18. BIANCO
Apro gli occhi delicatamente.
Il soffitto è troppo bianco e l'odore di metallo mi fa balzare dal pavimento.
Mi gira la testa e mi risiedo per bene.
Con il cuore in gola, mi guardo intorno per capire dove mi trovo.
Mi tocco le dica e il viso per percepire la mia esistenza.
Mi sento intontito e dalla vetrata della porta del bagno intravedo la testa di mio padre che parla con mia madre.
La porta è socchiusa.
Mia madre ha una brutta cera e mi guarda attraverso il vetro spaventata. Corre verso di me e si butta a terra.
Mi prende il braccio per capire come sia successo.
Non me lo perdonerò mai.
Mia madre inizia ad urlare quasi soffocandosi con la sua stessa voce.
Continua ad urlare a mio padre che deve chiamare l'ambulanza quando lui si è già anticipato.
Il tragitto da casa al pronto soccorso in macchina è pieno di domande senza risposte.
Mio madre che guida è devastata, mentre mio padre sul sedile del passeggero mi tiene appoggiata la sua mano sul mio ginocchio.
***
Greg varca la porta mentre io mi guardo il polso bendato.
Alzo lo sguardo e mi sistemo i capelli guardandolo.
"Hei..." dice sorridendomi inclinando la testa alla sua destra.
"Ciao Greg." rispondo con tono neutro.
Si siede sul letto e mi abbraccia.
Sento la vibrazione del suo telefono che è dentro la sua tasca del suo jeans blu.
"Andrà tutto bene, si sistemerà tutto" dice dolcemente accarezzandomi la testa.
Mi sorride e mi guarda i polsi.
"Sono comunque morto dentro" gli dico ancora con tono neutro e spento.
"Non è così, sei ancora vivo. Senti dolore quindi sei ancora fottutamente vivo" sorride.
Il lettino del pronto soccorso è scomodo e freddo.
L'infermiera mi da degli ansiolitici da prendere oralmente.
Li mando giù senza fiato.
I miei continuano a farmi domande e io continuo a rimanere in silenzio.
"Andrà tutto bene piccolo, ora chiamo lo psichiatra, va bene?" dice mia madre asciugando le mie lacrime e poi le sue.
"No" emetto un verso di sforzo.
"Non voglio nessuno, per favore andatevene." Tremo dall'imbarazzo.
Le fitte allo stomaco mi fanno respirare male e a fatica riesco a guardare negli occhi mio padre che mi appoggia la sua maledetta mano sulla spalla.
Mi accarezza su e giù la schiena e insiste nel farmi ricoverare.
Nella parola 'ricoverare' balzo dal letto.
"Assolutamente no, a cosa servirà? Mh?" alzo le braccia come per protesta e poi ritorno a sedere sul letto.
Il polso inizia a far male sul serio e mi compiaccio nel sentire dolore. Mi fa sentire vivo e questo mi fa bene.
"Dai Elio solo per una settimana come ha detto prima l'infermiera" dice Greg guardandomi sempre con uno sguardo di pena.
"va bene così mi tolgo dai piedi e non sarò più un vostro problema, avete ragione meglio che me ne sto lontano da tutti." dico tutto ad un fiato senza respirare.
Mi sento intontito, forse gli ansiolitici stanno facendo effetto, devo dormire un pò.
Mi accovaccio nel letto e riposo un pò gli occhi chiudendoli piano.
" Senti prova a farlo per te stesso, abbi cura di te " Dice mio padre.
"Ok, si. Ho detto ok." dico con gli occhi ormai completamente chiusi.
Apro gli occhi con l'odore di ospedale. Le urla di un bambino mi irritano, così mi giro dall'altra parte.
Apro gli occhi e vedo mio padre e mia madre che parlano d'altra parte della stanza con il mio psichiatra, il suo pizzetto grigio mi fa sentire a casa ma richiudo gli occhi fingendo di dormire.
Non ho voglia di parlare, non ho voglia di respirare. Vorrei stare solo, a dormire per sempre, non sentire più nulla apparte il dolore fisico.
Sentire il dolore fisico è meglio che sentire il dolore psicologico.
Richiudo gli occhi e neanche il tempo di tenerli chiusi 30 secondi che:
"Elio? Elio svegliati"
Mi tocca il braccio ma non riconosco la voce.
Apro gli occhi piano e fingo di essermi appena svegliato, sgrano gli occhi per la troppa luce che esce dalla finestra e vedo l'infermiera di prima.
Bionda e occhi azzurri accesi.
Sulla trentina con degli orecchini verdi.
"Si che c'è?" le rispondo maleducamente.
" C'è il tuo psichiatra con i tuoi genitori, devono parlarti della tua condizione"
'La mia condizione' ripeto in mente.
I miei genitori e il mio psichiatra si accerchiato in torno al letto.
"Ciao Elio, come ti senti?" mi chiede toccandosi il pizzo grigio.
"Benissimo ho una nuova cicatrice"
Rido, senza avere una risata in cambio.
Ma solo sguardi di pena.
"Cosa è successo? Ti va di spiegarcelo?Perché lo hai fatto? " continua guardandomi dritto negli occhi.
"Penso sia ovvio no? Cosa dovrei spiegarle? Siamo seri?"
"Va bene Elio, cerca di ascoltarlo" alza la voce mia madre.
"Pensavo di presciverti il ricovero psichiatrico ordinario.
Ma solo di una settimana, vediamo come va ok? Che ne pensi?
Non sei obbligato, vogliamo solo aiutarti." prosegue il dott. Benetti.
"Va bene" Rispondo con un filo di voce.
Sono sicuro che non riuscirò a collaborare per una settimana intera.
Mi manca Sav e le sue mani nelle mie.
Il suo neo sulla schiena e i suoi capelli ordinati.
Voglio chiamarlo e sentire la sua voce calda e arrabbiata.
Lo voglio. Voglio lui e nessun'altro.
Dopo esser tornato a casa, mio padre e mia madre iniziano a farmi un discorso sulla vita, sui problemi e sulla fiducia che c'è in questa famiglia.
"... Capisci Elio?" finisce mio padre il discorso mentre mi guarda piangendo.
'Basta così?' penso.
"Si, capisco... Devo fare una chiamata... " mi alzo per andarmene quando mia madre mi ferma prendendomi per il polso, si accorge che è il polso bendato e sposta la mano un po più su.
"Domani ti aiuto a fare la borsa per la clinica, va bene tesoro?" sorride con gli occhi lucidi e pieni di malinconia. Il suo rossetto rosa mi disgusta quindi distolgo lo sguardo e guardo mio padre.
"Non c'è bisogno, andrà bene. Passerà subito" Giro la testa a destra e a sinistra per guardare mio padre e mia madre.
Tolgo la mano di mia madre ancora appoggiata sul mio braccio e me ne vado al piano di sopra.
Salendo le scale intravedo un ragno attraversare il sesto scalino e mi scosto a destra quando sento vibrare il telefono in mano.
Sblocco la schermata del telefono e leggo '25 chiamate perse da Viola'
"<Ho fatto la visita, sono incinta per davvero. Voglio tenere il bambino. >" leggo infine il messaggio su whatsapp.
Mi fermo in mezzo alle scale e non sento niente.
Vuoto.
Non voglio che tenga il bambino ma la scelta spetta a lei.
Non voglio. Non posso.
Non posso tenere, crescere e fare il padre a un bambino.
Non sarò mai in condizioni decenti per crescerlo.
Ma non voglio nemmeno abbandonarlo e farmi una vita sapendo che ho un figlio in giro per la mia stessa provincia.
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