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8. CUORE MORTO

Camera 26.
Un Lunedì freddo, piovoso e umido, aspettavo Walter.
Era dolce con me, si comportava bene ed era un gentil'uomo. Il rapporto tra me e lui cresceva sempre di più che finimmo per raccontarci i particolari della nostra vita fino a dirci anche i nostri piccoli segreti.
Era più facile raccontarsi con uno sconosciuto che con una persona vicino a te a cui provi del bene.

"Ho visto una persona morire una volta." disse con entrambe le sopracciglia inarcate.

"E chi?"

"Investii un bambino, due anni fa. "

Taqui. Rimasi in silenzio fin quando ripartii a parlare.

"È morto davanti ai miei occhi, aveva solo 10 anni quel poveretto." si accarezzò il mento e si mise l'orologio che appoggiò sul comodino bianco vintage dell'hotel.

"Nessuno sa che sono stato io, lui non si è mai buttato in mezzo alla strada come spiegai agli agenti.
Io guardavo il telefono, messaggiavo mentre guidavo, non ero preso a guardare la strada... Io l'ho ucciso perché ero distratto. Vidi che agitava le mani sopra alla testa ma era troppo tardi per fermarmi. Chissà cosa voleva "finii alzando le spalle.

"Il mio peggior segreto penso sia la poca voglio di vivere che ho." rido di gusto pensando a quanto sia umiliante in confronto.
Mi accorsi del suo viso irritato e cambiai espressione.
Non dissi più nulla per la vergogna che avevo provato.

Quel Venerdì, tornando a casa, pensai al quel bambino, solo 10 anni. Solo pochi anni di vita buttati a caso nel bel mezzo di una strada, una vita con pochi ricordi, con pochi momenti da ricordare.

Cominciai a fare il passivo con lui e Christian lo scoprí quella sera stessa.

Mentre aspettavo Walter.
Ero già in camera, mi sistemai i capelli che avevo appena tagliato davanti allo specchio, mi controllai l'odore delle ascelle e iniziai a camminare avanti e indietro per passare il tempo.
Qualcuno bussò alla porta allora senza perdere tempo aprii.
Non era Walter ma Christian che senza esitare un secondo mi mise le mani al collo, stringendo. Mi trascinò a letto e sbattò la porta.
Mi riprese il collo stringendolo più forte e mi urlò contro rinfacciandomi quanto faceva per me.
"fai schifo a essere una troia!"
Dandomi pugni allo stomaco.
Respirai a stento qualche secondo poi ricominciò a mettermi le mani al collo.
Cercai di tirargli calci e schiaffi in faccia senza nessun risultato.
Ero stanco. Debole mentalmente e fisicamente quindi lasciai che mi maltrattasse come io facevo già con me stesso.
Stavo lì in quel letto a farmi riempire di botte quando si fermò.
"sei mio e adesso mi prendo ogni cosa che ti appartiene e che non mi hai mai voluto dare."
Mi girò e mi abbassò i pantaloni insieme ai boxer. E mi penetrò.
Urlai dal dolore e chiesi di uscire pregandolo."faccio tutto quello che vuoi basta ti prego, mi fa male!"
Piansi ma a lui non feci pietà e continuò per una ventina di minuti a fare tutto ciò che voleva con il mio corpo.
Quando venne. Trovai una pace mortale.
Il mio cuore era definitivamente morto.
Mi rivestì, mi baciò per qualche minuto e mi accarezzò.
Io con il viso rigato di lacrime e le orecchie che fischiavano per il dolore cercai di alzarmi dal letto nel mentre lui si ripulí in bagno.
Presi il mio telefono e il mio porta foglio insieme alla giacca.
Barcollavo cercando di andare verso la porta. Le gambe tremavano quindi mi appoggiai al muro trascinandomi per raggiungerla e quando la raggiunsi la aprì. Uscii e la chiusi sbattendo. Avevo la fortuna di avere l'ascensore di fronte la camera.
Così premetti il bottone e si aprí subito. Entrai e cedetti. Mi sedetti per terra con il cuore morto in mano e piansi per tutti i piani dell'Hotel.

Tornai a casa con i lividi per tutto l'addome. Il dolore lancinante che mi strappava lo stomaco.
Aprii l'acqua della vasca, cercai la mia lametta nel cassetto delle mutande. La presi e me la incisi nell'interno coscia. Ancora e ancora. Inizia a guardarmi il braccio incantato. Le mie vene nella mano erano sottili ci pensai per mezz'ora bloccato nella vasca ma non ci riuscì. L'acqua rosea mi piaceva, mi trovavo in pace. Decisi di ritagliarmi  sul braccio. Incisi più che potevo e all'improvviso vidi bianco. Cazzo. Erano cazzi.
Bianco significava solo una cosa. Punti. Uscii dalla vasca di fretta scordandomi per un attimo del dolore nell'ano. Quando mi alzai sentii di nuovo Christian dentro di me, mi girò la testa fino a farla scoppiare. Le sue mani al collo erano ancora lì. Smisi di respirare. Lottai per respirare. Dovevo svegliarmi e calmarmi. Tirai un pugno forte al muro e da altro dolore mi calmai un pò.

Bussarono alla porta del bagno.
"Elio sei tu? Sei a casa?" disse la voce di mia madre.
"si sono io, che c'è?" dissi irrigidito e tremante.
"mangi qua o fuori? C'è la pasta al pesto".

"Mangio fuori con Greg."

Mi preparai per uscire con 'Greg' e feci finta di andare a mangiare fuori.
Restai fuori fino a mezzanotte, l'orario in cui di solito torno a casa dopo essere uscito con Greg. Tutti dormono. 'Beati loro' pensai.
Volevo dormire e non svegliarmi più. Andare in coma o peggio morire e non sentire più il cuore morto che avevo dentro di me.

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