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Capitolo 1.



Sei giorni prima.

Maggio 2018

La stazione di King's Cross era gremita di gente. C'era chi correva in modo forsennato trascinandosi dietro le valigie per non perdere l'ultimo treno, chi urlava dal finestrino che sarebbe tornato presto, e poi c'era Dominic, che era giunto da Cardiff per il matrimonio del secolo. Eppure, se lo avessero guardato con attenzione, avrebbero pensato che fosse venuto per un funerale.

Non gli ci volle molto per intercettare il viso di Prudence, che si sbracciava nella sua direzione.

L'avrebbe riconosciuta anche a occhi chiusi.

«Sono così felice che tu sia qui!» lo accolse euforica, stritolandolo in un abbraccio.

Erano trascorsi quattro mesi dall'ultima volta che si erano visti, ma non avevano smesso di tenersi in contatto: anzi, avevano parlato al telefono praticamente tutti i giorni e nelle ore più disparate.

«Anche io» soffiò lui, sforzandosi di usare un tono allegro.

Prue prese una delle sue valigie, nonostante le reticenze di lui, e lo invitò a seguirla fuori dalla stazione, dove ad aspettarli c'era la sua macchina, una bmw bianca tirata a lucido.

Dominic non si sarebbe meravigliato se fosse stato un regalo da parte di Michael, alias Golden Boy, come lui amava definirlo.

«Michael è d'accordo che stia da te? Posso anche trovarmi un albergo, non è un problema» domandò Dominic con fare prudente, mentre sistemava le proprie cose dentro il bagagliaio.

Michael era un uomo e lui avrebbe dormito per una settimana a casa della sua fidanzata. Magari gli sarebbe esplosa una coronaria, chissà. Era chiedere troppo?

Prudence infranse subito le sue speranze.

«Certo. Sa che per me sei come un fratello» lo tranquillizzò.

«Lo sa, eh» commentò l'altro tra sé e sé, richiudendo con forza non necessaria il bagagliaio.

Dannato Michael.

Dominic si offrì volontario per guidare, nonostante le iniziali proteste di Prue. Alla fine la ragazza dovette cedere, ben consapevole che l'amico, ancor più testardo di lei, non avrebbe mai accettato un "no" come risposta.

Il tragitto fino a casa di Prudence, che si trovava nel quartiere di Notting Hill, era stato relativamente tranquillo, sebbene lei si fosse destreggiata in qualche esibizione canora, purtroppo per le povere orecchie di Dominic.

Non era un caso che lei abitasse proprio a Notting Hill: Julia Roberts era la sua attrice preferita, e dire che la venerava come una dea era poco. Non era un caso nemmeno il fatto che avesse affittato un appartamento di fronte a una libreria.

«Quando mi trasferirò a Londra, è lì che andrò a vivere» ripeteva fino alla nausea, tutte le volte che guardava quel film.

Durante l'adolescenza non aveva mai fatto mistero di voler scappare dal luogo in cui era nata e cresciuta. Entrambi avevano frequentato il liceo in un piccolo distretto nella contea di West Midlands, dove Dominic era stato costretto a trasferirsi durante il secondo anno.

Era stato in un piovoso giorno di novembre, ovvero quando aveva messo piede nella nuova scuola per iscriversi, che aveva incrociato per la prima volta lo sguardo birbante di Prue. Al contrario di ciò che qualcuno avrebbe potuto pensare adesso, quando l'aveva conosciuta lei era un'altra persona: una specie di teppista.

A quel tempo era così secca e priva di forme che Dominic amava burlarla con il soprannome "manico di scopa". Qualche anno dopo si sarebbe ricreduto, per sua sfortuna.

Dominic era poggiato a uno dei tanti armadietti neri con le braccia incrociate al petto. Si guardava attorno con un cipiglio indifferente, per nulla impressionato dal nuovo istituto in cui avrebbe studiato d'ora in avanti. Suo padre, un poliziotto, era stato spostato in quel distretto di campagna, e lui aveva dovuto seguirlo senza fiatare.

Non era entusiasta del trasferimento, nonostante quella scuola fosse molto più decorosa della vecchia. Il quartiere da cui proveniva era annoverato tra i più pericolosi di Cardiff, eppure ne sentiva nostalgia. Gli mancavano i suoi amici sbarellati e un po' fricchettoni; le reti distrutte della piazza sgangherata in cui andavano a fare qualche tiro, persino i delinquenti con cui si scazzottavano quasi ogni giorno. Aveva perso il conto delle volte in cui suo padre se lo era ritrovato sanguinante al commissariato.

