado proprio a genio?» Scuote la testa. «Va bene, buona giornata, allora. Corro in classe.» Gli do le spalle.
Sghignazzando, allunga una mano per prendermi dalla maglietta per fermarmi. Confusa, ruoto il capo per guardarlo di nuovo. «L'aula è da questa parte.»
«Lo so» , mento nuovamente. «Mi andava soltanto di esplorare la scuola.»
Scoppia a ridere. «Scherzavo, sai? Mi ispiri simpatia. Volevo soltanto metterti alla prova e assicurarmi che ti andasse ancora di rivolgermi la parola dopo aver avuto un piccolo assaggio del mio caratteraccio. Vuoi venire con me in caffetteria?»
«Mi stai prendendo ancora in giro o non vuoi più liberarti di me?» , chiedo, confusa.
«Posso provare a sopportarti.» Sorride. «Allora?»
«Andiamo.» Lo prendo sottobraccio e lui si irrigidisce. «Scusami» , mormoro, lasciandolo andare.
«Non preoccuparti» , dice. «Non hai fatto nulla di sbagliato. Sono io che non sono abituato ad avere contatti fisici con le persone» , mi spiega. «Andiamo?» Mi porge di nuovo il braccio e io, allegra, mi ci aggrappo.
•••
«Corri, Harry! Devo prendere i libri!» , urlo con il fiato corto.
Abbiamo perso troppo tempo in caffetteria e, ora, siamo in ritardo. Arrivare per primi questa mattina non ci è servito a nulla.
Leggo i numeri sugli armadietti.
224. Ecco il mio. Lo colpisco come mi ha mostrato Zayn ieri e, subito, si apre. Prendo un quaderno e richiudo l'anta di metallo.
«Vedo che impari in fretta.»
Mi volto di scatto. «Zayn» , mormoro, sorpresa. Il ragazzo accanto a lui, un biondino sorridente, mi osserva incuriosito.
«Ciao, Connie. Ciao anche a te.» Rivolge un'occhiata al riccio.
«Harry» , gli ricorda lui, visibilmente infastidito.
«Sì, giusto. Ciao, Harry.» Dà un'occhiata al suo cellulare. «Beh, si è fatto tardi. Ci vediamo in classe.» Si allontana con il suo amico al seguito che, pur non conoscendoci, ci saluta educatamente con un cenno del capo.
«Seguiamo gli stessi corsi da anni ed è la prima volta che mi rivolge la parola.»
«Mi dispiace, Harry» , affermo, triste.
«Non preoccuparti. Non ho mai bramato le sue attenzioni.» Si sistema meglio gli occhiali sul volto. «Adesso, andiamo. Non mi piace arrivare tardi a lezione.»
•••
Appena entrata in aula, noto che il professore non c'è. Correre, quindi, è stato inutile.
Io e il riccio, stanchi, andiamo a sederci in fondo alla classe.
«Scusate il ritardo, ragazzi.» Il signor Brown entra giusto quando prendo posto.
«Non credi anche tu che sia bellissimo?» Alla bionda seduta davanti a me sfugge un sospiro. La rossa alla sua destra annuisce.
Harry, schifato, arriccia il naso.
«Vi prometto che, da domani in poi, cercherò di arrivare sempre in orario.» Si sistema meglio la cravatta. «Anche perché non credo di avere altra scelta. Non voglio problemi con la preside.» Riesce a far sorridere buona parte della classe. «Ho una buona scusa, comunque. Mi ero dimenticato questi a casa. Senza, non avrei potuto assegnarvi il primo compito dell'anno.» Dopo aver lasciato la sua valigetta sulla cattedra, la apre per prendere dei fogliettini sparpagliati al suo interno. Svuota un portapenne e ce li butta dentro. «Su ciascun pezzo di carta è scritto un tema. Svolgerete a coppie una relazione su ciò che vi capiterà e me la consegnerete fra due settimane.» Si avvicina a Zayn, seduto al primo banco, e lo invita ad estrarre qualcosa dal piccolo cilindro di latta.
«La storia di Notting Hill» , legge ad alta voce il moro.
«Bene. Insieme a chi farà il compito?»
«Niall.» Indica con un cenno della testa il biondo di questa mattina che è seduto dietro di lui.
Il professore corre a segnarselo su un'agenda. Subito dopo, invita tutti ad avvicinarsi a turno alla cattedra per completare l'estrazione.
«Harry, vuoi andare tu?» , bisbiglio quando tocca a noi.
«Non se ne parla.» Gli rivolgo uno sguardo truce e raggiungo il professore. Lui solleva il capo e mi sorride in modo gentile.
«Ha un compagno per la relazione o devo assegnarglielo io?»
«Lavorerò con Harry.»
«Quindi, si sta già ambientando? Mi fa piacere saperlo.»
«Non mi converrebbe fare diversamente, visto che finirò il liceo qui.»
«Dunque, la stabilità tanto agognata è finalmente arrivata» , commenta.
«A quanto pare.» Ricambio il suo sorriso e poi, leggermente imbarazzata, mi sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e prendo un bigliettino. Non puoi comportarti come se fosse un tuo amico, Connie. Ricordati che è il tuo professore. Non farti ingannare dalla sua giovane età. «Il mistero di Notting Hill» , leggo.
Il signor Brown mi rivolge un'occhiata. «Eccellente, Connie. Personalmente, credo sia il tema più interessante.» Si appunta ciò che ho estratto. «Sono felice che sia capitato proprio a lei. In questo momento, mi sento vicino ai novellini. Mi ispirano simpatia» , sussurra, senza staccare gli occhi dal foglio, prima di rimandarmi al mio posto.
«Scrivimi l'indirizzo di casa tua da qualche parte.» Confusa, mi volto a guardare Harry. «Per la relazione. La faremo domani.»
«Abbiamo due settimane per consegnarla» , gli ricordo.
«Mi piace fare le cose in anticipo.» Segna qualcosa sul suo quaderno e poi mi rivolge di nuovo un'occhiata. «E scusa se non ti invito da me, ma non ho mai portato una ragazza a casa e non voglio che i miei si facciano strane idee e mi mettano in imbarazzo.»
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