L'edificio era pressoché deserto a quell'ora del pomeriggio, per questo venne attirato da un rumore proveniente da un'aula.

Una ragazza con delle extension viola lunghissime, che facevano a pugni coi suoi capelli biondi, stava sgattaiolando da lì con tutta l'aria di aver combinato qualche guaio. Camminava a passo felpato e faceva vagare lo sguardo dappertutto con fare circospetto, probabilmente per accertarsi di non essere stata vista.

Non si era accorta della sua sagoma stagliata sul muro, accanto alla fontanella.

«Dove vai così di soppiatto?» esclamò Dominic divertito, cogliendola di sorpresa.

La ragazza si voltò di scatto verso di lui, con l'espressione di una che era appena stata colta sul luogo del delitto. «Da quanto tempo sei qui?» indagò subito, infatti.

Aveva un aspetto ordinario, ancora infantile, non era affatto il suo tipo. Tuttavia, c'era qualcosa nel suo sguardo temerario che lo incuriosiva. Era uno scricciolo, anche se aveva l'aria da dura. Il suo naso un po' storto era cosparso di lentiggini chiare; gli occhi marroni erano vispi e sprizzavano furbizia. La cravatta della divisa era allentata e qualcosa gli diceva che l'orlo della gonna fosse stato accorciato. Aveva la tipica aura dell'adolescente ribelle allergica alle regole e con un certo talento per cacciarsi nei guai.

«Quanto basta. Io però avrei fatto di meglio, senza offesa» la canzonò Dominic sprezzante. In realtà non aveva visto niente, voleva farglielo credere per divertirsi un po'.

«Riempire di scarafaggi il cassetto della professoressa Chapman ti sembra poco? Scapperà urlando, te lo dico io» sghignazzò la biondina, orgogliosa del proprio operato. Nel giro di due secondi tornò seria e lo gelò con un'occhiataccia. «Andrai a spifferarlo alla preside? Gli spioni non mi sono mai piaciuti, sappilo» lo avvisò con un tono minaccioso.

Il ragazzo scrollò le spalle e sollevò le sopracciglia.

«Perché dovrei? Tecnicamente non sono nemmeno iscritto in questa scuola. Non ancora, almeno.»

Era la verità, suo padre proprio in quel momento era nell'ufficio della preside Turner per sbrigare le ultime pratiche dell'iscrizione.

L'altra non abbassò la guardia e continuò a studiarlo con diffidenza.

«Non sei di queste parti, vero?»

Doveva aver notato il suo accento duro, molto diverso da quello più elegante degli inglesi.

«Cardiff» disse semplicemente lui con un mezzo sorriso.

Lo sguardo della ragazza si fissò in modo particolare sul suo collo, sembrava che fosse rimasta ipnotizzata da qualcosa. Dominic immaginò che ad attirare la sua attenzione fossero stati i tre piccoli nei disposti quasi in diagonale. Li fissavano tutti, di solito, e a volte gli dava sui nervi. Non capiva se la gente li reputasse carini o solo un fastidioso difetto. Aveva pensato di farli rimuovere, ma alla fine aveva desistito: in fondo erano un suo segno distintivo, proprio come le occhiaie. Stranamente, il modo in cui li stava guardando lei non gli dava sui nervi.

«Mi sembravi una faccia nuova, in effetti. Beh, piacere di averti conosciuto...» Lei lasciò la frase in sospeso, chiedendogli implicitamente il suo nome.

«Dominic, Dominic Campbell.»

«Prudence Rogers» gli fece eco la biondina.

«Che ne diresti di perfezionare il tuo scherzo?» le suggerì con un occhiolino.

***

Prudence accompagnò Dominic nella camera degli ospiti e lo pregò di fare come se fosse a casa sua.

Dominic l'avrebbe fatto eccome. Avrebbe anche distrutto o fatto sparire qualsiasi oggetto di Michael.

Molto immaturo da parte mia, lo ammetto.

Dopo aver sistemato un paio di abiti nell'armadio e alcuni suoi effetti personali in bagno, Dominic raggiunse Prue nel soggiorno, dove, sdraiata sul divano, si stava dilettando con il cucito. Il ragazzo non fu in grado di capire cosa diavolo dovesse essere quella roba di lana informe che teneva tra le mani.

«Come mai tu e Golden Boy avete deciso di stare separati la settimana prima del matrimonio?» domandò d'un tratto. Provò a fingersi disinteressato, mentre sfiorava coi polpastrelli i tasti del vecchio pianoforte nero accostato al divano. La nonna di Prudence glielo aveva regalato per il suo quindicesimo compleanno, illusa che avrebbe convinto la nipote fin troppo vivace a prendere delle lezioni e diventare una signorina per bene.

Quante volte si erano seduti lì e avevano strimpellato insieme la canzone del momento o un classico. Dominic era capace di suonare qualsiasi cosa a orecchio, al contrario di Prue, che si limitava a canticchiare al suo fianco.

«I suoi genitori sono molto tradizionalisti e io ho voluto approfittarne per passare del tempo con te» rispose lei distratta, sollevando appena lo sguardo dal suo lavoro.

«Sembri diversa» Dominic diede voce ai suoi pensieri senza nascondere il fastidio.

Prue alzò un sopracciglio e lasciò stare per un attimo gli attrezzi da cucito.

«Diversa come?»

Nick scrollò le spalle, poi si sedette sullo sgabello del pianoforte.

«La Prue che conosco io non farebbe mai un lavoro a maglia, né guarderebbe un programma di cucina» spiegò semplicemente, indicando la televisione accesa.

L'altra rimase dapprima interdetta, poi scosse il capo, divertita, per fargli intendere che stava dicendo delle sciocchezze.

«Sto per sposarmi, dovrò pur imparare a cucinare prima o poi» fu la sua risposta.

Dominic la guardava come se di fronte a sé ci fosse un alieno.

«Tu odi cucinare, Prue. Sei sempre stata contro il cliché della donna che sta ai fornelli o che rammenda calzini.»

Prue roteò gli occhi, sbuffando.

«Si può cambiare idea nella vita, no?»

Nick era confuso, c'era qualcosa che non quadrava: che qualcuno avesse rapito la sua Prue e l'avesse sostituita con un'impostora?

«No, non tu» controbatté sicuro con gli occhi ridotti a due fessure.

Se c'era un detto che Prue amava spesso ribadire, era proprio chi nasce tondo non muore quadrato.

«Smettila di scherzare, Nick. Ho ventisette anni, sono cresciuta, devi arrenderti all'evidenza» lo canzonò.

Dominic pensò fosse meglio cambiare argomento, altrimenti avrebbero cominciato a litigare e lui non ne aveva alcuna voglia.

«Cos'è quell'affare che stai cucendo, comunque?»

Prudence sventolò entusiasta il pezzo di lana marrone sotto il suo naso. «È un gilet, ti piace?»

Nick scoppiò a ridere. «Per chi, per un bambino?»

Sarebbe potuto entrare solamente a un poppante.

«Merda!» imprecò lei, quando, analizzando meglio l'indumento, si rese conto di aver preso male le misure.

Dominic si girò verso il pianoforte e iniziò a pigiare i tasti. «Hey, Jude, don't make it bad. Take a sad song and make it better...» intonò piano.

Prudence mise da parte il gilet e abbandonò il capo sul bracciolo del divano, con il viso rivolto nella direzione di Dominic. Lo ascoltò in silenzio per qualche strofa, fino a che non se la ritrovò seduta accanto. Poggiò la testa sulla spalla di lui e cominciò a cantare. L'odore di Prue sapeva di casa.

«Na, na na, nana naná, nana naná, Hey Jude!» trillarono più volte all'unisono, guardandosi e ridacchiando.

Era come se fossero tornati di nuovo ragazzini. Come se non fosse passato neppure un giorno dalla prima volta che l'avevano cantata insieme tanti anni prima, su quello stesso sgabello.

«Amo questa canzone» disse Prue, quando terminarono, accarezzandogli il collo con il proprio respiro.

«Lo so.»

«Amo anche la tua voce.»

Nick sentì le proprie budella attorcigliarsi e soffocargli il cuore. Una volta Prue aveva paragonato la voce di Dominic alla seta, perché era morbida ed elegante, a detta sua.

E io amo te, avrebbe voluto aggiungere lui.

***

Dominic aveva già programmato di trascorrere il resto di quella piovosa domenica sera in giro per Londra insieme a Prue, magari in qualche pub dozzinale a bere come spugne e a criticare ogni persona che avrebbe avuto la sfortuna di capitare sotto i loro occhi. Peccato che avesse dato per scontato che la sua migliore amica fosse libera.

Prue, infatti, si era dimenticata di informarlo della cena di prova a casa dei genitori di Michael, dove parenti e amici della sposa si sarebbero incontrati con quelli dello sposo e dove, pochi giorni dopo, avrebbe avuto luogo il ricevimento.

«Ah» fu l'euforica risposta di Dominic, appena lo seppe.

Era proprio impaziente di incontrare di nuovo l'odiosa faccia di Michael e quelle dei genitori di Prue, che lo avevano detestato fin dal primo momento.

Così impaziente che avrebbe venduto persino l'anima al diavolo perché fosse stato già domani.

«Mi raccomando, voglio che tu sia bellissimo!» urlò Prue da dentro la doccia. Si stava preparando con un cospicuo anticipo.

Dominic entrò nel bagno e subito fu investito dal calore del vapore acqueo. Il vetro del box era opaco, lui non aveva modo di vedere Prue all'interno, eppure gli bastò scorgere la sua sagoma sfocata per far galoppare la fantasia. Tirò un lungo sospiro di frustrazione, cercando di controllare invano il desiderio che pulsava nei pantaloni. Quanto avrebbe voluto raggiungerla sotto la doccia...

«Mi chiedi l'impossibile» ribatté Dominic ironico, poggiando la schiena al lavandino. Era una tortura stare lì con la consapevolezza che Prudence fosse nuda e bagnata a una distanza irrisoria da lui, ma al contempo non poteva farne a meno. Aveva raggiunto un livello di masochismo tale che persino lui stentava a comprendersi.

Lo scrosciare dell'acqua si arrestò dopo qualche secondo e Prue fece scorrere la porta della doccia quel tanto da poter affacciare la testa.

Nick si girò di scatto, trattenendo il respiro. Non servì a molto, visto che poteva vederla comunque attraverso il riflesso dello specchio.

Ma almeno non vedrà quanto ce l'ho duro.

«Non dire stronzate, Nick!» lo rimproverò col viso arrossato dal calore. «È sufficiente che ti pettini quei capelli!»

«Perché? Cos'hanno che non va?» protestò lui offeso, toccandoseli istintivamente.

«Staresti più in ordine, se li ravviassi all'indietro» gli suggerì l'altra, e richiuse la parete scorrevole.

Dominic fece una smorfia di disgusto.

«Dio, Prue, sembro ridicolo con i capelli leccati

«Voglio solo che tu faccia buona impressione ai genitori di Michael. Ti prego, fallo per me!» piagnucolò l'altra con lo stesso tono supplicante di una bambina.

Nick sbuffò e guardò la propria immagine rassegnata attraverso lo specchio.

«E va bene.»

Neanche se avesse dovuto sposarlo lui, dannazione!

Armato di buona volontà, tornò nella stanza degli ospiti e indossò il completo nero che aveva portato con sé. Provò ad allisciare i capelli con il pettine, anche se l'impresa era davvero ardua. I suoi ricci non volevano saperne di stare in ordine, avrebbero avuto bisogno di un gel potente, solo che Dominic non ne usava.

Forse quello spocchioso di Michael ne teneva una scorta. Lui sì che aveva dei capelli insopportabilmente perfetti, tanto che secondo Dominic avrebbe potuto fare lo spot per uno shampoo oppure il modello di tagli per capelli.

Con quel fastidioso pensiero, Dominic si recò di nuovo in bagno, dove Prue era appena uscita dalla doccia e, seduta su un pouf, si stava spalmando qualcosa sulle gambe.

Quando lo vide, fece un fischio di apprezzamento.

«Sei uno schianto. L'ultima volta che ti ho visto con una cravatta era il ballo di fine anno.»

Dominic scorse le gocce d'acqua che dai capelli le erano scivolate lungo il solco del seno, in parte coperto dall'asciugamano bianco, e distolse immediatamente lo sguardo con la scusa di aver visto una confezione di gel su una mensola.

«Come no» borbottò nervoso.

Prue sbuffò e gli lanciò un'occhiata truce.

«Posso usarne un po'?» le chiese, mostrandole il tubetto di gel.

Prue annuì. Dominic vide la sua espressione rabbuiarsi appena.

«Nick, lo sai che per me vai bene così come sei. È che... i genitori di Michael sono molto snob e all'antica, cercano il pelo nell'uovo in tutto...»

Qualche giorno prima, Prue gli aveva confidato che lei stessa faticava per essere sempre impeccabile ai loro occhi e tuttora non era riuscita a conquistare la signora Barnes, la madre di Michael, alla quale pareva non andare affatto a genio.

Non ti meritano. Io ti merito.

Mentre Nick si era arreso a infilare quella roba appiccicosa tra i capelli, Prudence uscì dal bagno.

«Mi spalmi la crema sulla schiena, per favore?» chiese ad alta voce, quando lui finì. Il cuore di Nick perse un battito.

Mantenendo un'invidiabile calma, entrò nella camera. Era seduta sul proprio letto, indaffarata a tamponarsi la testa con un asciugamano rosa pallido.

Si sistemò accanto a lei. Prudence gli consegnò il barattolo e si girò dalla parte opposta, abbassando un po' l'asciugamano in cui era avvolta, in modo da facilitarlo nell'operazione.

Nick stava trattenendo il respiro alla vista della sua pelle nuda e non era sicuro che sarebbe riuscito a restare lucido ancora per molto.

Con estenuante lentezza, iniziò a stendere il prodotto e a massaggiarle le scapole, le spalle e la colonna vertebrale fino all'assorbimento. Non si curò della sensualità dei suoi movimenti, però, né del suo respiro caldo.

Cercò di non pensare all'effetto che gli faceva saggiare la morbidezza della sua epidermide e serrò gli occhi con l'illusione di avere una parvenza di controllo. Si chiese come fosse possibile che Prue si trovasse così a suo agio a stare mezza nuda con un uomo seduto dietro di lei.

Perché per lei sei come un fratello. Il tuo tocco non le suscita il benché minimo turbamento.

Arrabbiato con se stesso per quel pensiero, Nick scese sui fianchi, su cui si soffermò più del necessario; se avesse spostato la mano più su di qualche centimetro, le avrebbe sfiorato i seni, che, anche se fuori dalla sua visuale, poteva immaginare senza difficoltà. La ragazzina magra come uno spillo era soltanto un ricordo: di fronte a lui c'era una donna dalle forme generose che attentava alla sua sanità mentale.

La sua pelle era soffice, tonica, profumava di lavanda, e lui si stava rendendo conto di non aver mai toccato nulla di più eccitante. In quel momento avrebbe voluto essere gay o qualsiasi altra cosa, pur di non desiderare di saltarle addosso e farla sua.

«Ba... basta così» lo fermò Prue con una punta di disagio nella voce, ricoprendosi. «Grazie.»

Dominic riprese a respirare, anche se con fatica, e tentò di nascondere con un sorriso la reazione che lei e il suo corpo gli avevano suscitato.

«Come sto?» Si indicò i capelli impomatati, sforzandosi di essere ottimista.

«A Lindsey piacerai di sicuro» gongolò Prue con sguardo allusivo.

Nick sbarrò gli occhi, terrorizzato.

«Lindsey?» esclamò, rabbrividendo. «E per quale dannatissimo motivo Lindsey sarà presente a questa cena?»

Lindsey e Prue erano state compagne di stanza al college ed entrambe si erano laureate in Medicina a Cambridge. Adesso lavoravano al St. Thomas' Hospital come specializzande di chirurgia al primo anno e avevano legato molto. Prue aveva organizzato un'uscita a quattro, qualche mese prima. La scusa ufficiale era di dover dare l'annuncio del matrimonio, in realtà era per far conoscere meglio Lindsey e Dominic.

Il risultato era stato che Dominic, sbronzo e disperato da far schifo, era finito a letto con lei; Lindsey gli si era incollata come una zecca per settimane, nonostante Nick le avesse ribadito più volte che era stata solamente una cosa di una notte. Nutriva ancora del rancore nei confronti di Prue per aver avuto la brillante idea di farli uscire insieme. Lindsey era viziata, appiccicosa e non sapeva assolutamente accettare un rifiuto.

«È la mia damigella d'onore, caro» sogghignò Prue, posandogli una mano sulla spalla.

A volte era proprio sadica.

«Ti stai sposando solo per torturarmi, confessalo.»

E lo stava facendo in tutti i modi possibili. Se solo l'avesse saputo...

«Sai che adoro farlo» scherzò l'altra, baciandolo sulla guancia per farsi perdonare. «Vado a vestirmi.»

Quel momento imbarazzante in cui lei dice che devevestirsi e io non faccio altro che immaginare me stesso mentre la spoglio

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